Mai una gioia: il sorriso e la sua assenza nella storia dell’arte

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Mai una gioia

“Mai una gioia” verrebbe da dire guardando i lavori di pittori più o meno grandi che con le loro opere hanno arricchito la storia dell’arte. Per secoli, infatti, le pose dei soggetti ritratti, sono state serie, distaccate, indifferenti, quando non addirittura tristi.

L’assenza del sorriso

Questo è quanto emerge da un articolo della CNN in cui vengono riprese le riflessioni di Artsy, la piattaforma globale per conoscere, scoprire e collezionare arte. Differenti momenti storici hanno espresso sentimenti più o meno allegri, a seconda delle condizioni economiche, sociali, culturali di un determinato popolo, utilizzando ora il riso ora il pianto. L’espressione artistica ha spesso utilizzato modalità “tristi” nel suo offrirsi al pubblico. Non che ci fosse una predilezione per questo tipo di atteggiamento. Probabilmente la persistenza del dolore più a lungo di quanto non avvenga per la felicità, l’abitudine alla tristezza per cui “la funzione fa l’organo”, la difficoltà di rendere la gioia (nella musica, nella pittura, nel teatro, ecc.), maggiore di quella che serve superare per il dolore hanno reso, in linea di massima, l’opera artistica, “triste”.

La tristezza cristiana

Tuttavia, nel caso della storia della pittura, le ragioni sono state spesso anche di natura culturale estetica e pratica. L’arte classica, almeno fino all’avvento del Cristianesimo, non ha rinunciato alla rappresentazione di momenti felici, rappresentando danze, giochi, crapule bacchiche. Non mancano busti di imperatori romani che fanno intravedere un sorriso nell’austerità della loro posa. La religione cattolica, in occidente, ha quindi influito molto sull’espressioni dei personaggi ritratti nei quadri dei grandi artisti, almeno fino al Rinascimento inoltrato.

Problemi odontoiatrici

C’erano, però, dicevamo, anche ragioni estetiche per cui non era molto conveniente sorridere. È noto che per secoli l’igiene non abbia rappresentato un cruccio un aspetto importante della vita delle persone, sia che queste appartenessero al popolo, sia che si trattasse di ricchi signori. Era, quindi, improbabile che un duca o un conte desiderassero farsi ritrarre con denti gialli (se non addirittura neri) o in alcuni casi sdentati. Un popolano non avrebbe certo avuto le risorse economiche necessarie per commissionare un proprio ritratto, ma è interessante notare come i primi sorrisi, in un quadro, siano sui volti di rappresentanti della plebe.

Il riso ed il male

Oltre a ragioni estetiche il sorridere o meno indicava anche qualità morali. Emblematico sul tema “Il nome della rosa” di Umberto Eco che evidenzia come non mancassero espressioni d’un’arte comica nel Medioevo, dietro ed attraverso il riso, anche se spesso il ridere nascondeva il vizio. Bosch, ad esempio, nelle sue allegorie non manca di rappresentare visi ghignanti in un contesto tra il sacro ed il demoniaco. Il ridere, quindi, veniva identificato con il male. Non è un caso, allora, che a ridere siano musicisti, ubriaconi, meretrici, gente del popolo o artisti, persone sulla cui moralità si nutrivano di frequente forte dubbi.

Antonello da Messina e Leonardo

Una delle scuole pittoriche che non avrà pudore di rappresentare con le opere dei propri artisti delle persone sorridenti è quella fiamminga, riproponendo in più occasioni come tema dei vari lavori, il sorriso su una tela. Già nel ‘400, Antonello da Messina, attento studioso della scuola olandese e della sua osservazione diretta della realtà, dipingerà nel “Ritratto di un giovane” o in “Ritratto d’ignoto marinaio” dei ghigni e dei sorrisetti sulle labbra delle persone ritratte. Negli stessi anni viene fissato su tela il sorriso più ambiguo ed enigmatico della storia, quello della “Gioconda” di Leonardo da Vinci. Negli stessi anni il genio toscano aveva dipinto un altro ghigno, molto più compiaciuto e per certi versi sconcertante, quello del “San Giovanni Battista”.

“San Giovanni Battista” – Leonardo da Vinci

I fiamminghi del ‘600

Superate le condanne morali di stampo medievale e controriformista della gioia e del sorriso, nel ‘600 questa “espressione” torna ad essere rappresentata con ancora maggiore frequenza ed intensità ed ancora una volta tutto parte dall’Olanda. Il “Giovane uomo e donna in una locanda” di Hals o “Il violinista felice” di Van Honthorst rappresentano dei giovani ebbri dalla risata piena e quasi volgare. Per quanto spesso il riso sia associato al vino in questi quadri, manca una condanna morale estrema come avveniva in passato e quanto rappresentato è semplicemente quanto osservato dal pittore.

Caravaggio

In questa tradizione e nello stesso periodo, vanno inserite anche le opere di Caravaggio che se da un lato rompe il legame tra alcol ed allegrezza nel suo Bacco, dall’altro estremizza il piacere di ridere con il suo “Amor vincit omnia” (l’Eros trionfante) allegoria dell’amore e dell’adolescenza, un Eros giovane, con delle frecce in mano quasi malvagio nel suo ridere e che come ha evidenziato lo scrittore Nicholas Jeeves, quasi rappresenta una “celebrazione della tumultuosa passione omosessuale”.

“Amor vincit omnia” – Michelangelo Merisi da Caravaggio

Il riso e la passione

Attraverso Caravaggio il rapporto che legava l’alcool al riso viene sostituito da quello che lega il riso alla passione. Rubens, soprattutto, rappresenterà più volte volti di donna che sorridono maliziose e che trasmettono una carica di incredibile sensualità, come nel caso del “Ritratto di Isabella Brant” sua moglie. Nello stesso filone vanno inseriti il ritratto di “Doña Isabel de Porcel” di Goya o quello di “Madame Jacques-Louis Leblanc” di Porcelle.

“Il ritratto di Isabella Brant” – Paul Rubens

Problemi tecnici

Oltre ai motivi estetici e cultural-religiosi c’era un terzo motivo che rendeva molto difficoltosa la rappresentazione di un sorriso. Dipingere un quadro non è come scattare un selfie. Se, infatti, bastano pochi secondi per ritrarsi o ritrarre qualcuno in una posa felice oggi con uno smartphone, l’opera di un pittore richiedeva settimane e a volte mesi di pose continue per cogliere una determinata espressione ed una determinata linea delle labbra. Oltre ai problemi tecnici dell’artista c’erano, quindi da considerare anche la stanchezza e l’eventuale resistenza della persona in posa. Inoltre, rappresentare una persona sorridente avrebbe implicato l’assunzione del rischio di rendere il sorriso più importante della persona che sorrideva, attirando l’attenzione dell’osservatore su quello anziché su questa.

“Il massacro di Chios” – Yue Minjun

Il falso ridere del ‘900

Il sorriso tornerà ad eclissarsi nelle opere che vanno dalla rivoluzione industriale in poi, in seguito alla rigidità imposta dalla cultura borghese, puritana ed austera. Se ne avranno ancora tracce in forme d’arte minore come ad esempio la caricatura e successivamente il fumetto, ma nella grande pittura il ridere tornerà ad essere relegato al mondo dello spettacolo, alle ballerine, ai teatranti, alle prostitute. L’800 si chiude non a caso con Van Gogh che in punto di morte dirà “la tristezza durerà” ed il Novecento con Pasolini sarà costretto a confessare che le persone “non vivono in una società felice”, nonostante le apparenze. I sorrisi son riprodotti in serie da Warhol o diventano maschere, anch’esse seriali, come nell’opera dell’artista cinico cinese Yue Minjun, sulle cui tele le risate sguaiate dei suoi personaggi sembrano dissimulare una gioia inesistente o han pose afflitte e tragiche nell’urlare una felicità esasperata. Non restano che i sorrisi nei selfie, che durano il tempo dello scatto.

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Vittorio Musca
Sono Vittorio Musca, ho 39, sono originario di Torchiarolo, in provincia di Brindisi e vivo a Bologna anche se negli ultimi anni per studio o lavoro ho vissuto in Norvegia, Polonia, Repubblica Ceca e Germania. Ho conseguito due lauree. La prima in Scienze Politiche e la seconda in Lettere. Parlo inglese, italiano, spagnolo, tedesco e polacco. Mi piace leggere, prevalentemente classici della letteratura e della filosofia o libri di argomento storico, suono il clarinetto e provo, da autodidatta ad imparare a suonare il piano. Mi piacciono il cinema ed il teatro (seguo due laboratori a Bologna). Ho pubblicato un libro di poesie, "La vergogna dei muscoli, il cuore" e ho nel cassetto un paio di testi teatrali e le bozze di altri progetti letterari. Amo viaggiare e dopo aver esplorato quasi tutta l'Europa vorrei presto partire per l'Africa ed il Sud Est asiatico, non appena sarà concluso l'anno scolastico, essendo al momento impegnato come insegnante. I miei interessi sono vari (dalla letteratura alla politica, dalla società al cinema, dalla scuola all'economia. e spero di riuscire a dedicarmi a ciascuno di essi durante la mia collaborazione con peridicodaily.