Sex workers: un mondo professionale assolutamente reale, ma poco considerato dalla Legge italiana

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L’Italia è un Paese decisamente indietro per quel che riguarda la regolamentazione del lavoro dei cosiddetti sex workers, ovvero coloro che fanno del sesso una professione.

Sebbene questo sia sicuramente un argomento particolare, su cui ognuno può avere le proprie idee dal punto di vista etico e sociale, l’esistenza di queste attività è un dato di fatto.

Quella dei sex workers è una delle categorie professionali più diffuse in Italia

Secondo i dati presentati in un report pubblicato sul sito web di EA Insights, in Italia quella dei sex workers sarebbe una delle categorie professionali più diffuse in assoluto: si ritiene infatti che sul territorio nazionale operino ben 120.000 escort, cifra seconda solo a quella di medici ed odontoiatri (366.084), avvocati e procuratori (243.233), ed ingegneri ed architetti (168.851).

È sufficiente una semplice ricerca in rete, d’altronde, per rendersi conto di come la disponibilità di escort sia altissima in qualsiasi città: chi è di Napoli, ad esempio, su portali dedicati come escortime.love può trovare tantissimi annunci di incontri, e così in qualsiasi altra provincia del bel Paese, da Nord a Sud.

Bisogna peraltro sottolineare che le escort non sono le sole a comporre la categoria dei sex workers: sebbene siano in minoranza, infatti, vi sono anche degli uomini che si dedicano a questo tipo di attività.

Prostituzione: cosa è legale e cosa no per la Legge italiana

Ancor prima di spiegare perché l’Italia è una nazione poco all’avanguardia da questo punto di vista, è utile rispondere ad un’importante domanda di fondo: la prostituzione è legale?

La risposta è affermativa: in Italia la prostituzione è legale, sono invece illegali eventuali attività collaterali come lo sfruttamento ed il favoreggiamento.

La legge che regolamenta la prostituzione risale addirittura al 1958

Sebbene negli ultimi anni vi siano stati diversi disegni di legge su tale questione, nessuno di essi è stato calendarizzato, e la norma che disciplina lo svolgimento di questa professione è assolutamente datata: stiamo parlando della Legge Merlin del 1958.

A detta di molti, il principale limite di questa legge è nel fatto di considerare i sex workers come delle vittime, come dei soggetti da reinserire socialmente, ma questa è una visione divenuta del tutto obsoleta dal momento che oggi la grande maggioranza dei professionisti del settore intraprende quest’attività in maniera libera e consapevole: d’altronde costringere o indurre qualcuno a prostituirsi, sulla base di quanto detto in precedenza, configura di per sé un reato.

I sex workers devono pagare le tasse, ma non hanno un codice ATECO dedicato

Il fatto che la normativa vigente sia così datata e per nulla in linea con il mondo odierno crea non pochi problemi, oltre a dei veri e propri paradossi.

Quello più lampante è nel fatto che sebbene le prostitute siano chiamate a pagare le tasse sui redditi maturati tramite il loro lavoro, il fisco non prevede nessun codice ATECO per questo tipo di attività; il codice ATECO, è bene sottolinearlo per chi non lo sapesse, è un codice identificativo del tipo di attività economica svolta, che deve essere associato a qualsiasi partita IVA.

L’unica soluzione perseguibile, dunque, è quella di esercitare l’attività di Sex Worker utilizzando un codice ATECO similare o generico, ma che non indica in maniera esplicita, appunto, il tipo di attività svolta.

Le scarse tutele per chi esercita questa professione

Oltre a questo, il fatto che questo tipo di attività sia riconosciuta soltanto in maniera parziale implica delle ulteriori criticità, inerenti soprattutto la sicurezza dei professionisti dell’eros, da intendersi sia come incolumità nell’incontro con persone non conosciute che come benessere sanitario.

Per chi svolge professioni simili, infatti, avrebbero una particolare importanza dei controlli sanitari periodici, non a caso nei più recenti disegni di legge si è parlato proprio di questo.

La legge vigente, però, rimane quella già citata, una norma vecchia e che, soprattutto, di fatto non assicura alcuna tutela a chi lavora in questo settore.