Vertice UE: tutte le conclusioni sulla Turchia

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I leader dell’Unione europea si sono riuniti a Bruxelles per un vertice di due giorni. Giovedì hanno discusso di Covid-19, migrazione e relazioni esterne, comprese la Turchia e la Russia. Hanno inoltre incontrato il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres per colazione. Per quest’oggi sono previste discussioni sulla ripresa economica e sulle sfide per la zona euro.

Consiglio europeo: quali sono le conclusioni adottate sulla Turchia?

  1. Il Consiglio europeo è pronto a dialogare con la Turchia in modo graduale, proporzionato e reversibile per intensificare la cooperazione in una serie di settori di interesse comune, ferme restando le condizionalità stabilite a marzo e in precedenti conclusioni del Consiglio europeo.
  2. Prende inoltre atto dei lavori preparatori per i dialoghi ad alto livello con la Turchia su questioni di interesse reciproco, quali la migrazione, la salute pubblica, il clima, la lotta al terrorismo e questioni regionali.
  3. Invita la Commissione a presentare senza indugio proposte formali per il proseguimento dei finanziamenti a favore dei rifugiati siriani e delle comunità di accoglienza in Turchia, Giordania, Libano e altre parti della regione, in linea con la dichiarazione dei membri del Consiglio europeo del marzo 2021 e nel contesto della politica migratoria globale dell’UE.
  4. Ricorda le sue precedenti conclusioni e mantiene il pieno impegno a favore di una soluzione globale del problema di Cipro sulla base di una federazione bicomunitaria e bizonale caratterizzata dall’uguaglianza politica, in conformità delle pertinenti risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Sottolinea l’importanza dello status di Varosha e chiede il pieno rispetto delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, in particolare delle risoluzioni 550, 789 e 1251. Deplora il fatto che la riunione informale di Ginevra sotto gli auspici delle Nazioni Unite non abbia aperto la strada alla ripresa di negoziati formali. L’Unione europea continuerà a svolgere un ruolo attivo a sostegno di tale processo.
  5. Lo Stato di diritto e i diritti fondamentali in Turchia continuano a costituire una preoccupazione essenziale. Gli attacchi ai partiti politici, ai difensori dei diritti umani e ai media rappresentano significative battute d’arresto per i diritti umani e sono in contrasto con gli obblighi della Turchia di rispettare la democrazia, lo Stato di diritto e i diritti delle donne. Il dialogo su tali questioni rimane parte integrante delle relazioni tra l’UE e la Turchia.
  6. In linea con l’interesse comune dell’UE e della Turchia alla pace e alla stabilità regionali, il Consiglio europeo si attende che la Turchia e tutti gli attori diano un contributo positivo alla risoluzione delle crisi regionali.

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GdF Milano sequestra farmaci illegali e integratori due indagati

GdF Milano sequestra 12mila farmaci illegali. Anche 500mila integratori per oltre 1 mln euro. Due indagati


I militari del Comando Provinciale della GdF Milano – coordinati dal
Sostituto Procuratore della Repubblica Dott.ssa Maria Letizia MOCCIARO – hanno scoperto e bloccato un ingente traffico illegale di farmaci ed integratori alimentari.

Le indagini condotte dai militari del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Milano,
iniziate nel mese di gennaio di quest’anno, hanno portato al rinvenimento nei locali di due
esercizi commerciali, facenti capo a soggetti economici di nazionalità cinese, di un’ingente
quantitativo di confezioni riportanti la dicitura “Anti-COVID-19”, contenenti dodicimila
compresse, poste in vendita dai titolari senza detenere idoneo titolo, nonché di mezzo
milione di integratori alimentari risultati pericolosi per la salute pubblica e,
conseguentemente, sottoposti a sequestro.

Mirate analisi di laboratorio condotte dall’Università degli Studi di Milano – Dipartimento di Chimica su campioni del materiale in sequestro hanno, infatti, rivelato una composizione differente rispetto a quanto dichiarato sul confezionamento, oltre che per la presenza di metalli pesanti, anche per il rinvenimento di sostanze potenzialmente nocive per la salute dei consumatori.

Tra i farmaci sequestrati, che una volta immessi in commercio avrebbero generato un
volume d’affari di oltre un milione di euro, sono state individuate anche numerose
compresse di Kamagra (generico del Viagra) destinate ad una ampia platea di utenti, con
evidenti rischi per la salute determinati dall’assunzione di farmaci privi di ogni forma di
controllo circa l’origine, la produzione e/o conservazione.

Odontotecnico con un arsenale da guerra in casa a Nerviano (Milano)

Accoltellato 20enne alla testa a Milano

Tragedia sul ponte sulla Martesana a Milano: 40enne in coma

L’attività investigativa è risultata particolarmente complessa in relazione alla difficoltà di
ricostruire la provenienza dei prodotti che, una volta entrati nel territorio nazionale, venivano immediatamente frazionati e posti in vendita in numerosi esercizi commerciali compiacenti.

Con il sequestro dell’ingente quantitativo di farmaci e di integratori alimentari è scattata
anche la denuncia per due cittadini cinesi per i reati di abuso della professione di farmacista, commercio e/o somministrazione di medicinali guasti e/o imperfetti e frode in commercio.

Complessivamente, l’operazione rientra nell’azione di rafforzamento del dispositivo
permanente di contrasto ai traffici illeciti legati all’emergenza epidemica in corso, attuato dal Comando Provinciale di Milano ed ha lo scopo di tutelare i consumatori e gli operatori
economici onesti che agiscono lealmente e nel rispetto delle regole, importando merci dalle caratteristiche qualitative certe e rispondenti alle normative nazionali e comunitarie dettate a tutela della salute pubblica.

Tensione nel M5S: Grillo non molla e Conte lascia?

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Ecco che vi è di nuovo tensione nel M5S. Potrebbe accadere di tutto. Lo scontro al vertice tra il nuovo leader in pectore Giuseppe Conte e il fondatore Beppe Grillo sembra essere vicino a un punto di non ritorno. Intanto incombono scadenze decisive, come la presentazione delle liste per le Amministrative e la definizione delle alleanze.

Tensione nel M5S: per Conte la situazione è paralizzata


Conte sul caso Grillo: il leader del M5s prende le distanze


Davanti al muro con tanto di filo spinato di Grillo, Conte ha deciso di non rilasciare dichiarazioni pubbliche. Questo perché, come dichiarato dall’ex premier in una confidenza ai suoi fedelissimi: “Se dovessi reagire a caldo, non ci sarebbero più le condizioni per andare avanti”. I paletti imposti da Grillo, che non ha nessuna intenzione di passare per incompetente ma vuol restare il garante con tutti i poteri enormi che ne derivano secondo l’attuale statuto, lasciano pochissimi margini di manovra nella trattativa. Per Conte la situazione è paralizzata su una diarchia, due capi che si marcano stretti e di fatto rischiano di non muovere un passo. Eppure, Conte ricorda come fosse stato proprio Grillo a volergli dare pieni poteri nel Movimento. Era solo febbraio, quando l’unico ostacolo insormontabile sembrava lo scontro con Davide Casaleggio e l’associazione Rousseau. Invece il tifone Grillo ha preso l’ennesima rotta impazzita. Il Movimento ora rischia concretamente di spaccarsi.

Conte pronto a lasciare?

Le speranze di Giuseppe Conte, così come di buona parte dei big grillini, di ascoltare toni distensivi da parte di Beppe Grillo si sono frantumate. Ieri, al faccia a faccia con i parlamentari grillini, il fondatore del Movimento si è fatto sentire come un tornado impetuoso. La giornata che doveva riaprire il dialogo tra il garante e l’aspirante capo politico del Movimento è finita malissimo. Tale giudizio amaro è condiviso dallo stesso Conte, che ora è sempre più vicino dal rinunciare, lasciando a Grillo quel che resta del M5s. Sarebbero rimasti spiazzati tutti i mediatori che, soprattutto negli ultimi giorni, avevano tentato di riconciliare i due, provando fino all’ultimo a farti incontrare. Per poi ottenere solo una telefonata in serata, tutt’altro che pacifica.

Tensione nel M5S: anche gli altri partiti non sono messi bene

Se il Movimento vive il suo peggior momento, le cose non vanno benissimo nelle altre forze politiche. Il Pd, esaurita la fase delle primarie, deve adesso trovare la formula per vincere la partita col Centrodestra a Roma. Si tratta di un appuntamento la cui caratura politica non sfugge a nessuno. Per Enrico Letta, che aveva scommesso molto sul rapporto con i Cinquestelle, le ultime vicende grilline sono motivo di inquietudine: i voti eventualmente persi dal M5S andranno a sinistra o si disperderanno? Nel Centrodestra, l’unità di intenti non riesce a tramutarsi in quel partito unico che Silvio Berlusconi vagheggia ma che non trova pari entusiasmo nelle altre componenti della variegata area dei cosiddetti moderati.

UE verso la resa dei conti sui diritti LGBTQ: Draghi chiude a Orban

I leader dell’Unione europea hanno criticato aspramente l’ultima legislazione anti-LGBTQ di Viktor Orban, preparando il terreno per una resa dei conti con il primo ministro ungherese.

La resa dei conti: cosa vuole l’Ue?

L’odio, l’intolleranza e la discriminazione non hanno posto nella nostra Unione“, hanno twittato giovedì i leader con una mossa coordinata. Hanno pubblicato una lettera firmata dai capi di governo di 16 Stati membri dell’UE, tra cui la tedesca Angela Merkel, il francese Emmanuel Macron e l’italiano Mario Draghi. “Ci impegniamo a portare avanti questo sforzo, assicurandoci che le future generazioni europee crescano in un’atmosfera di uguaglianza e rispetto“, hanno scritto i leader, senza nominare direttamente l’Ungheria o Orban. L’austriaco Sebastian Kurz ha aggiunto la sua firma in seguito, ha detto in un tweet il lussemburghese Xavier Bettel.

Il procedimento contro l’Ungheria

La mossa è l’ultima escalation di una discussione sempre più accesa sul disegno di legge ungherese che riduce i diritti LGBTQ. La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha avviato un procedimento legale contro lo stato ungherese per il disegno di legge, che associa la comunità LGBTQ alla pedofilia. La legislazione estende le regole adottate lo scorso anno che vietano di fatto ai partner dello stesso sesso di adottare bambini e sanciscono nella costituzione che il matrimonio è solo tra un uomo e una donna.


Il fascista Orbán e la sua legge anti gay


La risposta di Orban

L’Ungheria farà di tutto per proteggere i suoi figli, anche dalle manipolazioni ideologiche” ha affermato il primo ministro ungherese Viktor Orbán in risposta alle critiche del presidente della Commissione europea. “La dichiarazione del presidente della Commissione europea è vergognosa perché si basa su accuse false“, ha detto Orbán mercoledì in una dichiarazione all’agenzia di stampa MTI.

Draghi e la resa dei conti con l’Ungheria

Anche l’Ungheria ha sottocritto il Trattato”, queste le parole del presidente del Consiglio nel corso del dibattito. Non ha usato mezzi termni Mario Draghi nel definire come anche l’Ungheria debba fare la propria parte proprio perché risulta tra i Paesi firmatari del trattato. Il premier ha dichiarato come l’ultima parola sulla vicenda debba aspettare all’Europa. “Spetta alla Commissione stabilire se l’Ungheria viola o no il trattato”. Il presente del consiglio ha fatto presente anche che i trattati sono stati firmati anche dalla stessa Ungheria. Sottolineando che “questo trattato, sottoscritto anche dall’Ungheria, è lo stesso che nomina la Commissione guardiana del trattato stesso”.

Operazione “EASY MONEY”: Sequestrati 11 milioni di euro per traffico e riciclaggio

Operazione “EASY MONEY”: Traffico illecito di rifiuti metallici riciclaggio e auto riciclaggio e auto riciclaggio di proventi di fatture provenienti da prodotti petroliferi. Sequestrati 11 milioni di euro per traffico e riciclaggio

Nella mattinata odierna è scattata l’operazione “EASY MONEY” con cui i militari del
Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Ascoli Piceno e del Comando
Provinciale Carabinieri di Chieti, stanno procedendo all’esecuzione di 13 ordinanze di
custodia cautelare ed al sequestro preventivo di beni per un valore di oltre 11 milioni
di euro.

I provvedimenti sono stati emessi dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale
di Chieti nei confronti di appartenenti ad un’associazione per delinquere finalizzata al
traffico illecito di rifiuti metallici, al riciclaggio ed all’autoriciclaggio di proventi illeciti,
nonché all’emissione ed utilizzo di documenti attestanti operazioni inesistenti, residenti
nelle Province di Chieti, Pescara, Teramo e Reggio Emilia.

Le indagini, dirette dal P.M. Dott. Giuseppe Falasca della Procura della Repubblica di
Chieti e codelegate ai Finanzieri del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Ascoli
Piceno, ai Carabinieri del R.O.N.I. di Chieti e del N.O.E. di Pescara, hanno permesso
di individuare il sodalizio criminoso che reperiva sul territorio nazionale rifiuti metallici
acquistati “in nero” che, tramite una simulata “copertura” documentale e contabile,
venivano convertiti in rottami legittimamente acquistati da imprese rappresentate da
“teste di legno”.

Ascoli Satriano (Foggia) – Accoltella il marito al petto durante una lite in casa:…

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Monsampolo del Tronto (Ascoli Piceno) – Ucciso ex carabiniere in un agguato sulla pista…

Grazie alle prerogative della polizia economico-finanziaria, all’intensivo utilizzo delle
banche dati disponibili sulla piattaforma “Dorsale Informatica” del Corpo, alla minuziosa analisi della documentazione contabile e bancaria, nonché alle convergenze investigative con le intercettazioni ambientali e telefoniche eseguite dai Carabinieri del Comando Provinciale di Chieti, è stata individuata la modalità di riciclaggio dei soldi pagati ufficialmente per le fatture false emesse dalle società
cartiere per 11.625.497,94 Euro.

Con la complicità di soggetti appositamente incaricati di effettuare dei prelevamenti
con importi frazionati in modo da eludere la soglia del controllo antiriciclaggio, i soldi
tornavano in buona parte ripuliti in mano agli indagati.

L’operazione “EASY MONEY’” conferma, tangibilmente, l’azione che la Guardia di Finanza svolge quotidianamente attraverso il monitoraggio dei flussi finanziari, che costituisce il metodo più efficace per individuare i capitali di origine illecita, prevenendo e contrastando le organizzazioni criminali che commettono gravissimi reati anche nel settore ambientale e realizzano forme di auto riciclaggio che “inquinano” il tessuto economico-produttivo, alterano la concorrenza del mercato e, non da ultimo, danneggiano gli imprenditori onesti e rispettosi delle regole.

GdF sequestra oltre 59 milioni di euro per fatture false di prodotti petroliferi

GdF fatture false nel commercio di prodotti petroliferi: sequestrati oltre 59 milioni di euro


Gdf di Trieste e Napoli, coordinate dalla Procura della Repubblica partenopea, hanno dato esecuzione a un sequestro preventivo finalizzato alla confisca “per equivalente” di beni del valore di oltre 59 milioni di euro nei confronti di cinque soggetti ritenuti responsabili di una frode fiscale nel settore della commercializzazione di carburanti per autotrazione.

Tale attività costituisce il prosieguo investigativo di indagini che avevano già portato al
sequestro eseguito in data 30 marzo 2021 nei confronti della PETROLIFERA ITALIANA
S.r.l..

Con il nuovo provvedimento di sequestro esteso il GIP ha ampliato la portata della
originaria misura ablatoria sulla scorta di ulteriori attività eseguite dai Nuclei PEF Napoli e
Trieste. In forza dei nuovi approfondimenti è stato possibile estendere le contestazioni dei
reati fiscali anche nei confronti dei gestori di fatto della società e disporre il sequestro di
provviste – anche nella forma “per equivalente” – in relazione ad ulteriori ipotesi di violazioni fiscali (utilizzo ed emissione di fatture per operazioni inesistenti) tanto ai rappresentanti legali quanto ai gestori di fatto della società. L’importo sequestrato è rappresentato dalle imposte evase ed ammonta a oltre 59 milioni di euro

Trieste – Arrestata la banda dei furti antitumorali in ospedale

Napoli – Trova ragazzo autistico e lo riaccompagna a casa

Operazione “Web Oscuro”: sequestrato cripto valute e decine di migliaia di file di pornografia…

Le originarie contestazioni attenevano alla presentazione di dichiarazione fraudolenta di
imposta per l’anno 2017 dalla Petrolifera Italiana srl e all’omessa dichiarazione per l’anno
2017; si aggiungono ora le ipotesi di utilizzo di fatture per operazioni inesistenti per l’anno 2017 e l’emissione di fatturazioni fasulle per l’anno 2018, per oltre 30 milioni di euro di fittizi acquisti e cessioni di carburante da parte della Petrolifera Italiana con diverse società fantasma, tra cui Italyan Petroli S.r.l., Giuliana Petroli S.r.l. e le ditte individuali Auletta Group e Vincent Group; ciò ha comportato l’evasione dell’Imposta sul Valore Aggiunto per circa 7 milioni di euro.

Secondo la ricostruzione operata dalle Fiamme Gialle ed in ragione della istruttoria svolta
dalla Procura della Repubblica di Napoli, la Petrolifera Italiana si sarebbe collocata al
centro di un complesso gruppo di imprese dislocate sull’intero territorio nazionale.
I titolari di fatto dell’azienda, in concorso con i gestori legali della società, hanno venduto
milioni di litri di prodotti energetici a società cartiere fittiziamente dichiaratesi “esportatori abituali” che proprio in virtù di tale falsa qualifica potevano acquistare i prodotti senza applicazione dell’I.V.A.

Successivamente, le società acquirenti rivendevano gli stessi prodotti applicando l’IVA al
cliente finale che però poi non la versavano all’Erario (meccanismo fraudolento tipico della cd. “frode carosello”). Per effetto delle condotte contestate, oltre al milionario danno all’Erario, la PETROLIFERA ITALIANA S.r.l. avrebbe negli anni assunto una posizione dominante sul mercato stravolgendo di fatto anche le regole della concorrenza.

Il sacrificio dello studio alla mercé della raccomandazione

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Che utilità possiede il sacrificio dello studio? Prepararsi se alla fine poi il posto di lavoro lo ottengono i raccomandati? Purtroppo questa è una domanda che i giovani o comunque chi è in cerca di un’occupazione, si pone sempre più spesso. Ciò che è triste è che nonostante il grande scoraggiamento che si cela dietro al quesito, la politica se ne infischia e anzi continua ad alimentare il concetto di nepotismo.


Concorsi pubblici 2021: si sbloccano 125 mila posti


A che serve il sacrificio dello studio?

… Se poi i posti di lavoro vengono dati a figli, zii e cugini? Purtroppo questa domanda se la pongono in tanti eppure la politica continua a nascondere la testa sotto la sabbia. Per combattere le situazioni di parentopoli non si fa nulla. Certo, altrimenti il lavoro come fanno a trovarlo? L’Italia sta cercando di risollevarsi dopo il duro colpo inflitto dal Covid, ma l’economia, anche se in ripresa, è debole, i licenziamenti spaventano migliaia di persone. Cosa fa quindi la politica? Favorisce gli “amici di” o i “parenti di”, tirando un ceffone in faccia ai lavoratori onesti, a chi la voglia di impegnarsi ce l’ha ma vedendo tutta questa corruzione si svilisce. Succede dappertutto: nelle piccole comunità e nelle grandi città. Cosa fare quindi? Purtroppo è frustrante perchè a quanto pare una soluzione concreta, in fin dei conti parlare è facile, non si è ancora trovata. La raccomandazione regna ancora sovrana, continua ad essere un principio buono e giusto che lo stipendio a fine mese lo porti a casa chi non ha mosso un dito per ottenere l’impiego. È necessario comunque non arrendersi a questa ingiustizia e provare a combattere il nepotismo e la clientela finché sarà possibile.

Bennett sul nucleare: il neo Premier terrà testa all’Iran?

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Bennett è pronto a collaborare sul nucleare iraniano. Sebbene in un discorso pubblico il leader di Yamina accenni al coinvolgimento di Israele nell’attacco a un impianto nei pressi di Teheran. In qualità di Premier, Bennett precisa che Israele si difenderà da qualunque minaccia. Mentre lavorerà con gli alleati per bloccare lo sviluppo militare del JCPOA, discostandosi dalla politica di Benjamin Netanyahu. Che passa al contrattacco.

Bennett vincerà sul nucleare?

Benjamin Netanyahu è scettico. Secondo lui, il Primo ministro Naftali Bennett non fermerà le aspirazioni dell’Iran sul nucleare. Eppure, i recenti eventi che hanno interessato la Repubblica islamica potrebbero suggerire il contrario. Mercoledì sera, il Jerusalem Post ha riferito dell’attacco a uno degli edifici dell’Organizzazione per l’energia atomica iraniana (IAEO). Il quale ha causato gravi danni, nonostante le smentite di Teheran. Se le emittenti iraniane sostengono che l’attacco è fallito, perché “non ha lasciato vittime o danni e non è stato in grado di interrompere il programma nucleare“, il Jerusalem Post è di diverso avviso.

Qualche dettaglio in più

Stando al media israeliano, l’obiettivo colpito era la Iran Centrifuge Technology Company, o TESA. Uno dei siti di produzione di centrifughe che si trova vicino alla città di Karaj, a Nord-Ovest di Teheran. Sebbene le autorità sciite sostengano che l’impianto sia utilizzato per scopi civili, dal 2007 era emerso il suo ruolo nei programmi nucleari e balistici dell’Iran. Da cui le sanzioni delle Nazioni Unite, dell’Unione europea e degli Usa. Dapprima revocate nel 2015. L’anno che aveva visto l’avvio delle trattative per il Piano di azione globale congiunto (JCPOA). E poi reintrodotte nel 2018, quando l’amministrazione Trump si era ritirata dall’accordo.

L’impianto

In particolare, si tratta di una struttura in cui vengono prodotti anche i componenti delle centrifughe per altri impianti. Oltre che centrifughe più avanzate, che permettono di arricchire più rapidamente l’uranio. Lo riferisce un articolo del New York Times di giovedì. Meglio conosciuta come Karaj Agricultural and Medical Research Center, la struttura dovrebbe sostituire le centrifughe a Natanz, danneggiate in aprile.


Iran concede 1 mese in più al watchdog dell’Onu


Minimizzare

Come al solito, le autorità sciite hanno minimizzato i danni. Mentre al NY Times, alcune fonti iraniane hanno rivelato in anonimato che alcuni droni quadrirotori, ai quali va il merito dell’attacco, avrebbero centrato il bersaglio dopo il lancio dal suolo iraniano. A poca distanza dal sito. Tuttavia, le stesse fonti non hanno saputo quantificare i danni. Dal canto suo, Israele non ha né confermato né smentito l’operazione. Eppure, in uno dei suoi primi discorsi pubblici da quando ha assunto l’incarico, il leader di Yamina sembra ammettere il ruolo di Israele nell’attacco.

Bennett fa centro sul nucleare?

Giovedì, in occasione della cerimonia di laurea per i piloti dell’aeronautica israeliana, Bennett ha detto: “I nostri nemici sanno, non dalle dichiarazioni ma dalle azioni, che siamo molto più determinati e molto più intelligenti, e che non esitiamo ad agire quando è necessario“. Il Premier parlava alla base aerea dell’IAF di Hatzerim, fuori Beersheba. Come ha ricordato il Capo di governo, i Primi ministri di Israele hanno sempre avuto la “sacra responsabilità di annientare qualsiasi minaccia esistenziale allo Stato di Israele“. E ha precisato: “Allora era l’Iraq, oggi è l’Iran“.


Iran nega accesso alle riprese video ad Aiea


Modus operandi

Parlando allo stesso evento, il ministro della Difesa Benny Gantz è intervenuto sul programma nucleare iraniano. Nello specifico, il leader di Blu Bianco ha minacciato di condurre un attacco militare contro Teheran qualora si renderà necessario. “Come se non fosse passato il tempo, oggi in Iran, come 40 anni fa (in Iraq, ndr.), un nemico spietato e pericoloso, che sta costruendo armi del terrore attorno allo Stato di Israele, cerca di acquisire un’arma nucleare per minacciare Israele e la stabilità dell’intera regione“, ha spiegato Gantz.

Sabotaggio

Del resto, Israele non è nuovo al sabotaggio. In Iran come in Iraq. I suoi attacchi mirati risalgono appunto a quasi 40 anni fa. Allora, le forze di sicurezza israeliane avevano distrutto un reattore nucleare iracheno in costruzione, a 17 chilometri a Sud-Est di Baghdad. In questo senso, l’Operazione Opera (o Operazione Babylon) del 7 giugno 1981 è stata la prima attuazione di quella che è diventata nota come la Dottrina Begin, dal nome dell’allora Primo ministro Menachem Begin. Un fautore dell’azione militare preventiva e, se necessario, unilaterale. L’obiettivo era quello di soffocare sul nascere qualunque offensiva nemica. Come lo sviluppo di armi nucleari. E non solo.


Droni con tech iraniana potrebbero colpire Israele


Israele contro Iran

In tempi più recenti, ad agosto 2019, un attacco di droni aveva preso di mira una struttura gestita dal gruppo terroristico Hezbollah, sostenuto dall’Iran, nella capitale libanese di Beirut. Sebbene non abbiano ammesso la propria responsabilità, le autorità israeliane avevano spiegato che la base produceva componenti essenziali per i missili a guida di precisione di Hezbollah. Ancora, Israele ha colpito gli impianti sotterranei di Natanz a luglio 2020 e ad aprile 2021. Il che ha rallentato la tempistica per l’acquisizione di una bomba nucleare da parte di Teheran. Nonostante non via sia certezza sui responsabili, da subito l’Iran ha accusato Israele degli attacchi. Come dell’uccisione del fisico nucleare iraniano Mohsen Fakhrizadeh, avvenuta nel novembre 2020. Ma c’è di più.

Obiettivi

Al NY Times, una fonte di intelligence Usa ha rivelato che il TESA faceva parte dell’elenco di obiettivi che Israele aveva presentato all’ex presidente degli statunitense Donald Trump. Nonché all’allora segretario di Stato Mike Pompeo e a Gina Haspel, all’epoca direttore della CIA. Secondo la stessa fonte, Israele aveva anche suggerito di colpire il sito di arricchimento dell’uranio iraniano a Natanz e di assassinare Fakhrizadeh, che qualche decennio prima aveva avviato il programma nucleare militare del Paese. Ad ogni modo, l’attacco al TESA è avvenuto qualche giorni dopo che Netanyahu ha accusato che con Bennett al timone, Israele avrebbe smesso di usare il Mossad e le IDF contro l’Iran.


Post Natanz a Teheran sale la tensione: propaganda?


Bennett cambia approccio sul nucleare?

In effetti, la sfiducia di Netanyahu nei confronti della nuova coalizione, che per inciso non lo vede Premier, deriva da un’interpretazione sfocata di un discorso di Yarir Lapid. Il quale sarà Primo ministro da settembre 2023. Il leader moderato concorda, al pari degli Usa, che sarebbe meglio evitare battaglie pubbliche sul JCPOA. Specialmente nel caso in cui i disaccordi possano discutersi in privato. E in modo più proficuo. Una posizione condivisa dal suo alleato di estrema destra, Naftali Bennett. A bene vedere, nulla nella dichiarazione di Lapid suggeriva che lui, o Bennett, si sarebbero astenuti dal colpire l’Iran.

Bennett sul nucleare: la dichiarazione

D’altronde, non è un segreto che Israele si opponga ai piani del presidente Usa Joe Biden di rientrare nel JCPOA. Cosa che farà a condizione che l’Iran torni a rispettare l’accordo. “Preferiremmo che il mondo sapesse che un regime brutale e fanatico come questo che è disposto a far morire di fame la sua gente per anni per realizzare il suo programma nucleare militare, è una dittatura con cui non puoi fare accordi. Purtroppo non è così“, ha detto Bennett. “Continueremo a consultarci con i nostri alleati, a convincere, a parlare, a condividere informazioni e intese, per profondo rispetto reciproco“. E ancora. “Ma alla fine, la responsabilità del nostro destino rimarrà nelle nostre mani e in nessun altro. Agiremo in modo responsabile e attento“, ha concluso.

Cosa cambierà?

Nel suo intervento, Bennett ha chiarito che Israele si sta allontanando dalla politica aggressiva di Benjamin Netanyahu. Il quale era disposto a tutto pur di impedire lo sviluppo nucleare. Persino minare l’intesa con Washington. Nonostante il leader di Yamina sostenga che lo Stato ebraico sarà pronto a difendersi in caso di necessità, Gerusalemme collaborerà con l’amministrazione del presidente statunitense. Eppure, l’attacco al TESA avviene proprio mentre Washington e Teheran stanno negoziando un ritorno al JCPOA.


Soluzione nucleare iraniana: verso una scelta provvisoria?


Trattative

La trattativa si era interrotta con il ritiro dell’ex presidente Trump, nel 2018. Da allora, la Repubblica islamica si era sentita in diritto (se non in dovere) di violare i termini del trattato. Ad esempio, arricchendo l’uranio ben oltre le soglie consentite: prima al 60 e poi al 90 per cento. Livelli tali da permettere l’impiego militare. Nonostante Teheran neghi da sempre il suo interesse all’impiego bellico. Più che altro, sarebbe il tentativo dell’Iran di attirare l’attenzione della comunità internazionale e favorire una riapertura dei negoziati. In definitiva, la minaccia è riuscita. Da aprile, infatti, si assiste a una graduale ripresa del dialogo. Anche grazie allo zelo degli intermediari europei. Francia in primis.

Monito di Bennett sul nucleare

Proprio l’arricchimento dell’uranio iraniano è uno dei punti principali di discussione a Vienna, dove si cerca di rilanciare l’accordo. “Siamo in contatto con i nostri alleati americani per garantire la sicurezza di Israele“, ha affermato di recente Benny Gantz. “Se necessario, agiremo come abbiamo sempre agito. Rimuoveremo qualsiasi minaccia, con stratagemmi, con iniziativa e, ovviamente, con responsabilità professionale e diplomatica“, ha concluso il ministro della Difesa israeliano. In questo senso, l’attacco a Karaj potrebbe valere da monito a un (troppo) spavaldo presidente iraniano. In effetti Ebrahim Raisi, fresco di nomina, si è mostrato fiducioso nel raggiungimento di un accordo sul nucleare. Alla condizioni di Teheran.


Nuovo leader Iran: sale la tensione con Israele 


Concludendo

A questo punto, sarà interessante vedere come reagirà l’ex Primo ministro più longevo della storia di Israele: Netanyahu cercherà altre obiezioni per attaccare? O farà cadere la questione? Di certo, è innegabile che il leader di Likud creda in un’azione aggressiva (e pubblica) contro Teheran. A fianco dei suoi alleati di lunga data, gli Usa. Eppure, l’amministrazione Biden predilige un approccio più conciliante nei confronti del nucleare iraniano. Ma se Netanyahu avesse parlato con Eli Cohen avrebbe sentito ciò che il suo ex ministro dell’intelligence ha riferito al Post: cioè che il nuovo direttore del Mossad, David Barnea, continuerà la linea politica dura contro la Repubblica islamica.

Libia: elezioni concordate per il 24 dicembre 2021

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Il Consiglio europeo ha confermato il suo impegno a favore del processo di stabilizzazione della Libia sotto gli auspici delle Nazioni Unite. Le elezioni dovrebbero svolgersi come concordato nella tabella di marcia il 24 dicembre 2021 e i loro risultati dovrebbero essere accettati da tutti: lo scrivono i leader Ue nelle conclusioni del vertice. Il Consiglio chiede poi progressi nel dialogo politico inclusivo e il ritiro senza indugio di tutte le forze e mercenari stranieri.

Elezioni in Libia: il dopo Gheddafi?

La Libia è un paese chiave di transito per i migranti provenienti dall’Africa che provano a raggiungere l’Europa da quando Muammar Gheddafi è stato ucciso nell’ottobre del 2011. In questi dieci anni il Paese, ricco di petrolio, è stato a lungo diviso fra il governo riconosciuto e sostenuto dall’Onu a Tripoli e le autorità rivali basate nell’est del Paese, con il sostegno di gruppi armati e governi stranieri. Ad aprile del 2019 il generale Khalifa Haftar, appoggiato da Egitto, Russia ed Emirati Arabi Uniti, ha lanciato un’offensiva per provare a conquistare Tripoli. La sua azione però si è arenata dopo che la Turchia ha aumentato il suo sostegno militare al governo di Tripoli con centinaia di soldati e migliaia di mercenari siriani.

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TotalEnergies insieme a Qatar Petroleum si aggiudica 2 blocchi in offshore del Suriname. Il direttore della società ha affermato di essere soddisfatto di consolidare la partnership strategica internazionale con Qatar Petroleum nel bacino del Suriname-Guyana. TotalEnergies è una compagnia petrolifera francese che precedentemente si chiamava Total.

TotalEnergies si aggiudica 2 blocchi offshore?

Secondo quanto riportato da Adnkronos, TotalEnergies e il suo partner Qatar Petroleum si sono aggiudicati i blocchi 6 e 8 nell’offshore del Suriname. Questi due blocchi in acque profonde (30 a 50 metri) che saranno operati da TotalEnergies sono situati nei pressi del blocco 58, dove opera già il gruppo energetico francese e dove 4 importanti scoperte sono state fatte dal gennaio 2020.  In una nota di TotalEnergies si legge che con questa aggiudicazione la società rafforzerà la sua presenza in Suriname. La quota di TotalEnergies è del 40%, quella di Qatar Petroleum del 20%, mentre la compagnia petrolifera nazionale Staatsolie avrà una quota del 40%. Il direttore E&P di TotalEnergies, Kevin McLachlan, ha affermato: “Siamo molto soddisfatti di consolidare la nostra partnership strategica internazionale con Qatar Petroleum nel bacino del Suriname-Guyana”.

Il cambio di nome della compagnia francese

TotalEnrergies, precedentemente Total, è una compagnia petrolifera francese, con sede a Parigi. Il gruppo Total, fondato nel 1924 come Compagnie francaise des petroles, ha proposto il 28 maggio di cambiare nome durante un’assemblea degli azionisti. Il cambio del nome in TotalEnrgies è stato deciso dopo che la società è stata accusata di far poco per le questioni climatiche. Total negli ultimi tempi aveva iniziato a investire di più nell’energia solare ed eolica, ma gli investitori chiedevano un passo in più sulle questioni climatiche.  

Total non sarebbe il primo gigante energetico a cambiare nome per riflettere i tempi che cambiano. Il Dong danese, un nome che ha avuto origine da Danish Oil and Natural Gas, ha cambiato nome in Orsted come parte di un rebrand verde nel 2017. E la norvegese Statoil è stata ribattezzata Equinor nel 2018, in un tentativo simile per riflettere la sua diversificazione verso fonti di energia più pulite.


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