venerdì, Dicembre 13, 2024

La strage di Via dei Georgofili: quando la mafia colpì il cuore di Firenze

Una delle pagine più tristi della storia italiana nel XXI secolo si aprì il 27 maggio del 1993. Oggi, ricorre il ventisettesimo anniversario della Strage di via dei Georgofili a Firenze, ad opera di Cosa Nostra. Nella notte tra il 26 ed il 27 maggio, alle ore 01.04 del mattino, un’autobomba esplosa tra via dei Georgofili e via Lambertasca mutilò il centro della città di Firenze.

Un fortissimo boato, avvertito anche nei quartieri limitrofi, aprì nell’asfalto un cratere profondo circa 2 metri. Nell’immediato, si ipotizzò che la causa fosse una fuga di gas. Tuttavia, l’odore di polvere da sparo che aleggiava nell’aria non lasciò spazio all’immaginazione e le successive conseguenze confermarono i dubbi.

Nell’attentato dinamitardo persero la vita Angela Fiume, custode dell’Accademia dei Georgofili ed il marito Fabrizio Nencioni, insieme alle due figlie. La più grande aveva 9 anni, 50 giorni di vita la più piccola. Anche Dario Capolicchio morì quella notte, era uno studente di architettura di 22 anni. Moltissimi furono i feriti ed ustionati, di cui alcuni molto gravi. Una settantina le famiglie evacuate dalle proprie case, danneggiate e bruciate.

La conta dei danni

Le immagini di questo scenario apocalittico circolarono in tempo reale. L’Italia intera assisté attonita a questo sciagurato evento.

La Torre dei Pulci, ospitante l’Accademia dei Georgofili, subì ingiurie ingenti. La Galleria degli Uffizi ebbe danni irreversibili. Colpiti gravemente molti dei preziosi dipinti ivi conservati. Tre di essi furono irrecuperabili, altri trenta immediatamente sottoposti ad una fina opera di restauro.

Inoltre, si riscontrarono danni al Corridoio Vasariano, a Palazzo Vecchio e sul Ponte Vecchio.

Fortunatamente i capolavori maggiori erano protetti da vetri appositi che pararono l’urto, salvandoli dalla distruzione in atto.

Le indagini condotte portarono ad individuare i colpevoli in alcuni esponenti di clan mafiosi facenti riferimento a Cosa Nostra. Nel processo, (maggio 1996 – giugno 1998) con la sentenza di primo grado, ben 14 ergastoli caddero sulle teste di coloro riconosciuti come i mandanti della strage. Tra essi spiccano nomi quali Giovanni Brusca, Bernardo Provenzano, Leoluca Bagarella e Matteo Messina Denaro. Nel 2002 la Cassazione confermò le pene.

Alla ricerca di un perché

In seguito agli attentati del ’92 in cui, tra gli altri, rimasero uccisi i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, la mafia era intenzionata ad affermare la propria supremazia. In particolare, l’obiettivo era indurre lo Stato a ritirare le misure dell’articolo 41-bis, del Codice penale. Esso prevede infatti il carcere duro e l’isolamento ai condannati per reati di mafia. Inoltre, il bersaglio erano le norme istituite al fine di incentivare la collaborazione con la giustizia.

Sulla scia di via dei Georgofili si inserirono altri attentati tra cui quelli attuati a Roma presso le chiese di San Giovanni in Laterano e San Giorgio al Velabro il 27 luglio 1993. Il 29 luglio dello stesso anno toccò al Padiglione di arte contemporanea a Milano, in via Palestro. Il massaggio doveva giungere forte e chiaro alle Istituzioni ed all’opinione pubblica.

Nel mirino: il Patrimonio storico ed artistico

Secondo le testimonianze fornite dai pentiti, tra cui Giovanni Brusca, si giunse a conoscere il retroscena di queste stragi.             

“Ucciso un giudice questi viene sostituito, ucciso un poliziotto avviene la stessa cosa, ma distrutta la Torre di Pisa veniva distrutta una cosa insostituibile con incalcolabili danni per lo Stato”. Con tali parole, che suonano come una dichiarazione di guerra (e di guerra effettivamente si tratta) si comprende chiaramente perché la mafia rivolse la sua violenza sui beni culturali del Paese.

Fu così che, sotto consiglio del trafficante d’arte Paolo Bellini, la mafia puntò al cuore di una delle città più ricche in termini di Patrimonio storico, artistico e culturale, Firenze.

Insomma, Cosa Nostra voleva minare qualcosa che non potesse risorgere dalle sue ceneri. Annientare, distruggere ed impedire la rinascita. Tuttavia, nonostante il duro colpo, nemmeno questa volta l’opinione pubblica mutò parere. Continuò a condannare apertamente la condotta mafiosa

L’ Associazione familiari delle vittime della Strage di Via dei Georgofili

Per rappresentare le vittime cadute nella strage e per mantenerne vivo il ricordo, si è formata l’associazione dei familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili. L’obbiettivo è non lasciare che si spengano i riflettori sulla devastazione compiuta. Promuovere eventi e manifestazioni.

È costituita da persone determinate a non piegare il capo dinnanzi alle ingiustizie perpetrate dalla mafia.

Chi ne fa parte vuole infatti stimolare l’attenzione sulle stragi mafiose per non lasciarle cadere nell’oblio. Al silenzio, all’indifferenza, vi è chi preferisce accertare la verità. Non brancolare nel buio, alla mercé delle efferatezze compiute.

La storica presidentessa dell’associazione, Giovanna Maggiani Chelli, deceduta nell’agosto 2019, è uno dei simboli di questa lotta. La figlia subì danni a causa dell’attentato e lei prese parte alle indagini collaborando attivamente con le forze dell’ordine. Non mancò mai ad un processo contro Totò Riina ed altri boss mafiosi.

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