Nell’attualità più recente e drammatica si colloca un’altra sfida sui social, che uccide, e consiste in 50 ore alla guida di un’autovettura. E’ morto Manuel, 5 anni e una vita davanti. Una famiglia distrutta. Anzi, due. In qualche modo muoiono anche le speranze e la fiducia negli adulti di domani. Non si tratta più di ‘ragazzate’ ed esperienze di vita. Conosciamo i fatti accaduti, il fenomeno di questa nuova challenge e i rischi della preoccupante confusione tra realtà e mondo virtuale.
Com’è morto Manuel
Nell’attualità più recente e drammatica si colloca un’altra sfida sui social, che uccide, e consiste in 50 ore continuative alla guida di un’autovettura, alternandosi al volante. E’ morto Manuel, 5 anni. Morto per una sfida sui social finita male. E’ il pomeriggio del 14 giugno 2023 e siamo all’Axa di Casal Palocco, a Roma.
Noleggiano una Lamborghini Urus, suv molto potente, appositamente per la sfida. Cinque ventenni in macchina, del gruppo ‘The Borderline’, ovvero YouTuber che pubblicano sfide che i follower seguono. Appartengono al gruppo ‘The Borderline’, YouTuber che intrattengono i loro follower con le loro sfide.
Mentre girano il video ‘50 ore in macchina’, corrispondente ad una sfida estrema, travolgono una SmartForFour. A bordo ci sono una mamma e i suoi due figli. Uno di loro, Manuel, muore durante il trasporto in ospedale. La sorellina di 3 anni e la mamma sono gravi. Le indagini faranno il loro corso e si appureranno le cause dell’impatto fatale.
Muore Manuel per una sfida estrema, o presunta tale. Infatti, sembra che i video della sfida vengano montati per far credere ai fan di aver guidato per tutte quelle ore. Non cambia la sostanza dei fatti, ma certamente aiuta a comprendere il mondo delle sfide, denominate anche ‘challenge’, cioè una sfida dove spesso si mette a rischio anche la propria vita.
Le sfide sui social
I ragazzi si approcciano alle sfide social per spingersi sempre oltre. Vogliono divertirsi e dimostrare a se stessi e agli altri di essere coraggiosi. Come pure sperimentano i propri limiti. A caccia di like, per ottenere visibilità e popolarità. Ma ancora non hanno sviluppato del tutto alcune capacità, tra cui quella del controllo. E anche lo sviluppo dell’identità non è completo. Mancano ancora di consapevolezza e non sono culturalmente reattivi.
Dunque, possono essere un pericolo per sé e per gli altri.
Inoltre, hanno un pubblico, i follower, proprio perché i video con le sfide online sono registrati e pubblicati. I contenuti sono visualizzati da una grande fetta di giovanissimi. E tra i rischi maggiori c’è l’emulazione, che condiziona il senso di appartenenza al gruppo.
Realtà e mondo virtuale
La cronaca ci racconta che può essere utile attivare riflessioni sull’evidente e preoccupante confusione che può innescarsi tra la realtà e il mondo virtuale. Senza demonizzare la realtà virtuale che rappresenta una risorsa negli ambiti della vita e della quotidianità di ciascuno, può essere un bene prenderne in considerazione i rischi a livello di utilizzo.
Infatti, nella realtà virtuale non ci sono limiti. Ci si immerge così tanto nel mondo virtuale da percepirlo come reale. E ciò porta ad allontanarsi dalla realtà e ad attuare comportamenti sempre più estremi. In tal modo, il virtuale non ha confini e può portare alla distruzione.
Conclusioni
Per contrastare questa sfida che uccide, ma anche le altre sfide, si pone come emergenza educare i giovani sia nella vita reale sia nella realtà virtuale. Infatti, si influenzano reciprocamente. Bisogna ben comprendere che non è la realtà virtuale ad essere sbagliata. Come pure non è il progresso tecnologico da mandare a processo. Da prendere in considerazione è l’utilizzo cattivo della realtà virtuale.
Bisogna educare già i piccolissimi a non farsi influenzare dai contenuti della rete. E aiutarli alla percezione di tali contenuti. E’ necessario considerare i diversi ambienti in cui si muovono e sono attivi. Infatti, vanno analizzati i fattori socioculturali che influenzano i comportamenti e le azioni. In tal modo si può intervenire a livello individuale e familiare. Come pure su quello sociale e scolastico.
C’è bisogno di trasformazioni culturali e nuove prospettive, anche nella prevenzione. Così da poter mutare i programmi di intervento affinché possano essere maggiormente efficaci e adatti alle competenze e alle abilità di ciascun individuo che si sta formando.
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