Global Compact: il dietrofront del governo e la “parlamentarizzazione” del dibattito

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La decisione del governo, annunciata in data  28 novembre, di non partecipare al summit di Marrakech, in programma per il 10 e l’11 dicembre 2018, continua ancora a far discutere.

Di cosa parliamo? (PDF)

Il “Global Compact for Safe, Regular and Orderly Migration”, frutto di un processo avviato con la dichiarazione di New York (2016) su spinta dell’allora presidente Obama,  è un documento dell’ONU che stabilisce linee guida per l’immigrazione, proponendo il raggiungimento di 23 obiettivi.

Tra di questi troviamo:

  • un approccio condiviso per facilitare il ritorno sicuro e dignitoso dei migranti e la loro reintegrazione;
  • la regolarizzazione dei flussi tramite canali stabiliti, documenti riconosciuti, la gestione coordinata delle frontiere e la prevedibilità delle procedure per l’ottenimento dei visti;
  • ridurre al minimo i fattori negativi e i fattori strutturali che costringono le persone a lasciare il loro paese d’origine.

La sottoscrizione dell’accordo non sarebbe inoltre vincolante per i singoli Paesi, non privandoli quindi della propria sovranità in materia.

In merito alla decisione del governo Conte, a suscitare polemiche non è tanto il fatto che l’annuncio sia arrivato per primo da parte del Vicepremier Salvini (circostanza comunque anomala), quanto il fatto che non più tardi di due mesi fa il Premier Conte aveva ribadito, in visita a New York, il sostegno dell’Italia all’accordo internazionale sull’immigrazione.

Cosa ha spinto dunque il governo a cambiare idea?

Andiamo con ordine:

Il 16 novembre 2018 Giorgia Meloni, presidente di Fratelli d’Italia, con un video su twitter lancia un appello a Matteo Salvini affinché il governo non sottoscriva l’accordo, scrivendo così:

“NO al Global compact, l’ultima fregatura dell’ONU per imporci l’invasione. Siamo pronti a fare le barricate per difendere i nostri confini. Aiutatemi a diffondere questo appello! #noglobalcompact “

(https://twitter.com/GiorgiaMeloni/status/1063503151461031939?s=19)

Da quel momento l’argomento comincia ad acquistare rilevanza agli occhi dell’opinione pubblica, soprattutto sui social (tanto per cambiare), dove gli appelli al governo si fanno sempre più insistenti.

All’interno del Parlamento invece, tutto ha inizio a Montecitorio, dove, mentre l’Aula sta votando gli ordini del giorno sul decreto sicurezza, il deputato forzista Gregorio Fontana attacca la maggioranza giallo-verde: “Da un lato il governo interviene con decreto per bloccare il flusso dei migranti e dall’altro non ha una posizione chiara sul Global Compact che toglie sovranità all’Italia. Non si capisce se l’Italia aderirà o meno alla firma dell’11 dicembre a Marrakech e Conte in sede ONU aveva dato linea favorevole”.

A questo punto il Ministro dell’Interno, a seguito della polemica scatenatasi, annuncia:

“Il governo non firmerà alcunché e non andrà a Marrakech perché il dibattito è così importante che non merita di essere una scelta solo del governo ma deve essere l’Aula a discuterne”

Posizione che sarebbe stata confermata poco dopo dal Premier Conte con una nota, in cui sottolineava l’opportunità di “parlamentarizzare il dibattito e rimettere le scelte definitive all’esito di tale discussione”, rimettendo dunque tale decisione nelle mani del Parlamento.

Saranno proprio le due Camere, quindi, a risultare decisive, e ancor di più lo saranno i deputati e senatori 5 Stelle, già indicati come ago della bilancia all’interno della discussione.

Secondo il deputato 5 Stelle Giuseppe Brescia, il documento andrebbe “sottoscritto assolutamente” e aggiunge: “Abbiamo bisogno di una gestione globale dell’ immigrazione. L’Europa ha fallito e ha lasciato da soli i singoli Stati. Ora che facciamo? Rifiutiamo un tentativo più ambizioso?”

Mentre dunque in Belgio sembra che il governo stesso rischi di cadere proprio a causa del Global Compact, in Italia la discussione è rimandata a data da destinarsi, una discussione che può dar luogo a una scelta di collocamento in ambito internazionale: allinearsi a Trump e al “gruppo di Visegrad” oppure restare fedeli alla linea ONU abbracciata da 180 Paesi?