venerdì, Maggio 24, 2024

Aggressività e condotte violente nel bambino

Parlando di aggressività e condotte violente nel bambino, bisogna considerare ciò che significa aggressività, quindi andare a dare una definizione del concetto di aggressività in quanto stato o potenzialità. Inoltre, è importante comprendere che il significato di aggressività si modifica a seconda della disciplina di cui è oggetto di studio, cioè dal punto di vista neurofisiologico, etologico e psicologico o psicoanalitico. Così si potrà parlare di basi per le differenti condotte aggressive.

L’aggressività

Può essere definita come un comportamento intenzionale, finalizzato a colpire verbalmente o fisicamente un’altra persona, o a distruggere oggetti.

Essa, nel bambino, rappresenta che qualcosa è fuori controllo e che ha bisogno di aiuto per ritrovare l’equilibrio.

Esistono una serie di caratteristiche che delineano una descrizione fisica del soggetto aggressivo:

  • peli che si raddrizzano;
  • aggrottarsi delle sopracciglia;
  • grida.

Questi sono alcuni indici di aggressività.

A seconda della disciplina di cui è oggetto di studio, assume un preciso significato.

Il neurofisiologo vuole descrivere le condotte senza avere pregiudizi sulla loro intenzionalità. Egli vuole localizzare a livello di Sistema Nervoso Centrale il centro dell’aggressività.

L’etologo studia l’individuo quanto più possibile nel suo ambiente naturale e nelle sue interazioni con gli altri individui. Quindi, quando tenta di comprendere l’aggressività, la studia tenendo conto del fattore dell’intenzionalità. Come pure dell’aspetto della relazione all’interno di un gruppo sociale.

Secondo l’aspetto psicoanalitico, l’aggressività è una realtà dell’infanzia e bisogna distinguere:

  • le condotte aggressive come espressioni agite di pulsioni severe;
  • i fantasmi di aggressione o di distruzione nei quali oggetto e soggetto sono spesso confusi, l’Io e il non Io indistinti;
  • le fantasie aggressive in cui il bambino elabora gradualmente il suo spazio psichico.

Le condotte aggressive

Il bambino può reagire alla mancanza e alla frustrazione con aggressività, ovvero con rivendicazioni più o meno aggressive nei confronti di chi gli sta attorno. Domanda, reclama, esige. Le prime condotte direttamente aggressive si manifestano alla fine del secondo anno d’età e durante il terzo. Prima di queste età, il bambino piccolo può presentare reazioni di rabbia con violenza e agitazione. Ad esempio, può battere i piedi, gridare quando non ottiene ciò che si aspetta. Verso i tre anni possiamo parlare di un comportamento positivo e collerico. Attacca, graffia, tira i capelli e morde i bambini della sua età. Verso i quattro anni, il bambino può esprimere la sua aggressività in maniera verbale.

Nei casi estremi il bambino si definisce come ‘aguzzino familiare’, ovvero un bambino molto piccolo che comanda tutta la famiglia attraverso il suo comportamento. Si tratta dei bambini cosiddetti ‘impulsivi’ che, alla minima contrarietà, entrano in collere violente e anche in vere reazioni di rabbia. Utilizzano gli altri e soprattutto i genitori come strumenti a loro disposizione. Non tollerano ritardi nella soddisfazione delle loro richieste.

Le condotte autoaggressive

Esistono anche condotte autoaggressive. Ne fanno parte le automutilazioni e le condotte pericolose.

Le automutilazioni

Le automutilazioni sono rappresentate da graffi sul proprio viso, mordere le proprie dita, talvolta fino al sangue, colpi della testa o di una parte del corpo contro il pavimento o la parete del letto.

Si verificano tra i sei mesi e i due anni e scompaiono lasciando il posto alle condotte etero aggressive. Ancora, l’onicofagia o il grattamento delle croste fino alle grandi automutilazioni.

Le condotte pericolose

Possono rappresentare delle sfide per mettere in pericolo la propria vita. Ad esempio, camminare sul bordo di un precipizio o di un balcone senza parapetto, o attraversare la strada in velocità chiudendo gli occhi o mentre passano veicoli, con più o meno coscienza del rischio.

Il trattamento

Ad alcuni di questi comportamenti e condotte può non essere data la giusta attenzione. Possono essere scambiati per capricci e vizi. E le condotte pericolose come ripetuti incidenti. O come risultato di una fatalità. Mentre è importante capire il contesto in cui avvengono. Comprendere quando interviene il fattore psicopatologico.

Qui il fattore educativo ricopre un ruolo fondamentale. L’adulto vittima può dimostrarsi debole e incapace di dare un limite al bambino. Quando è più grave la reazione di intolleranza alla frustrazione, può comparire per motivi minimi anche al di fuori di qualsiasi relazione con una persona e provoca una disorganizzazione completa del comportamento del bambino.

Si realizza la sequenza collera-agitazione-calcio o pugno.

L’adulto deve intervenire accompagnando il bambino presso un professionista, per avere un colloquio psicologico. Il clima deve essere di confidenza e di prudenza. Bisogna attenersi al racconto del bambino facendo riferimento ai temi del disagio, dei sogni e degli incubi. In tal modo si può comprendere il contesto in cui si manifestano i comportamenti aggressivi. Come pure capire il contesto relazionale e familiare nel quale il bambino vive. Capire se i genitori sono fragili o immaturi. Quindi se intervenire anche sulle figure adulte di riferimento. Ma soprattutto risalire all’origine e alle cause delle condotte del bambino.

https://www.periodicodaily.com/la-tricotillomania-nei-bambini/

Donatella Palazzo
Donatella Palazzo
Psicologa individuale, familiare e di coppia, e scrittrice. Sessoanalista (Istituto Italiano di Sessoanalisi e Dinamiche Sessuali). Specialista delle Risorse umane. Progettista in ambito sociale e scolastico. Membro dello Staff della Casa Editrice Noitrè. L'attività comprende, tra l'altro, la valutazione dei contributi di prossima pubblicazione, l'organizzazione degli eventi da presentare al pubblico e altro in ambito culturale.

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