mercoledì, Maggio 8, 2024

Adelina Sau. Vittima di una doppia ingiustizia.

Quindici giorni fa Adelina Sau, una giovane ragazza indonesiana è stata uccisa per la seconda volta, in seguito alla sentenza di assoluzione per S. Ambika, sua datrice di lavoro in Malesia, presso il quale lavorava come domestica.

La vita e la morte di Adelina Sau

La morte di Adelina Sau risale al 11 febbraio del 2018 quando da alcuni vicini la giovane indonesiana venne trovata per strada, vicino alla casa presso la quale lavorava, con evidenti segni di percosse, affamata, in compagnia di un rottweiler, coperta uno straccio di tela leggera mentre dormiva. Dopo essere stata portata in ospedale il 10 febbraio ed aver ricevuto le prime cure, le condizioni fisiche della giovane sono rapidamente peggiorate e la morte è sopraggiunta dopo meno di ventiquattro ore.

Non è stato possibile stabilire l’età della ragazza. Molti indonesiani che lavorano in Malesia dichiarano spesso un’età superiore a quella reale, essendo di 21 anni il limite minimo d’età per poter lavorare in quel paese per un lavoratore straniero, ma molto probabilmente Adelina non aveva più di 19 anni.

Katrina Jorene Maliamauv, una delle volontarie dell’organizzazione Tenaganita, un’organizzazione che si occupa di rifugiati, migranti e donne che vivono condizioni difficili, l’ha incontrata durante le poche ore trascorse dalla ragazza in ospedale. “Ho visto una giovane terrorizzata dalle violenze che evidentemente aveva subito,” ha dichiarato durante un’intervista la Maliamauv “indebolita da un periodo abbastanza lungo di malnutrizione e fame. Non voleva parlare con me. Pensavo che mi sarei trovata di fronte ad una ragazza di 19 o 20 anni al massimo, ma l’aspetto della donna che avevo di fronte dimostrava molti più anni”.

Una sentenza contestata

S. Ambika, la donna imputata per la morte di Adelina Sau, tradotta in carcere mentre la vittima veniva condotta in ospedale, è stata assolta poche settimane fa in Malesia, scatenando le proteste delle varie organizzazioni impegnate nel paese asiatico, nonché del popolo e del governo indonesiano. Le ragioni dell’assoluzione sono da ricollegarsi, soprattutto, al fatto che la famiglia della vittima non si sia potuta recare in Malesia per testimoniare. Pochi mesi fa, ad un anno dalla morte, la madre della ragazza aveva dichiarato, come riportato dall’APWLD (Asia Pacific Forum on Women, Law and Development), che la figlia non era morta “per la sua malattia, ma perchè torturata”. Numerose organizzazioni ed avvocati si sono subito impegnati per offrire l’assistenza necessaria alla famiglia per un ricorso e lo stesso governo indonesiano sta valutando la possibilità di intervenire attivamente. Sul sito del APWLD è anche possibile firmare, tramite un link che rimanda a Change.org, una richiesta di riapertura del processo o, quanto meno, di maggiori chiarimenti in merito.

L’aspetto che ha maggiormente shockato l’opinione pubblica è, infatti, non l’assoluzione dell’imputata, ma la mancanza, ad oggi, di motivazioni valide a supporto della sentenza, la quale poggia, fondamentalmente, sulla mancata testimonianza della famiglia.

Alcuni dati

Quello di Adelina Sau non è un caso isolato nella regione. I dati anagrafici delle vittime sono spesso poco attendibili, anche perché spesso i lavoratori e le lavoratrici, che si spostano dall’Indonesia in Malesia per lavorare soprattutto come collaboratori domestici, possono entrare nel paese quasi esclusivamente in maniera illegale, da un lato perché i costi per ottenere i documenti ufficiali e ed il visto sono troppo elevati, dall’altro perché spesso molti migranti, come nel caso di Adelina, devono dichiarare di avere più anni di quanti non ne abbiano in realtà per poter lavorare all’estero.


Sally Alexander, un’altra operatrice impegnata nelle attività di Tenaganita, ci informa, tuttavia, che negli ultimi cinque anni, si sono avuti 2500 segnalazioni di casi di lavoratori indonesiani maltrattati in Malesia e che nel 60% dei casi si trattava di collaboratori domestici. Solo nei primi tre mesi del 2019 ci sono stati 32 casi di abusi su indonesiani che lavoravano in Malesia. Le segnalazioni riguardavano casi di abusi, torture, maltrattamenti, malnutrizione e, come nel caso di Adelina Sau, di omicidio. I dati forniti dalla Alexander sono stati confermati anche da
Wahyu Susilo, direttore di Migrant Care, un’altra agenzia che si occupa delle difficili condizioni dei migranti in questa regione, il quale ha dichiarato che il caso di Adelina Sau è solo la punta dell’iceberg di un fenomeno molto diffuso e che la ragazza “sia stata una vittima dell’organizzazione della tratta di esseri umani che è grande nella parte orientale di Nusa Tenggara”

Accordi non rispettati

Il governo di Jakarta, spinto dalla rabbia popolare, ha preso posizione attaccando la sentenza della corte malese e sta valutando la possibilità di intervenire in “prima persona” sulla faccenda. Già 10 anni fa, nel 2009, in seguito ad episodi simili il governo indonesiano si rifiutò di inviare altri lavoratori in Malesia. Questa politica portò ad un miglioramento, molto spesso solo formale, delle condizioni di lavoro che dovevano essere garantite agli indonesiani che avessero deciso di lavorare nel vicino paese. Gli accordi, come prova anche il caso di Adelina Sau, non sempre sono stati fatti rispettare dalle autorità malesi.

Conclusioni

Nella speranza che giustizia venga resa alle vittime di questa moderna tratta degli schiavi e alle loro famiglie c’è da segnalare la posizione ambigua, per alcuni aspetti, dei governi dei paesi di partenza di questi migranti. In Malesia lavorano due milioni e mezzo di indonesiani, in settori che vanno dall’agricoltura all’edilizia. Di questi, 400.000 sono donne che svolgono lavori domestici.

Un caso molto simile è quello delle Filippine il cui presidente Rodrigo Duterte, in seguito al ritrovamento del corpo di Joanna Demafelis, anche lei collaboratrice domestica, torturata, uccisa e ritrovata poi in un congelatore in Kuwait, ha vietato ai suoi cittadini la partenza per il paese arabo. Questo non ha fatto altro che aumentare le partenze verso paesi vicini al Kuwait, che veniva poi raggiunto illegalmente da migliaia di lavoratori.

Si calcola che nelle Filippine il 10% del PIL nazionale sia rappresentato dal danaro che viene inviato al paese d’origine dai lavoratori all’estero.

Per quanto ci si possa fidare della fermezza e della buona fede di Duterte, non si può trascurare il cinico calcolo politico di un presidente che vede partire, spesso senza mai fare ritorno in patria, un 10% della popolazione che contribuisce per un 10% alla ricchezza nazionale. Se la logica del capitale, per citare Marx trasforma, in primis, i padri di famiglia in mercanti di schiavi, per sfamare l’ingorda bestia del sistema economico nel quale viviamo, quanto diventa necessario, per quanto difficile, sperare che Adelina Sau o Joanna Demafelis o altre centinaia di lavoratrici e lavoratori, possano ottenere giustizia?

Vittorio Musca
Vittorio Musca
Sono Vittorio Musca, ho 39, sono originario di Torchiarolo, in provincia di Brindisi e vivo a Bologna anche se negli ultimi anni per studio o lavoro ho vissuto in Norvegia, Polonia, Repubblica Ceca e Germania. Ho conseguito due lauree. La prima in Scienze Politiche e la seconda in Lettere. Parlo inglese, italiano, spagnolo, tedesco e polacco. Mi piace leggere, prevalentemente classici della letteratura e della filosofia o libri di argomento storico, suono il clarinetto e provo, da autodidatta ad imparare a suonare il piano. Mi piacciono il cinema ed il teatro (seguo due laboratori a Bologna). Ho pubblicato un libro di poesie, "La vergogna dei muscoli, il cuore" e ho nel cassetto un paio di testi teatrali e le bozze di altri progetti letterari. Amo viaggiare e dopo aver esplorato quasi tutta l'Europa vorrei presto partire per l'Africa ed il Sud Est asiatico, non appena sarà concluso l'anno scolastico, essendo al momento impegnato come insegnante. I miei interessi sono vari (dalla letteratura alla politica, dalla società al cinema, dalla scuola all'economia. e spero di riuscire a dedicarmi a ciascuno di essi durante la mia collaborazione con peridicodaily.

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