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lunedì, Agosto 25, 2025

Pavel Durov, un anno dopo l’arresto: tra l’incertezza giudiziaria e la guerra globale alla crittografia

Un anno dopo l’arresto a Parigi di Pavel Durov, CEO e cofondatore di Telegram e della blockchain TON, il caso resta in stallo. Tra accuse di complicità, pressioni sul “Chat Control” UE e il rifiuto di Telegram di sacrificare la privacy dei propri utenti, cresce lo scontro globale tra governi e mondo crypto.

È trascorso esattamente un anno da un evento che ha scosso il mondo della tecnologia e della libertà di espressione: l’arresto del CEO e co-fondatore di Telegram, Pavel Durov, a Parigi. Il 24 agosto 2024, quello che sembrava un normale viaggio di lavoro si trasformò in un caso giudiziario internazionale, con 12 capi d’accusa che lo ritengono complice dei crimini commessi dagli utenti sulla sua piattaforma. 

Oggi, a un anno di distanza, il caso di Durov è ancora in una fase di stallo, senza un processo in vista, ma è diventato il simbolo di un conflitto molto più ampio: la crescente pressione dei governi globali contro la privacy e la crittografia end-to-end.

Un’indagine a rilento: lo stallo giudiziario del caso Durov

L’arresto di Durov, realizzato dall’agenzia francese per i crimini contro i minori (OFMIN), si basa sull’accusa che la presunta inerzia di Telegram nella moderazione dei contenuti lo renda complice di reati gravissimi, dal terrorismo alla pedopornografia. La reazione fu immediata e veemente. Figure come Edward Snowden accusarono la Francia di “prendere ostaggi” per forzare l’accesso a comunicazioni private, mentre la TON Society definì l’atto “un attacco a un diritto umano fondamentale”.

A distanza di dodici mesi, la situazione processuale è avanzata a un ritmo estremamente lento. Come chiarito dallo stesso Durov in un’intervista a giugno, non è ancora sotto processo. È invece obbligato a comparire periodicamente davanti a “giudici inquirenti” il cui compito è stabilire se esistano prove sufficienti per avviare un vero e proprio procedimento. Durov ha definito l’obbligo di rimanere in Francia “molto strano e del tutto inutile”, dato che le sue apparizioni sono sporadiche. 

Sebbene gli sia stata concessa una limitata libertà di viaggiare negli Emirati Arabi Uniti per affari, il suo futuro legale rimane avvolto nell’incertezza, un’attesa che ha avuto anche un costo personale molto importante, come la perdita del figlio che la sua compagna portava in grembo, attribuita allo stress dell’indagine.

Il “Controllo delle Chat”: l’Europa e la minaccia alla crittografia End-to-End

Mentre il caso di Durov procede a rilento, la spinta legislativa per indebolire la privacy digitale in Europa accelera pericolosamente. Il dibattito è dominato dalla proposta di regolamento nota come “Controllo delle Chat” (“Chat Control”). Sostenuto da 19 dei 27 stati membri dell’UE, questo disegno di legge, presentato con l’obiettivo di combattere gli abusi sessuali sui minori, obbligherebbe le piattaforme di messaggistica crittografata come Telegram, WhatsApp e Signal a scansionare sistematicamente ogni messaggio, foto e video inviato dagli utenti.

I critici, tra cui numerose organizzazioni per i diritti digitali, sostengono che una simile misura creerebbe una backdoor di sorveglianza di massa, distruggendo di fatto il principio della crittografia end-to-end e della comunicazione privata

La posizione di Durov su questo tema è intransigente: ha dichiarato che Telegram preferirebbe abbandonare i mercati europei piuttosto che compromettere i suoi principi etici sulla privacy. “A differenza di alcuni dei nostri concorrenti, non barattiamo la privacy per quote di mercato”, ha affermato, tracciando una linea netta tra la cooperazione con le autorità e la violazione dei diritti fondamentali degli utenti.

Dalla Russia all’Occidente: la pressione degli Stati sulle piattaforme private

Il conflitto tra governi e piattaforme di messaggistica non è un fenomeno limitato all’Europa. La Russia, paese d’origine di Durov, offre un esempio lampante di dove questa traiettoria può portare. Il Cremlino ha vietato servizi come WhatsApp e Telegram, promuovendo al loro posto “Max”, un’app di messaggistica sviluppata dallo stato che sarà preinstallata su tutti i telefoni a partire dal 1° settembre. Le accuse sono che Max raccolga metadati, indirizzi IP e contatti degli utenti, mettendoli a disposizione delle autorità.

Questa situazione è profondamente ironica per Durov, che nel 2014 lasciò il suo precedente social network, VK, proprio per essersi rifiutato di consegnare al governo russo i dati dei manifestanti ucraini. La sua lotta odierna in Francia contro le richieste di moderazione e sorveglianza appare quindi come il secondo capitolo di una battaglia per la privacy che combatte da oltre un decennio, prima contro un regime autoritario e ora contro le democrazie occidentali. 

Che la giustificazione sia la sicurezza nazionale o la protezione dei minori, la richiesta fondamentale rimane la stessa: un accesso senza precedenti alle comunicazioni private dei cittadini.

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Alessandro De Luca
Alessandro De Luca
Esperto di economia e finanza, è appassionato di fintech e criptovalute. Studia da anni il mercato di Bitcoin e altcoin e il settore degli investimenti in crypto asset. Ama analizzare i progetti emergenti e condividere le sue conoscenze con altri appassionati. Si dedica anche al trading su CEX e DEX.

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