Se chiedete a cento persone la causa della morte di Freddie Mercury, voce e frontman dei Queen, tutte vi risponderanno nel medesimo modo, esattamente come farebbe ognuno di voi: AIDS.
Ma se utilizzassimo i criteri di questi ultimi due anni,il motivo della sua scomparsa sarebe etichettato come “broncopolmonite“. Qualche politico, col beneplacito del conduttore di turno, avrebbe gridato in in un talk show che “senza la polmonite non sarebbe morto!”
La causa della causa è la causa
L’assudità della cosa credo possa mettere d’accordo tutti, vaccinati e non vaccinati. D’altronde, uno dei presupposti del nostro Diritto è il vecchio adagio latino per cui “la causa della causa è la causa”.
Ergo: la polmonite non sarebbe stata fatale senza la fragilità causata dall’AIDS.
Due anni per fare lo stesso ragionamento
Qualcuno allora ci spieghi perchè ci sono voluti due anni per fare lo stesso ragionamento sul covid – che peraltro, diversamente dall’AIDS, o dall’Ebola e anche dalla SARS – ha statisticamente effetti trascurabili sulla quasi totalità delle persone: quelle in condizioni di salute anche solo “accettabili”.
Ridimensionando l’impatto anche sul piano della mortalità, e forse la definizione stessa di “pandemia”, e a ruota lo stato di perenne emergenza che giustifica i gravi – scientificamente ingiustificabili – provvedimenti di riduzione delle libertà individuali, e naturalmente l’opportunità di una vaccinazione di massa.
Le responsabilità, oltre l’emergenza
Ma il ragionamento pone domande anche riguardo la responsabilità di chi si è opposto alle terapie domiciliari, forse condizionando gli esiti della malattia in migliaia di persone
Insomma, se il computo generale delle vittime attribuite al covid possa essere invece ripartito tra la fragilità delle vittime e la mancanza di cure appropriate, una variabile sulla quale forse si sarebbe potuti intervenire. Quella che i giornali chiamano “malasanità”, ma di cui non parlano da due anni almeno.