sabato, Maggio 18, 2024

Anniversario della nascita dello “scandaloso” Giovanni Boccaccio

A lungo si è discusso sull’esatta data di nascita di Giovanni Boccaccio, una delle tre corone della letteratura italiana medievale. Se l’anno era certo, il 1313, non altrettanto lo erano il giorno e il mese, tra giugno e luglio. Oggi possiamo dire con certezza che egli vide la luce a Certaldo (o a Firenze) il 16 giugno.

Cenni biografici

Figlio illegittimo del ricco mercante Boccaccino di Chelino e di una donna di cui nulla si sa, Giovanni avrebbe dovuto seguire le orme paterne ed esercitare la mercatura ma un talento precoce lo rivela uomo di lettere più che di affari. Dal 1327 al 1340 è a Napoli, presso la corte di Roberto d’Angiò. Nella città partenopea messer Boccaccino lavora come rappresentante dei Bardi, i banchieri della casa angioina. Sono anni di intensa vita mondana in cui Giovanni frequenta i circoli intellettuali più vivaci di Napoli. Nella cerchia della nobiltà angioina conosce la donna celebrata nelle sue opere con il nome di Fiammetta, presunta figlia illegittima di Roberto d’Angiò.

Il soggiorno napoletano permette a Giovanni Boccaccio di entrare in contatto con personaggi di notevole caratura culturale quali Cino da Pistoia e il frate domenicano Dionigi da Borgosansepolcro. Da loro apprende il nome e l’opera di Petrarca in cui Giovanni vedrà il suo magister. Non solo; la biblioteca angioina, ricca di testi che nel resto della penisola hanno scarsa o nulla circolazione, gli apre le proprie porte. Può così consultare una scelta assai nutrita di opere classiche, i romanzi francesi, la letteratura mediolatina, la poesia provenzale e quella stilnovista.

Conclusa la collaborazione tra messer Boccaccino e i Bardi, Giovanni torna a Firenze tra il 1340 e il 1341. Il passaggio dal fermento della corte di Roberto a una città pressoché sconosciuta è frustrante. Negli anni immediatamente successivi Boccaccio compone un cospicuo numero di opere e dà inizio a un’attività pubblica come ambasciatore, attività che si intensifica nei decenni ’50 e ’60. Se Boccaccio riveste un ruolo di primo piano nella vita politica, altrettanto si può dire sul piano culturale: il suo primato in città è indiscusso.

Intorno al 1350 inizia la serie di opere erudite a cui intende affidare la sua fama; scrive una biografia di Petrarca e si tuffa a capofitto nello studio della vita e delle opere di Dante, a cui dedica il Trattatello in laude di Dante. È Boccaccio il primo ad attribuire alla Commedia l’attributo “Divina”.

Nel 1360 prende gli ordini sacri; da questo momento si lascia alle spalle le opere in volgare e accresce la produzione latina di ispirazione classica e biblica.

A partire dal luglio 1361 si ritira a Certaldo dove conduce una vita di meditazione e studio. Nel frattempo continua a svolgere incarichi pubblici e, nonostante problemi di salute, viaggia senza sosta. Si spegne a Certaldo il 21 dicembre 1375.

Le opere anteriori al Decameron di Giovanni Boccaccio

Durante il soggiorno napoletano, Boccaccio compone un nucleo di tre opere narrative in volgare che coniugano il poema epico e l’elegia amorosa.

Il Filocolo attinge alla tradizione letteraria francese e narra l’amore tormentato tra Florio e Biancifiore. Qui Boccaccio sperimenta il motivo della “brigata” di giovani riuniti in un giardino a novellare che tanta parte avrà nel Decameron. Il Filostrato è il romanzo del tradimento, dell’amore che si corrompe. Il poema Teseida canta le gesta di Teseo, duca di Atene. Le opere che seguono il rientro a Firenze sono la Comedia delle ninfe fiorentine (o Ameto) e l’Amorosa visione. La prima è un prosimetro, cioè testo misto di prosa e poesia, la seconda è di chiara ispirazione dantesca.

Negli stessi anni vede la luce l’Elegia di madonna Fiammetta in forma di monologo della protagonista con cui Boccaccio offre una specie di romanzo psicologico o di confessio.

Il Ninfale fiesolano è un poema in ottave sulle origini mitologiche di Fiesole che si conclude con una breve storia di Firenze.

Il Decameron di Giovanni Boccaccio

La stesura dell’opera più nota di Boccaccio risale agli anni successivi alla peste del 1348. Il titolo ricalca quello di un trattato di sant’Ambrogio ed è coniato dallo stesso Boccaccio unendo due parole greche che significano ‘Dieci giornate’.

Nel 1348 la peste flagella Firenze cosicché un gruppo di dieci giovani, sette donne e tre uomini, decide di lasciare la città e rifugiarsi in campagna per sfuggire al contagio. Durante questo esilio volontario la vita è molto normata e regolata da occupazioni precise, stabilite dal “re” o dalla “regina” che la brigata elegge ogni giorno. I giovani suonano, cantano e, soprattutto, raccontano novelle, una ciascuno per dieci giorni — il novellare viene sospeso il venerdì e il sabato — per un totale di cento. Venuto meno il pericolo della peste, la compagnia fa ritorno a Firenze. Entro questa cornice si inscrivono le novelle; l’artificio della cornice è un topos della tradizione orientale che figura nelle Mille e una notte.

I grandi temi del Decameron sono amore e fortuna. L’amore è trattato con toni burleschi e scanzonati, non più elegiaci come nelle opere precedenti e spesso è definita amore la soddisfazione sessuale. La fortuna invece va intesa nel significato più ampio di ‘destino’, ‘caso’ o ‘fatalità’.

Altri due temi assai importanti nell’economia del Decameron sono il motto e la beffa. Il grande protagonista delle novelle di beffa è Calandrino, personaggio sempliciotto regolarmente gabbato da Bruno e Buffalmacco.

Se alcune novelle sono ispirate al mondo classico, assai importanti sono quelle che descrivono usi e costumi contemporanei, molti dei quali fustigati duramente da Boccaccio. La rappresentazione della vita così come essa è, senza l’idealizzazione della poesia, è l’eredità più preziosa del Decameron. Non è un caso che Geoffrey Chaucer ne abbia fatto tesoro nei suoi Canterbury tales.

L’ultimo Giovanni Boccaccio

Concluso il Decameron, Boccaccio si dedica alla stesura di trattati eruditi in latino. Ma l’opera più famosa della sua maturità è il Corbaccio, databile al 1365. Esso affonda le sue radici nella satira misogina che insegna a resistere alle lusinghe delle donne e mette in guardia dai loro inganni e dalla loro perfidia. Il protagonista ama, non ricambiato, una vedova. In sogno il defunto marito rivela i vizi e i difetti della donna, guarendo così l’altro dalle pene d’amore.

Ti piace la letteratura? Leggi anche il pezzo su Dante Alighieri

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