La novità del nuovo DPCM è quelle di essere riuscito ad affermare due punti fondamentali della strategia di contenimento del virus che si sta faticosamente delineando attraverso il percorso ad ostacoli delle trattative tra le diverse anime della maggioranza.
Provvedimenti locali e soglie determinate
Il primo è quello della necessità di provvedimenti locali laddove la situazione è più grave: abbiamo già sperimentato l’inopportunità di sottoporre alle stesse restrizioni territori diversi, con un inutile aggravio a livello sia sociale che economico. Ed anche di quanto abbiano inciso gli spostamenti inter-regionali nella diffusione del virus (vietate per chi abita in “zona rossa”). Il secondo presupposto è l’introduzione di una soglia di contagio sopra la quale i diversi gradi di lockdown entrano automaticamente in vigore: saranno così evitate, sia l’antipatica proliferazione delle norme, che le logoranti mediazioni tra le parti – oltre a riportare l’attenzione dei cittadini sui livelli di contagio (che sono alla base dei provvedimenti) e alla responsabilità dei comportamenti individuali. Il parametro utilizzato per classificare le regioni, è oggetto di discussione.
L’indice di contagiosità
Si è parlato, sin dai primi momenti della pandemia di un “indice di contagiosità”, ovvero la capacità di un soggetto positivo di infettare gli altri. Il termine Rt (numero di riproduzione netto) è diventato oramai parte del lessico comune. Ma come viene calcolato? Chi volesse approfondire la questione (e i complessi algoritmi del calcolo) può farlo direttamente sul sito dell’ISS
Limitandoci ai punti essenziali, partiamo col dire come si interpreta. Con il valore R superiore a 1, ogni persona positiva potenzialmente è in grado di infettarne più di un’altra, facendo innalzare la curva verso l’alto in modo esponenziale. Non è l’unico indicatore di cui disponiamo per capire l’andamento del contagio: la cabina di regia istituita da ministero e Istituto Superiore di Sanità (ISS) tiene conto anche di dati più immediatamente leggibili, come i ricoveri ospedalieri.
Come viene calcolato l’Rt?
Attualmente il dato nazionale per l’ISS oscilla attorno all’1,5, mentre per l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) è oltre il doppio. Entrambi sono elaborati in modo corretto e mettono in luce, per così dire, aspetti diversi. La differenza tra questi valori deriva dalla base di riferimento su cui vengono calcolati: l’ISS fa riferimento al numero di individui sintomatici, mentre l’INFN comprende anche asintomatici e guariti.
Il ragionamento che sta dietro queste scelte privilegia un margine di errore rispetto ad un altro. Il dato dell’ISS non comprende gli asintomatici perché il loro numero è in funzione delle analisi effettuate, e cresce (o diminuisce) a seconda dei tamponi eseguiti. In altre parole è influenzato, più che dalla dalla trasmissibilità del virus, dal numero di analisi effettuate, e, consapevolmente, assume che si tratta di un dato sottostimato.
Il calcolo dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, diversamente, è più aderente al concetto di capacità di trasmissibilità del virus, ma – poiché varia a seconda del numero dei tamponi effettuati – lo rende meno utile ad analisi legate a determinati territori. Se fosse quest’ultimo ad essere adottato quale valore di riferimento per l’inclusione di una regione in una delle tre zone legate ai diversi livelli di lockdown, ne risulterebbe privilegiata non quella con il minor numero di contagi effettivi, ma con il minor numero di tamponi effettuati.
Criticità del dato e come viene calcolato l’Rt
Uno dei problemi dell’Rt – così come è calcolato dall’ISS – è che, riferendosi ad una variazione di più giorni rispetto al dato precedente, rischia di creare una sovrastima in aree a bassa incidenza, dove un rialzo anche minimo può fare impennare il valore indice (come accaduto nei mesi scorsi a Umbria e Val d’Aosta, che si sono ritrovate un valore superiore a quello della Lombardia).
L’altra criticità è data dal fatto che, per variare, ci vuole tempo e/o una variazione significativa dei contagi. Questo comporta due conseguenze: che, inevitabilmente, la prima ripartizione delle regioni nelle tre zone di criticità si è basata su dati che includono anche i giorni precedenti, ovvero una fotografia della situazione che nel tempo si è già evoluta. Ma significa anche che il passaggio dall’una all’altra condizione di lockdown (specialmente verso quella di grado inferiore), salvo un calo repentino dei contagi – che tutti auspichiamo – non potrà essere così rapida.
Scenari
Le reazioni al nuovo DPCM hanno ribadito ancora una volta la necessità di un intervento drastico per la riduzione del contagio, e l’insofferenza delle persone nel rispettare le regole imposte. Molti possessori di seconde case, hanno abbandonato in fretta e furia le regioni in fascia rossa – così come era avvenuto in primavera. Gli effetti di questo comportamento (come nel caso della Versilia) li abbiamo già sperimentati con una impennata nella diffusione del virus in queste zone.
Anche la polemica politica sollevata dall’opposizione sulla presunta designazione in zona rossa delle regioni governate dal centrodestra non aiuta a stemperare le tensioni. L’incapacità di fare fronte comune per cercare di gestire la situazione è il tratto comune che unisce popolazione e classe politica. Ma, tra esperti che si scambiano insulti e ammainistratori e parlamentari che lanciano accuse, emergono con sempre maggior chiarezza i rischi a cui stiamo andando incontro.
La tempestività delle diagnosi e la capacità di accoglienza delle strutture sanitarie sono l’unica garanzia di ricevere cure adeguate per le persone più a rischio. E, se è vero che le statistiche parlano di circa il 90% di sintomatologie nulle o trascurabili, teniamo ben presente che il restante 10% della popolazione ammonta più o meno a 6 milioni di persone.
Virus più contagioso ma non più letale