domenica, Maggio 26, 2024

Rinchiuse in manicomio perché ribelli: la storia della pazzia femminile durante il fascismo

Annacarla Valeriano e Costantino Di Sante sono due ricercatori che per delle relazioni, iniziarono a studiare le cartelle cliniche del manicomio di Sant’Antonio Abate a Teramo, aperto dal 1881 al 1998. I due ricercatori esaminarono fotografie, lettere e cartelle cliniche dei pazienti che all’epoca vennero dichiarati “pazzi”. Alcuni però avevano delle cartelle che non chiarivano esattamente il motivo del loro internamento: i requisiti non erano propriamente quelli delle persone considerate pazze.

Si trattava di decine e decine di internamenti che con la follia non avevano niente e che risalivano principalmente al Ventennio Fascista. In quegli anni, la propaganda propinava un’immagine della donna molto diversa da quella attuale: la donna aveva un’unica funzione, quella di riprodursi il più possibile, per alimentare quel materiale umano. Tutte le donne che non volevano aderire a quel modello, erano destinate a queste strutture.

Quindi potevano finire in manicomio anche delle “madri snaturate”, come quelle che non riuscivano a prendersi cura dei figli come “avrebbero dovuto”. Erano spesso gli stessi parenti delle donne a portarle nelle strutture. Alcune cartelle, presentavano, nelle motivazioni relative all’internamento, degli ragioni piuttosto assurde: “stravagante”, “irosa”, “impulsiva”, “nervosa”. In pratica, bastava essere donne con un briciolo di personalità e carattere per finire in un manicomio.

Nella maggior parte dei casi, erano delle massaie rurali, che dopo aver avuto 12, 13 o 14 figli, non riuscivano più pensare a tutto e finivano per avere degli esaurimenti nervosi. In alcuni casi, invece, si trattava di donne che avevano vissuto traumi molto gravi, come un bombardamento notturno. Queste povere donne passavano anni rinchiuse in queste strutture sporche e degradate. Delle donne, spinte dalla disperazione, scrivevano lettere ai loro parenti implorando loro di riportarle a casa. Ma queste lettere finivano dirette nel cassetto della struttura: non arrivarono mai a destinazione.

Per dare un riscatto, di recente, è stata allestita un’interessante mostra nella Casa della Memoria e della Storia a Roma, dal titolo “I fiori del male. Donne in manicomio nel regime fascista”.
Una storia triste che ancora una volta fu luce su un periodo della storia tragico ma che non va dimenticato. Si deve imparare dal passato a non commettere gli stessi errori.

Il tema è stato trattato anche da RaiStoria che ha raccontato la storia di queste donne, conosciamone qualcuna:

 

La prima ricoverata si chiamava Antonia. Il giorno in cui entrò nel manicomio Sant’Antonio Abate di Teramo aveva ventisei anni. Internata nel settembre del 1881 con la diagnosi di “idiozia”, morì dopo 14 anni di isolamento a causa di un’infezione acuta della pelle. Così, almeno, c’è scritto sui referti clinici dell’epoca. Nei decenni successivi seguirono la sorte di Antonia centinaia di altre donne. Vittime di patologie mentali, ma non solo. Le storie di quelle esistenze interrotte raccontano ragazze poco allineate ai valori del periodo, mogli poco remissive e vittime di violenze carnali. Figure femminili costrette a pagare oltre misura la propria “diversità”. Grazie all’impegno dell’Università degli studi di Teramo, del dipartimento di salute mentale della Asl e dell’Archivio di Stato del centro abruzzese, tornano alla luce vicende drammatiche dimenticate da oltre un secolo. Il percorso espositivo allestito presso la Casa della memoria di Roma si snoda attraverso fotografie e documenti medici. E con loro i diari e le lettere delle ricoverate, in particolar modo durante gli anni del fascismo. «Volti di donne coperti dal tempo, dimenticati tra carte ingiallite. Sguardi resi opachi dall’abbandono, dal dolore, inghiottiti dalle mura di un luogo che avrebbe dovuto spegnerne le scintille di trasgressività».

manicomi iniziano diffondersi in tutto il Paese nel corso dell’Ottocento. Sono luoghi di cura, certo. E anche altro. Come spiegano gli esperti, queste strutture rappresentano «la risposta della moderna società borghese nei confronti della follia e degli elementi di incertezza e turbamento che rischiavano di compromettere la stabilità sociale». Nel 1914, alla vigilia del primo conflitto mondiale, nei manicomi italiani sono rinchiusi oltre 50mila pazienti. Inutile dire che lo scoppio delle due guerre mondiali porterà ad accrescere ulteriormente il numero dei ricoverati. Si tratta soprattutto di soldati colpiti da alienazione mentale durante il servizio al fronte. Ma anche civili: donne e anziani vittime dei traumi bellici. Tutti internati, come prescriveva la legge. La n.36 del 1904, che imponeva la custodia nei manicomi per «le persone affette per qualunque causa da alienazione mentale, quando siano pericolose a sé o agli altri e riescano di pubblico scandalo

Il Sant’Antonio Abate di Teramo diventa in breve tempo uno dei manicomi più importanti dell’Italia centro-meridionale. La mostra “I fiori del male” raccoglie le vicende di tante donne ricoverate in questa struttura. Le fotografie e le cartelle cliniche sono un lungo e drammatico percorso di miseria. C’è Margherita F. 30 anni, coniugata, contadina e analfabeta. Entrata in manicomio nel 1903 con una diagnosi di “Frenosi epilettica (pazzia impulsiva)”. «Narra l’inferma – si legge – che dai parenti del marito ricevette delle percosse al capo e che durante questi anni di matrimonio è stata dai medesimi continuamente maltrattata, minacciata, oltraggiata». Rosa D., 60 anni, coniugata, risulta affetta da “Pazzia degenerativa, mania cronica, poi demenza secondaria”. Entrata nel 1892, rimase rinchiusa a Sant’Antonio Abate fino al giorno della morte, giunta diciassette anni dopo. La sua patologia? «Fin da fanciulla mostravasi strana – scrivono i dottori – da giovanetta poi ben presto si manifestò il suo carattere stravagante, girando continuamente per il paese senza badare alla sua famiglia e non curando punto i rimproveri dei parenti». Accanto ai referti clinici, ci sono le lettere delle ricoverate. Grida di dolore e d’aiuto rimaste quasi sempre inascoltate. Nel 1920 la paziente Haidé B. scriveva ai familiari: «Io trovami in questa sezione, tra malate d’ogni genere, tra le sofferenti, tra le asmatiche, tra le dementi, con visi stravolti, con il fetore della notte, da sentirmi difficile la respirazione. Oh questo è troppo, troppo».

Tra le mura del Sant’Antonio Abate di Teramo finiscono donne diversissime tra loro, unite da un comune destino di dolore. Ci sono molte vittime della guerra, che dal 1943 al 1944 attraversò l’Abruzzo. I bombardamenti, la distruzione e la perdita dei propri cari finiscono per sviluppare una serie di disturbi psichici: malinconia e depressione, stati confusionali e allucinazioni. È il caso di Concetta. La cartella clinica racconta di una sessantenne, nubile, casalinga, colpita da “Malinconia involutiva”. Dopo aver visto il proprio paese devastato e la casa distrutta, la donna viene ricoverata in manicomio. «Da parecchio tempo – si legge – è resa irascibile, in preda a mania di persecuzione, paura per la propria persona e per i parenti. Si strappa gli abiti, lacera le lenzuola, si rende pericolosa per tali atti per sé e per gli altri». Non mancano casi di donne violate. Vittime di violenza carnale «che in seguito al trauma patito avevano iniziato a manifestare forme di disagio». Al dramma umano spesso si aggiunge il pregiudizio etico. Le descrizioni mediche parlano di coscienza morale «lungi dall’essere prossima a quella della norma» e di «un senso dell’onore poco sviluppato». Tra le internate spiccano casi di “madri contro natura”, donne condannate perché incapaci di sviluppare l’istinto della maternità, riferimento obbligato ai valori del regime. E poi ci sono le isteriche. Una figura patologica retaggio dei decenni precedenti. Nell’isteria finivano per condensarsi tutti i caratteri più eversivi della devianza. Le isteriche erano donne che, più delle altre, avevano tentato di sovvertire le regole, si erano poste fuori dai recinti che circoscrivevano le identità, eleggendo il rifiuto e la contestazione a linguaggi privilegiati per l’affermazione delle loro personalità e dei loro disagi… Altre vittime. Altri fiori del male, rinchiusi e recisi anzitempo.

 

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