Greenpeace auto: il suo studio non convince

L'associazione ambientalista pubblica un comunicato sui costruttori "cattivi", ma il ragionamento è discutibile

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Stazioni di ricarica per auto elettriche
I dati del Regno Unito sulle colonnine di ricarica per auto elettriche.

A Greenpeace non piacciono le auto, brutte, sporche e cattive. E fa l’elenco delle case automobilistiche malvagie, quelle che secondo loro non fanno abbastanza per contrastare il cambiamento climatico. È questa, in sintesi, la storia di uno studio da loro fatto sugli impegni dei costruttori nella riduzione delle emissioni di anidride carbonica. Il risultato è che la maglia nera va alla Toyota, accusata di non fare nulla per ridurre la CO2. La valutazione generale del comparto è comunque negativa, un vero “j’accuse” all’industria. Ma c’è qualcosa, in questo studio, che lo rende poco scientifico.

Cosa non convince dello studio di Greenpeace sulle auto?

Il metodo con cui viene misurata l’ecologia del comparto è assai discutibile. Si tratta, sostanzialmente, di confrontare il numero di auto elettriche prodotte con quelle vendute. A questo si aggiungono piano di abbandono dei veicolo a motore termico, e i dati sulla filiera del trasporto e delle forniture esterne. L’inghippo è evidente: dare per scontato che basti aumentare il numero di vetture elettriche per decarbonizzare il settore, come se l’elettricità esistesse in natura e le batterie crescessero sugli alberi. Ma quello che fa storcere davvero il naso è l’attacco a Toyota, a cui l’associazione ambientalista attribuisce la maglia nera. Ma come? L’azienda leader dell’ibrido, che lavora anche sull’idrogeno, è il peggiore impattatore del settore? La spiegazione di Greenpeace è sconcertante. “La Toyota è tra gli attori industriali più loquaci nella difesa dei motori endotermici“, si legge nel rapporto. Il riferimento è alle parole del presidente del Gruppo, Akio Toyoda, il quale aveva avvertito sulla pericolosità di un’elettrificazione troppo affrettata. Solo per questa affermazione, dettata dal buonsenso, Greenpeace dipinge la Toyota come un criminale. Insomma: il problema è nel motore termico in quanto tale, e non nelle azioni effettivamente intraprese per risolvere il problema.


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Approccio poco scientifico

La Toyota ha introdotto il motore ibrido nel 1997, contribuendo significativamente alla riduzione delle emissioni climalteranti. In media, un propulsore di questa natura riduce tali emissioni del 20%. Ma secondo Greenpeace non è abbastanza, perché comunque la parte a pistoni usa combustibili fossili. Ma chi l’ha detto che un motore a combustione usa per forza un carburante fossile? E chi ha detto che un motore elettrico usa solo energie rinnovabili? I fatti dimostrano il contrario. Non solo: dai dati citati emerge una sopravvalutazione dell’impatto ambientale del trasporto privato. I mezzi di locomozione in generale emettono, secondo lo studio, il 24% della CO2 mondiale. Ma dalle auto e moto private arriva meno della metà del gas pericoloso. Lo stesso studio ammette che la produzione di energia elettrica emette molta più anidride carbonica del trasporto privato. Ma va? E con che cosa funzionano le auto elettriche, secondo loro? Il cortocircuito qui è evidente: tra ragionamenti circolari e cifre interpretate liberamente, Greenpeace dimostra che, quando si parla di mobilità, il pregiudizio spesso prevale sulla scienza.


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