martedì, Aprile 16, 2024

Mare in Fiamme di Francesco Troccoli |Intervista

Mare In Fiamme è un romanzo che raccoglie due epoche e che racconta una storia che nei libri a scuola viene solo sfiorata, spesso senza entrare in dettagli particolari. Francesco Troccoli racconta la Guerra di Libia da un punto di vista nuovo, che porta alla luce una verità forse scomoda per molti, ma non trascurabile. Lo abbiamo intervistato per capire meglio il libro, la storia ma anche la nascita di questa idea.

Innanzitutto, come e quando è venuta l’ispirazione per questo libro?

Circa due anni fa, quando la campagna anti-immigrazione era al suo massimo grado di utilizzazione come “arma di distrazione di massa” dai disastri del precedente governo, mi chiesi se anche fra i ragazzini, a scuola, il cosiddetto “multiculturalismo” potesse rappresentare un problema. La risposta che mi diedi è che questo può accadere soprattutto quando c’è un’influenza negativa da parte degli adulti, e in particolare dei genitori. In altre parole, il figlio di un razzista è esposto a un maggior rischio di diventare razzista. Nacque così nella mia mente la prima scena del romanzo: la zuffa fra un bullo di buona famiglia romana e un suo compagno di classe orfano di origini curde. Negli stessi giorni fece clamore, sui media, la foto di una donna eritrea che resisteva allo sfratto di un alloggio occupato a Roma. Piangeva, affranta, e un poliziotto in tenuta anti-sommossa le teneva la testa fra le mani quasi a volerla rassicurare. Sul senso del gesto dell’agente nacque una querelle giornalistica e politica. Sulla donna, invece, chi fosse, perché piangesse, nessuno si domandò niente, o quasi. A me del poliziotto con tutto il rispetto importava poco, a commuovermi non era tanto il suo gesto quanto la disperazione della donna, la sua prostrazione, lo sfinimento. In mancanza di una storia vera, volli attribuirgliene una romanzata e così la trasformai in uno dei miei personaggi. Tutto il resto della storia che Mare in fiamme racconta è venuto da sé intorno a queste due suggestioni.

La storia narra di questa giovane, Marina, che d’un tratto si ritrova a dover fare i conti con il suo passato e con intrighi di Stato. Hai deciso di rendere Marina così realistica, perché credi che queste situazioni si verifichino tutt’oggi?

La storia familiare e personale di Marina è abbastanza eccezionale: non sono stati molti gli italo-libici radicati in Africa da tre generazioni, quindi la sua è una vicenda originale e ovviamente romanzata. In realtà, più degli intrighi di stato, a marcare la componente “noir” della narrazione è il ruolo svolto da personaggi ben precisi, e anzi nel romanzo è proprio lo Stato a fare pulizia. Ovviamente questa è la parte della storia più “inventata” e non ci sono particolari vicende di cronaca che le abbiano ispirate. Quello che purtroppo succede tutt’oggi, nonostante il cambio di governo, è che la politica dell’Italia verso il fenomeno migratorio non è affatto cambiata. Salvo provvedimenti più di facciata che di sostanza, restano prevalenti l’atteggiamento di totale chiusura verso i migranti e la collaborazione con autorità (civili e militari) dell’altra sponda del Mediterraneo, che si rendono responsabili della detenzione in condizioni disumane di masse di rifugiati privati dei loro diritti di esseri umani. 


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Quanto di te c’è nella storia che racconti?

Un po’ in tutti i miei personaggi c’è forse una parte di me, del mio carattere, della mia storia: l’impulsività e l’emotività della protagonista Marina, il timore di Gary di sbagliare, il rimpianto di Orazio, l’innamoramento di Antonio, l’entusiasmo del piccolo Zihad. E poi ci sono i racconti della seconda guerra mondiale sullo sfondo della narrazione, che risalgono all’immaginario con cui mi fece crescere mio padre, che l’aveva vissuta, con le sue parole e con i mille libri che leggeva su quel periodo, molti dei quali riguardavano proprio le colonie italiane in Africa.

Alla luce della presenza di molte persone di origini non italiane, qual è la tua posizione rispetto ai fenomeni migratori che oggi interessano le nostre zone?

Personalmente sono un fautore della libera circolazione delle persone in ogni parte del mondo. La Terra è di tutti. Le migrazioni sono un fenomeno antropologico ben noto: hanno fatto e faranno sempre parte della storia umana. I primi Sapiens a popolare l’Europa provenivano dall’Africa e quello che mi auguro è che, ben prima del giorno in cui porteremo all’estremo il concetto di migrazione andando su altri pianeti, il colore della pelle sarà riconosciuto per quel che è: un dato personale, banale come il colore dei capelli o degli occhi. Siamo tutti migranti, siamo tutti in viaggio, sempre. La mia potrebbe sembrareuna visione “utopica”, ma se vuoi davvero cambiare le cose devi puntare alle condizioni ideali. La protagonista di Mare in fiamme, con il suo lavoro di maestra elementare di alunni di ogni parte del mondo, interessata esclusivamente al loro benessere, veicola il messaggio che il comportamento individuale può fare la differenza e contribuire a quell’obiettivo.

Vogliamo davvero che bambini, donne e uomini non muoiano più in mare? Iniziamo con il farli viaggiare in aereo: apriamo corridoi umanitari con un grande piano europeo coordinato. L’Europa fu progettata come una grande confederazione accogliente, multiculturale, laica e pacifica, non come la fortezza che oggi è diventata. Anche storicamente, in barba al falso concetto delle “radici cristiane”, è stata un crocevia di culture e religioni diverse. La religione, la provenienza, la cultura di riferimento, devono restare fatti privati, non strumenti di pubblica discriminazione fra esseri umani di serie A e B, o peggio fra umani e non-umani sacrificabili.

Ho adorato la figura (o dovrei dire le figure?) del domestico di Orazio. Mi è piaciuta la sua rivoluzione rispetto ai sentimenti famigliari. Un po’ come se Marina fosse legata alla famiglia inconsciamente, e Gary invece quasi allontana questo legame per preservarsi. Qual è il suo rapporto con l’idea di famiglia?

È un’osservazione molto corretta. Gary si allontana dalla famiglia per preservarsi ma anche per preservare la famiglia stessa. Se lui cedesse al ricatto, perché di questo si tratta, rischierebbe di fallire, e con lui anche tutta la famiglia. Gary sa che separarsi da qualcuno non vuol dire dimenticarlo, e che il modo migliore per far bene, oltre che a se stessi, alla propria famiglia in difficoltà, è dare l’esempio vincendo per proprio conto quella difficoltà e dimostrando alla famiglia che anche gli altri possono farcela. Marina, invece, forse non è stata capace di separarsi nel modo corretto, ha messo “da parte” un po’ troppe cose, e vive un drammatico senso di colpa al cospetto di un padre ormai in coma, per cui cerca tardivamente di porre rimedio con un attaccamento nuovo, che la mette in crisi.

Se dovessi dare uno scopo a questo libro, quale pensi possa essere?

Nei limiti di quel che può fare un romanzo, fare un po’ di luce nell’oscurità. Quella del passato, nella quale si nascondono i feroci crimini di guerra italiani in Libia, e quella del presente, nella quale si celano invece le torture inflitte ai migranti di oggi in quello stesso paese. Vorrei che i lettori davvero capissero quanto noi italiani, con gli accordi italo-libici e (come se questi non bastassero) con le forniture di armi e mezzi navali, siamo corresponsabili dell’esistenza di centri di detenzione in cui donne e uomini disperati vengono imprigionati, più o meno come accadde a intere popolazioni nei lager di Graziani e Badoglio, sempre in Libia, negli anni venti e trenta. Spesso i migranti vengono dipinti come “invasori”, e questo è un aberrante ribaltamento. I soli invasori siamo stati storicamente e siamo tuttora noi, con la nostra pervasiva economia di mercato e con la depredazione del continente africano e delle sue immense risorse.

La scritta in copertina è in Arabo, questa preferenza è anche dovuta alla tua passione per le lingue?

È stata una bellissima iniziativa dell’editore, che ringrazio per aver saputo creare una copertina splendida. L’arabo è la seconda lingua della protagonista, io sono andato poco oltre l’alfabeto e la grammatica di base durante il “lockdown”, ma è bastato per scoprire quanto sia affascinante. Spero di riuscire a trovare il tempo per continuare.

Quanto il tuo lavoro di traduttore ha influito in questo libro?

Il mio mestiere di traduttore ha influito in realtà solo indirettamente, mettendomi in condizioni di poter gestire il mio tempo di lavoro in totale autonomia, barcamenandomi fra le due attività, ossia appunto la traduzione e la scrittura. E così, dopo altri racconti e romanzi scritti in questi anni, è arrivato anche Mare in fiamme.

Dejan Uberti
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