Calcio: England, “Terzo Tempo” man of the match

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In Italia ed in gran parte d’europa si chiama calcio quel magnifico gioco che appassiona milioni di persone, fa litigare fratelli e sorelle, divide e unisce amici e parenti, armonizza o disgrega correnti di pensiero.

Massimo comun divisore è la classe arbitrale che accontenta e scontenta le squadre in campionato, minimo comune multiplo sono le migliaia di tifosi che seguono ogni singolo club per cui fanno il tifo.

Tutto abbastanza normale per una nazione di assoluta importanza, visti e considerati i tanti trofei vinti dalle maggiori rappresentanti, la qualità tecnica dei calciatori ad esse appartenenti e una tradizione che dai primi del novecento contempla quattro mondiali nell’albo d’oro di questo sport e numerose finali di coppa vinte o perse al cardiopalma.

Non è chiaro invece, da ormai più di un decennio, come la governance inglese valuti la rovinosa caduta delle proprie squadre (comprese le rappresentative nazionali, fino alle under 19 e 21), ormai ridotte in poltiglia dinanzi allo strapotere che hanno avuto le spagnole, le tedesche e occasionalmente anche le italiane.

Milioni, anzi miliardi di euro, sono stati investiti per far lievitare un movimento chiaramente mediocre rispetto ai valori esibiti dalla concorrenza.

Un abisso tecnico e mentale è stato celato per anni con l’accecante riflesso delle vagonate di lingotti d’oro messi sul mercato per accaparrarsi i migliori talenti, senza lasciare tracce significative e soprattutto senza ricondurre un grandissimo popolo come quello inglese (meritevole di gioire esaltandosi proporzionalmente rispetto alla massiccia presenza che da sempre li contraddistingue sugli spalti), agli albori dei nobili successi degli anni settanta e ottanta.

La costante mistificazione dei valori complessivi di numerosi calciatori, giunti in Inghilterra come campioni affermati e dimostratisi inadeguati per fronteggiare le superpotenze europee, è stato l’unico sapiente, minuzioso esercizio, fatto dagli amministratori del football per rassicurare i fedelissimi supporter inglesi, convincendoli a riversarsi allo stadio carichi di aspettative inesistenti.

Ciò ha chiaramente prodotto un unico effetto, quello di considerare le partite non per ciò che avviene nel primo e nel secondo tempo, bensì nel “terzo”; già esistente nel rugby e praticamente adottato dal calcio inglese per dare un senso alle apparizioni settimanali dei giocatori di tutte le squadre.

E’ singolare infatti come si vedano partite di altissimo livello agonistico negli incontri di cartello e prestazioni a dir poco scadenti o addirittura sconcertanti quando blasoni come Liverpool, Manchester City, Tottenham, Arsenal (senza considerare Chelsea e Manchester United già autoescluse dalle coppe) si confrontano con qualunque avversaria del panorama continentale.

Per cui sembra ormai evidente che andare allo stadio per assistere alle loro personali partite rappresenti più un baccanale che una vera e propria competizione, al punto da immaginarli, al termine, tutti in campo a bere, cantare e svagarsi dopo le fatiche lavorative della settimana.

Forse è diventato questo l’obiettivo principale del progetto federale, non la consueta rincorsa alle vittorie internazionali, perché è vero che loro il calcio lo hanno inventato, ma ora gli altri glielo rispieghino.