sabato, Luglio 27, 2024

Male gaze: quando lo sguardo maschile detta legge

L’abilità di comprendere il circostante fa parte di ogni essere vivente senziente. Chiunque, anche il più piccolo degli abitanti della Terra, osserva il mondo da una determinata prospettiva. Non esiste, dunque, un punto di vista univoco. Né, tantomeno, un paio di lenti universale. Tuttavia, non è per niente facile possedere una visione della vita per nulla viziata dalla cultura e dalla società in cui si è immersə. Una delle molteplici dimostrazioni di questa realtà la troviamo nel male gaze.

Che cos’è il male gaze?

L’espressione “male gaze” nasce inizialmente in campo cinematografico. Nell’anno 1975 la studiosa di cinema e regista Laura Mulvey conia questo termine in seguito a uno studio di carattere sociologico riguardante la produzione del cinema classico americano dell’epoca. Ciò che la donna nota è infatti la tendenza a far prevaricare un determinato punto di vista, vale a dire quello dell’uomo adulto eterosessuale. Vale a dire che, sebbene gli occhi di chi guarda la pellicola siano diversi, il target che si prende in considerazione è univoco. A dimostrarlo sono le stesse scene nonché le trame dei vari film.

Basti osservare i ruoli ricoperti dalle donne. Non a caso, si tratta molto spesso delle cosiddette “donzelle da salvare”, che puntualmente si risolleveranno da una situazione di disagio grazie a un uomo. Oppure, un’altra figura frequente è quella della moglie infedele o quella dell’amante. O ancora, quella della moglie e madre perfetta. Colei che si occupa unicamente della prole e della casa, senza però venire a meno alle esigenze del marito. Dobbiamo inoltre tenere a mente il fattore estetico. Raramente, le donne vengono rappresentate in maniera trasandata o casual. Si predilige, infatti, un vestiario succinto, che metta in risalto le forme delle protagoniste.


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L’importanza del linguaggio multimediale

“Lo squilibrio di potere tra i generi al cinema è costruito per il piacere dello spettatore maschile ed eterosessuale perché, in una società di stampo patriarcale, è considerato sempre il primo target di riferimento”. Sono queste le parole con cui Laura Mulvey descrive il concetto di male gaze nel suo saggio “Visual Pleasure”. Sono trascorsi parecchi anni da quando quelle parole furono incise per la prima volta su un foglio bianco. Dunque, quel che ad oggi ci domandiamo è se effettivamente esse trovino un riscontro anche nell’attualità. Non è così semplice trovare una risposta. Partiamo dal presupposto che bisogna districarsi fra una miriade di società e culture diverse. Con lo scorrere del tempo, si attuano una serie di cambiamenti intrinsechi alle molteplici popolazioni mondiali. Ciò implica, altresì, un mutamento dei metodi comunicativi. Da questi non sono esclusi i linguaggi multimediali, come, per l’appunto, quelli mediati dal cinema e dalla televisione.

Non a caso, questo è definibile come una vera e propria lingua. In genere, si pensa all’atto di guardare lo schermo come a un momento di svago. Il che non è del tutto falso. Porsi di fronte a un monitor che ci racconterà una storia può rappresentare un buon metodo per rilassare la mente. Tuttavia, non si tratta di un gesto completamente passivo. Il nostro cervello incanala ogni minima informazione proveniente da quella proiezione. Assorbe ogni dettaglio, sfumatura e sottigliezza. Ne fa tesoro. Tanto da renderle sue. Quante volte, infatti, ci capita di osservare il nostro modo di parlare o d’agire, notando la somiglianza con un qualche contenuto multimediale magari visionato di recente? Accade più spesso di quanto possiamo immaginare. Ecco perché è importante rendersi conto di come il cinema e la televisione ci parlano del circostante.

Il male gaze è ancora un fenomeno attuale?

Nel paragrafo precedente ci siamo postə una domanda, senza però trovarne risposta. Riproviamoci: possiamo considerare il male gaze un concetto facente parte della società odierna? Per quanto riguarda il mondo del cinema e della televisione, ci sono da tenere in considerazione vari aspetti. Di certo, rispetto all’epoca a cui risale l’origine della questione, molte cose sono cambiate. Sullo schermo non appaiono più solo ed esclusivamente la “femme fatale” o “l’angelo del focolare”. La figura femminile viene ormai rappresentata in parecchie delle sue sfumature. Tuttavia, persiste una forte oggettivazione delle donne. Le quali, ancora molto spesso, non fanno altro che dar voce agli stereotipi duri a morire nella vita reale.

Dietro le quinte

Il male gaze non rappresenta una problematica legata esclusivamente al mondo dello spettacolo. Bensì, un fenomeno che ancora al giorno d’oggi attanaglia la società. Proviamo a esaminare il termine più da vicino. In inglese, “male” significa “maschio”. Mentre il verbo “to gaze” vuole dire “fissare con lo sguardo”. Da qui si comincia a comprendere meglio il senso dell’espressione. Il punto di vista maschile, fino a meno di un secolo fa, era considerato l’unico punto di vista valido. Nel corso della storia, la voce delle donne è sempre stata soppressa da quella degli uomini. Tant’è che, ci sono volute almeno tre ondate di femminismo per far sì che le cose cambiassero almeno in parte. Di certo, sono stati compiuti molti passi avanti. Tuttavia, non possiamo ancora affermare d’aver tagliato il traguardo. Sono infatti ancora molti gli ambiti in cui la parità di genere è inesistente. In cui la prospettiva femminile non viene presa in considerazione.

Non serve guardare tanto lontano per rendersene conto. È sufficiente riflettere su tutti quegli aspetti della vita nella quale le donne non possiedono pari diritti rispetto agli uomini. Per non parlare delle discriminazioni subite dalle persone non binarie. Ciononostante, possiamo allontanarci ancora meno per comprendere il male gaze. Quante volte le donne si sentono giudicate per il loro modo di vestire? Quanto spesso quest’ultimo funge da giustificante nei casi in cui si subisce violenza? La verità è che ancora oggi, nel 2023, succede troppo di frequente. Il fatto che esista una sorta di “dress code” da rispettare per non andare incontro alla sopraffazione maschile, ci dovrebbe quantomeno far riflettere. In questo modo, continua a protrarsi il messaggio che è necessario comportarsi e vestirsi in una maniera ben precisa. Altrimenti, in caso di pericolo, sarà la donna la carnefice di se stessa.

Cambiamo angolazione?

Il mondo è composto da infinite sfumature. A seconda degli occhi che assistono alla vita, se ne possono scorgere diverse manciate. Nessun essere vivente riuscirà mai a comprendere la vita nella sua interezza. Ognuno di essi, però, raccoglierà diverse gradazioni di colore. Alcune più sgargianti, altre più flebili. Tutte, però, importanti e valide. Partendo da questo presupposto, possiamo cominciare a costruire le fondamenta per una società più unita. Nella quale non esiste un punto di vista prevaricante, bensì, nella quale ogni singola sfumatura viene presa in considerazione in maniera paritaria. Il fatto che ancora oggi il male gaze influenzi nostro modo di vivere ci fa comprendere che la strada verso la parità di genere è ancora lunga. Lunga, però, non significa impraticabile. Ciò di cui necessitiamo è senz’altro un cambio di prospettiva. Abbiamo bisogno di una “wake up call”, come si dice in inglese. Di una sveglia, un campanello d’allarme. Qualcosa che ci faccia comprendere la necessità di ottenere dignità e diritti. Possiamo riuscirci fin da subito. Cambiando angolazione.



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