sabato, Luglio 27, 2024

La positività tossica uccide l’umanità: siamo colpevoli?

Emozioni. Giudizio. Due termini che non dovrebbero mai risiedere all’interno della stessa frase. Eppure, ciò si verifica con una frequenza allarmante. Ecco, teniamo a mente questo termine. Poiché il puntare il dito contro lo stato di psichico altrui può considerarsi un’azione dalle conseguenze devastanti. La positività tossica ne rappresenta un esempio lungimirante.

Che cos’è la positività tossica?

“Pensa a chi sta peggio”. “Per essere felice, ti basta desiderarlo”. “Andrà tutto bene”. Queste sono solo alcune delle classiche frasi promulgate dalla positività tossica. Sia chiaro. Nella maggior parte dei casi queste parole vengono pronunciate in buona fede. Dunque, vi è una totale assenza d’intenzioni malevole. Il punto è un altro. Ossia, che non sempre le intenzioni coincidono con l’effetto prodotto. Specialmente nel momento in cui ci si rivolge a qualcun altro. E, a maggior ragione, se sappiamo che il/la nostro/a interlocutore/interlocutrice sta attraversando un periodo difficile. Chiunque abbia sperimentato una profonda sofferenza lo sa bene. Talvolta, il dolore riesce a farci toccare il fondo. Ad ancorarci a un terreno dal quale sembra impossibile fuggire. Ci convince che non esista un’alternativa al male. Fa scaturire dentro di noi una rabbia spesso difficile da gestire. La quale, a sua volta, si attacca a quella fermezza fittizia. Di conseguenza, non è semplice scovare nel circostante una sfumatura salvifica. E, di certo, questa non ci verrà donata da chi ci liquida con un “Pensa positivo”.

E l’ottimismo?

Permane ancora oggi una convinzione fallace. Quella secondo la quale la positività tossica sia in realtà una forma espressa d’ottimismo. La realtà è tuttavia ben diversa. Non stiamo trattando di due facce della stessa medaglia. Dunque, proviamo a vederci più chiaro. L’ottimismo non è altro che la convinzione che, nonostante le insidie della vita, tutto possa sempre volgere per il meglio. Attenzione. Non stiamo parlando di un atteggiamento frivolo e superficiale. Sovente, una mentalità ottimista è frutto di una sofferenza atroce. Essere ottimisti/e non significa semplicemente “Vedere il bicchiere mezzo pieno”. Le persone ottimiste non sono esenti dal dolore. Né tantomeno lo ignorano. Piuttosto, possiedono un modo peculiare di elaborarlo. Riescono a mantenere un atteggiamento perseverante nei confronti del fluire vitale. Imparano dagli eventi dolorosi, utilizzandoli come leve per nuovi inizi. Quindi, ci troviamo di fronte a una tipologia di mentalità. A una caratteristica personale di alcuni individui. Ed è proprio questa la nostra chiave di lettura. Ciò che distingue l’ottimismo dalla positività tossica.



Il cambiamento proviene dall’interno. Per quanto il circostante possa incidere sulla nostra essenza, esso non è in grado d’imporci un mutamento. Ci trasformiamo quando sentiamo il desiderio di farlo. La necessità di calibrare l’andamento armonico del nostro fluire. Il cambiamento arriva da dentro. Ed è lì che si svolgono. Ora passiamo alla positività tossica. Quest’ultima non delinea una forma d’incoraggiamento. Né un tentativo d’infondere un po’ di forza al/alla prossimo/a. Anche perché, se l’ottimismo deriva da un percorso personale, come potremmo trasmetterlo in maniera attiva a qualcuno? La realtà è che non è possibile. La vita è composta da infinite sfumature. E ogni essere vivente le guarda da prospettive differenti. Attraverso filtri diversi. Nessuno/a. Neanche due persone apparentemente molto simili possiedono il medesimo costrutto mentale. Non è possibile conoscere appieno la psiche altrui. Dunque, non è di certo compito nostro giudicare l’intensità del dolore. Né possiamo arrogarci il diritto di risolvere la questione in modo semplicistico. Lacerando una ferita già di per sé sanguinante.

La positività tossica uccide

No. Il titolo di questo paragrafo non è sensazionalistico o esagerato. Esso descrive la realtà dei fatti. La positività tossica uccide. E le sue vittime sono ancora troppo celate nell’ombra. Proviamo a descrivere il processo “Standard” col quale questo fenomeno colpisce. Immaginiamo una persona immersa in uno stato depressivo. La quale non intravede più alcun senso a questa vita. Si guarda intorno. E vede il vuoto. Esplora se stesso/a. E constata il vuoto cosmico. Quelle azioni che gli/le permettevano d’assaporare il sapore della vita sembrano ormai eclissate. Magari arriva a credere che tutto questo fluire sia talmente caotico, che l’unica soluzione commensurabile sia sparire. Privarsi della vita stessa. Ecco. Teniamo a mente questo scenario. Ricordiamoci che la sua frequenza è più alta di quel che pensiamo. Perfino la persona più vicina noi potrebbe rispecchiarvisi, senza che nessuno/a se ne renda conto. Adesso, come possiamo pretendere che un “Sorridi e il mondo ti sorriderà” possa svoltare la situazione? Anzi, non solo questa o frasi simili lasciano il tempo che trovano. Esse possono ferire a morte.

Parola d’ordine: accettare

Abbiamo affermato che non sempre le intenzioni coincidono con gli effetti provocati. Nel caso della positività tossica l’esempio è lampante. Pur possedendo i migliori propositi, alcune espressioni provocano danni immensi. Questo perché nel momento in cui rispondiamo all’esposizione della sofferenza con un “Pensa positivo”, non offriamo conforto alla persona dolorante. Piuttosto, la facciamo sentire sbagliata. La nostra società ha decretato che esistono emozioni di serie A ed emozioni di serie B. Rispettivamente: quelle che rispecchiano la felicità e quelle che si avvicinano alla tristezza. Le prime sono socialmente accettate. Le seconde, non sempre. Si fa fatica ad accettare il dispiacere. È la contraddizione del secolo: la depressione è la patologia più diffusa a livello globale. Eppure il mondo ti dice di sorridere. Il web è colmo di pubblicità illusorie. Le quali raccontano di persone che in un battito di ciglia sono diventate felici e realizzate solo perché hanno deciso di reagire. La realtà è però ben diversa.

Il cambiamento non avviene in maniera così repentina. Esso richiede lentezza. E in questa assenza di rapidità si sussegue un’infinità d’emozioni. Alcune di esse possono farci toccare il fondo. Sebbene sia tutt’altro che facile accettarlo, farlo è di fondamentale importanza. Tutte le emozioni meritano di essere ascoltate. Elaborate. Accettate. Sia individualmente che a livello collettivo. Anche queste fanno parte della cosiddetta normalità. Del fluire della vita. E non è ignorandole o trattandole con sufficienza che ce ne libereremo. Poiché, per quanto sia importante assaporarle, è anche comprensibile volersene liberare. Imparare a gestirle. Al fine che s’insorga quella tanto agognata rinascita.

Come comportarsi?

Quando si verifica un evento tragico spesso vi è una frase che risuona con un’eco rimbombante. “Si poteva fare qualcosa prima”. E, nella maggior parte dei casi, tale locuzione è veritiera. Sono molti i drammi che, se valutati e trattati in maniera differente dal principio, magari si sarebbero evitati. Ciò vale altresì per uno scenario non così raro, quando si è vittime di positività tossica. Stiamo parlando dell’autolesionismo e del suicidio. Magari alcuni/e lettori o lettrici strabuzzeranno gli occhi nel vedere questi termini così forti apparire all’improvviso. Eppure, è inutile girarci intorno. Perché la realtà dei fatti è proprio questa. Una sofferenza non ascoltata può condurre a un pensiero manipolato dalla depressione. Il quale, in alcuni casi, si trasforma in azione. La domanda che dovremmo porci è: siamo in grado di salvare una persona da queste conseguenze? Trovare una risposta non è semplice. E di certo non possiamo farlo in maniera univoca. Tuttavia, vi è un aspetto di cui vale la pena discutere. Quello riguardante l’ascolto.

Ascoltare fa la differenza. Ascoltare attivamente qualcuno può offrirgli la via per uscire dal baratro. L’ascolto attivo e privo di giudizio è la chiave. Insieme alla comprensione. All’empatia e alla comprensione. Se invece di trattare con sufficienza gli/le altri/e, cominciassimo a comportarci come esseri umani, ecco che molte cose cambierebbero. Sarebbero molteplici le persone che inizierebbero ad assaporare la vita. A distinguerne i colori. A scovare la bellezza tra le sue infinite sfumature. E magari a riscoprire la felicità. La leggerezza. Quelle emozioni e sensazioni tanto acclamate dai media, ma che vengono spesso raccontato con fare di banalità. C’è chi afferma che la vita sia un dono. La vita, però, non è affatto un dono. Essa è piuttosto un dato di fatto. È la realtà. Siamo noi che possiamo o meno percepirla come un regalo. E chissà come si trasformerebbe la società, se ognuno/a di noi rappresentasse il dono di qualcun altro/a.

Related Articles

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here

- Advertisement -spot_img

Latest Articles