Museo e giardino e la cura delle opere d’arte

La mostra presenta l'arte come elemento importante per la comunità e la cura per le collezioni del passato

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Museo e Giardino
©photo Ela Bialkowska, OKNO studio

Fino al 24 luglio il Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato presenta Il giardino dell’arte. Opere, collezioni. Prima mostra curata dal neodirettore Stefano Collicelli Cagol, un percorso che si snoda nelle dieci sale dell’ala storica tra lavori di artisti italiani e internazionali di generazioni diverse. Il titolo dell’esposizione evoca l’immagine di museo e giardino, luoghi di cura e ristoro e spazi della meraviglia in cui potersi immergere nella bellezza in tutte le sue forme.


Istituto europeo di Design collabora col Centro Luigi Pecci


Perché allestire una mostra sui concetti di museo e giardino?

Il rapporto tra museo e giardino presenta il ruolo dell’arte come elemento essenziale per una comunità. Risponde anche al bisogno di confrontarsi con forme e immaginari nati nei momenti storici più complessi. A popolare il parco artistico sono opere provenienti dalla collezione del Centro Pecci e da serie private: infatti, lo stesso conservare è in sé un “atto di cura” di oggetti e idee più disparate. Saranno proposti anche i lavori di un gruppo di artisti emergenti. In esposizione ci saranno creazioni di assoluta qualità museali, riportando l’attenzione sulla raccolta di materiali diversi. Il tema sarà ulteriormente sottolineato dal futuro progetto di riallestimento dei pezzi del centro culturale.

Gli artisti in mostra

Alighiero Boetti, Monica Bonvicini, Daniel Buren, Alberto Burri, Pedro Cabrita Reis, Marlene Dumas, Peter Fischli & David Weiss. In esposizione anche: Ryan Gander, Nan Goldin, Massimo Grimaldi, David Hammons, Roni Horn, Délio Jasse, Ragnar Kjartansson, Wifredo Lam, Sara Leghissa. Osvaldo Licini, Paul Etienne Lincoln, Marisa Merz,
Helen Mirra, Philippe Parreno, Carol Rama, Alberto Savinio, Shafei Xia, Andro Wekua
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Il percorso dell’esposizione su museo e giardino

Sala I

Il giardino dell’arte. Opere, collezioni si apre con una sala dedicata al tema del volto, dove sono presenti alcuni protagonisti indiscussi delle Avanguardie e Massimo Grimaldi. Wifredo Lam, di origine cubana, vissuto in Europa e per lunghi periodi ad Albissola Marina, nella sua conturbante natura morta, dichiara le influenze del movimento Surrealista. La sua opera declina i temi della corrente attraverso un immaginario afro-caraibico. Di grande ispirazione per i surrealisti senza mai definirsi tale, fu Alberto Savinio, scrittore, critico, compositore e pittore. L’elemento del mostruoso o dell’indescrivibile sembra emergere anche nei protagonisti dei quadri di Savinio. Esseri dalle sembianze antropomorfiche, ma con teste animalesche o escrescenze, occupano lo spazio pittorico con l’eleganza del ritratto tradizionale. Il volto non finito di un
suo quadro sembra dialogare con la testina di Marisa Merz, fragile per essere realizzata in argilla cruda. Tuttavia è al contempo monumentale nella sua presenza.

Osvaldo Licini e Marina

Una delle opere più conosciute di Osvaldo Licini, Marina (Notturno) richiama le atmosfere sospese dello sbarco sulla luna. Le geometrie e le astrazioni dei volti richiamano i visi che appaiono negli ultimi modelli di ipad utilizzati da Grimaldi come display. Quindi una riflessione sulla trasformazione dei tratti somatici dei soggetti attraverso la tecnologia digitale.

Sala II

Il volto torna protagonista nei 36 scatti di Cabinet Of, l’opera di Roni Horn che dispiega una serie di fotografie col viso di un clown dalle fattezze difficilmente riconoscibili. Comunque l’aspetto è altrettanto convincente nella capacità di restituire la complessa identità del soggetto. All’ambiguità è dedicata anche l’opera Untitled (Flannery), due blocchi di vetro fuso che celebrano il colore blu con le sue ricche connotazioni culturali. Il blues in musica, o il riferimento alla depressione in inglese e rendono omaggio a Flannery O’Conner (1925-1964), poetessa americana. Una figura dalla sessualità fluida a lungo confinata nel suo letto dal quale intratteneva una fitta corrispondenza con il resto del mondo.

Sala III

La scultura di Andro Wekua, con due esili e fragili gambe in cera che si muovono incerte su un plinto di ceramica, introduce alla terza sala. Il colore blu lascia spazio alle campiture bianche, ricordando il viaggio dell’artista a Faenza che ispirò le tonalità dell’opera. L’opera di Monica Bonvicini, entrata nella collezione del Centro Pecci nel 2021 col PAC, si intitola
Structural Psychodrama. Continua l’indagine dell’artista sui contesti architettonici e dei valori di cui sono portatori. Il lavoro è costituita da una catena che sostiene un lato della parete contraddicendone la sua funzionalità, esplorandone le potenzialità formali. All’Architettura guarda anche Pedro Cabrita Rei con una seconda opera in collezione del Centro Pecci che si confronta con la volumetria del libro attraverso materiali di scarto o recuperati dall’artista.

Sala IV e museo e giardino dell’Eden

La dimensione umana della comunità di persone trans con i loro gesti quotidiani e i momenti di festa, amore e sesso è protagonista della serie fotografica di Nan Goldin. Realizzata tra gli anni Settanta e Novanta registra la vita del gruppo con cui l’artista ha anche convissuto. La sala presenta anche due opere di Carol Rama, dove due figure femminili, attraverso il simbolo del peccato, il serpente, mettono a nudo le proprie estasi erotiche.

Sala V

Paul Etienne Lincoln crea una teca orologio in cui riproduce personaggi storici o inventati che hanno tradito o sono
traditi. Li rappresenta attraverso un guanto ideato dall’artista. L’accessorio associato alla sfida, alla protezione, al celare ma anche alla distinzione, crea un sofisticato dispositivo narrativo che trova ulteriore approfondimento nelle biografie a parete dei protagonisti.

Esposizione tra museo e giardino, sala VI

Gli indumenti tornano protagonisti anche nella sala VI, col quadro di Marlene Dumas, Two Pieces, dove una figura femminile nera indossa un bikini bianco. L’opera di David Hammons che campeggia sulla parete centrale: sei sottovesti, non particolarmente preziose, evocano le sorelle dell’artista e le condizioni difficili in cui vivevano nell’infanzia ad Harlem.
Bianco Plastica appartiene a uno dei cicli più famosi di Burri, dove la sperimentazione coi materiali, polimero combusto, mantiene un fortissimo legame con la tradizione artistica italiana. Alla dimensione del fare dell’artista corrisponde la scultura del duo svizzero Fischli and Weiss. L’opera è parte di una più ampia installazione dedicata agli strumenti usati nel loro studio, riprodotti con certosina maniacalità tanto da sembrare reali.

Roni Horn e Helen Mirra

All’angolo opposto della sala, l’opera Kafka Complaints di Roni Horn presenta una selezione di parole a lettere rosse incastonate in blocchi di alluminio. Disposte con una configurazione casuale, spetta a chi guarda negoziarne il senso. Il taglio minimale del lavoro riecheggia nelle coperte militari bianche di Helen Mirra utilizzate per creare letteralmente un
pavimento di nuvole.

Sala VII

La retorica del discorso pubblico e le forme di resistenza contrapposte emergono nella sala VII. Un video di Ryan Gander ironizza sulla ricetta della felicità proposta dal Governo britannico per una pubblicità-progresso. Il lavoro è esposto coi Balloons Speech di Philippe Parreno, una serie di palloncini d’argento che in una cacofonia di pensieri, slogan, dialoghi, scontri occupa il soffitto della sala. Sono le idee di chi è passato? Forme di discorso a venire? L’opera fu ispirata all’artista da una manifestazione di protesta, dove gli slogan erano scritti all’interno dei fumetti.

Sala VIII

Le voci diventano frasi leggibili in modo forte e chiaro negli struggenti poster di Sara Leghissa, che raccolgono la generazione di adolescenti che ha vissuto per due anni DAD. Quindi un tempo sospeso che ha trovato poca rappresentazione nel discorso pubblico e nelle sue politiche. La retorica della guerra usata negli ultimi tempi riecheggia in un’opera storica di Alighiero Boetti che fa i conti con il ready made e l’idea di mimesis. Fa eco il motivo astratto di un telo a strisce di Daniel Buren dove l’artista è intervenuto con la pittura bianca in due punti. Quando intelaiato, il tessuto deve essere appoggiato al muro. Buren ripeteva il pattern delle bande astratte nei suoi poster attaccati illegalmente a Berna in occasione della mostra When Attitudes Become Forms curata da Harald Szeemann. L’eco delle sue azioni riporta alle azioni di Leghissa nell’attacchinaggio per le strade delle città.

Sala IX

Ragnar Kjartannsson racconta, nella videoinstallazione The End, lo struggente e malinconico potere della musica. L’artista e un amico sono i suonatori che si immergono in cinque scenari dalla natura apparentemente incontaminata delle Montagne rocciose. Evocativa e potente, l’opera è creata in occasione del suo invito a rappresentare il padiglione islandese alla Biennale di Venezia del 2009.

Sala X conclude il percorso tra museo e giardino

L’ultima sala della mostra sembra chiudere il cerchio rispetto alla prima sala. Shafei Xia, artista cinese che da diversi anni risiede a Bologna dove ha studiato all’Accademia, propone nelle sue opere personaggi tra l’animalesco e il fiabesco. Giocano tra loro con una libido sfrenata, rinnovando l’interesse per un mondo interspecista, oggetto delle fantasie di molte opere contemporanee. Délio Jasse affronta il tema dell’archivio da una prospettiva decoloniale, facendo emergere il razzismo e la limitata capacità di comprendere il contesto africano in cui si muovevano gli italiani colonizzatori fino alla metà del secolo XX.
Il giardino dell’arte suscita domande, fornire prospettive, sottolineare l’importanza delle collezioni private esposte in uno spazio pubblico. Inoltre, promuove la rilevanza di opere in grado di narrare la contemporaneità e le sue complessità, anche la bellezza. Un intento che continuerà a essere presente nella programmazione futura del Centro Pecci.

Immagine da cartella stampa.