Le storie segnano una persona, una famiglia, un’intera città. Se rappresentano una lotta importante come quella contro la mafia, segnano un intero Paese. Una di queste storie è quella dell’ispettore Giovanni Lizzio.
La vita di Giovanni Lizzio
Nato a Catania nel 1945, Giovanni comincia la sua attività nel corpo della Polizia di Stato a Napoli, ottenendo successivamente il trasferimento a Catania. Uomo semplice, marito e padre di due figlie. Immerso costantemente nel lavoro, divenne un esperto conoscitore delle dinamiche del potere mafioso, scardinandone i teatrini. Nel 1991 venne trasferito al nucleo anti-racket. Il “pizzo” e la lotta contro la corruzione divennero l’oggetto delle sue indagini. Proprio nove giorni prima della sua morte, chiuse un’importante operazione che portò all’arresto di quattordici membri del clan Cappello.
L’assassino delle mani mafiose a Lizzio
“Era una sera d’estate quando mio padre non tornò più a casa perché venne ucciso dalla mafia”. Così iniziava l’intervista nel 2017 a Nemo Nessuno Escluso, la figlia dell’ispettore Giovanni Lizzio, ucciso a Catania il 27 luglio 1992. La sera di quel 27 luglio, Lizzio si trovava nella sua automobile al semaforo in Via Leucatia, nel quartiere Canalicchio di Catania. Lì fu raggiunto da due sicari che gli spararono sei colpi di pistola: morì poco dopo l’arrivo in ospedale. Inizialmente venne allontanata la pista dell’omicidio di mafia. Tuttavia, nella stagione in cui questa usava il metodo delle autobombe per far capire chi comandava, per allontanare “quelli come Lizzio”, il cui operato risultava oltremodo scomodo, la realtà non tardò ad arrivare.
La testimonianza di Di Raimondo e il processo
Così, nel 1998 il collaboratore di giustizia Natale Di Raimondo dichiarò: “Erano i primi di luglio e mi recai al bar Ambassador dove incontrai Aldo Ercolano e Salvatore Santapaola. In quell’occasione mi diedero l’ordine di uccidere l’ispettore Lizzio”. La testimonianza di Di Raimondo inserì l’omicidio Lizzio come uno dei tasselli fondamentali della storia mafiosa. Con il processo “Orsa Maggiore” Nitto Santapaola fu condannato all’ergastolo come mandante dell’omicidio. “Non si fermava mai, con quell’aria sicura di sé e un po’ strafottente” così lo descrive nel suo libro Catania Bene Sebastiano Ardita, componente del CSM. Giovanni Lizzio, quella notte, morì, ma non smise di essere uomo, marito, padre e poliziotto ed il suo coraggio vive ancora oggi.