giovedì, Aprile 25, 2024

Witness: Auschwitz, la tragedia della Shoah raccontata con la realtà virtuale

Frutto della collaborazione tra studio di sviluppo italiano 101% e dall’agenzia I SAY, l’immersività ci fa vivere uno dei più drammatici eventi della storia dell’umanità

Witness: Auschwitz è un’esperienza di realtà virtuale ideata da David Gallo, Daniele Azara, Alex Zarfati e Gianluca Pontecorvo, prodotta dallo studio di sviluppo italiano 101% e dall’agenzia I SAY , che permette all’utente di entrare, in prima persona, nel campo di sterminio di Auschwitz nel pieno della seconda guerra mondiale. Un percorso immersivo che consente l’interazione con il mondo circostante, con le persone, con se stessi, trasformandoci in “testimoni” di uno dei più tragici eventi della storia dell’umanità.

Diviso in tre parti: il Prima, il Durante e il Dopo,Witness:Auschwitz è il frutto della collaborazione tra professionisti della comunicazione, dell’interattività e dello sviluppo, con profonda conoscenza del mondo ebraico.

Gli ambienti e gli eventi realizzati per l’esperienza sono ricreati con la massima aderenza storica e sono certificati da autorevoli istituzioni in materia.

Ci dice Alex Zarfati, Senior Advisory Consultant di I SAY, “Chiunque abbia visitato un campo di sterminio si è reso conto di come siano diverse le reazioni dei visitatori. Gente che prega, persone che non vogliono perdersi niente delle minuziose spiegazioni delle guide, ma anche molti giovani che si fanno selfie davanti ai luoghi dell’orrore o che sono totalmente disinteressati al tema della Shoah, che classificano come un avvenimento appartenente al passato con nessun legame con le loro vite.”

Alex Zarfati ci spiega che W:A è stato concepito per quei ragazzi, per permettere a una generazione che legge sempre meno, disinteressata anche alla cinematografia, di recuperare il filo emotivo con vicende solo apparentemente lontane, usando strumenti che loro percepiscono più naturali, contigui alla loro quotidianità. Offrendo un’immersività tale da non poter essere ignorata.

Ci dice Daniele Azara, Creative Director & Partner di 101%, “Quando siamo entrati in contatto con la VR è stato subito chiaro che ci trovavamo di fronte a un nuovo protocollo narrativo, una dimensione diversa e inesplorata in cui il gap tecnologico-industriale tra altri paesi e il nostro si era d’improvviso annullato.”

Il primo passo è stato quello di coinvolgere esperti in percezione umana, psicologi e psichiatri, professori universitari per come utilizzare al meglio lo strumento.

Precisa Azara: “La VR viene percepita esattamente come la realtà, per questo motivo se si viene portati su un burrone e spinti, la reazione involontaria è quella di opporsi alla sollecitazione. È la tecnologia più avanzata a disposizione per vivere esperienze che permangano come ricordo, quindi, come testimonianze.”

Aggiunge David Gallo, Managing Director & Partner di 101%, “Il progetto Witness nasce proprio da questi presupposti e, tra le molteplici possibilità di ricreare eventi del passato, o del futuro, abbiamo scelto di lavorare sulla ricostruzione sulla Shoah, sia per motivi personali che per l’amicizia che lega 101% a I SAY, una società di comunicazione con sede nell’ex ghetto di Roma.”

Insieme, oltre a co-produrre un prototipo che ha permesso di affrontare il tema con il rispetto e la sensibilità necessarie all’ottenimento dei patrocini della Comunità Ebraica di Roma e dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, hanno avuto la possibilità di accedere al campo di Birkenau in un momento in cui era completamente vuoto.

Ci dice David Gallo: “Un’esperienza impressionante, molto diversa da come la si immagina in una giornata di piena affluenza e che ci ha fatto entrare in contatto con il luogo in punta di piedi per riflettere sul destino di milioni di anime e sulla responsabilità che ci attendeva.”

Il timore che sorge è che questa esperienza sia paragonata a un videogioco e quindi venga edulcorata o criticata. Ma Gianluca Pontecorvo, Digital Entrepreneur and founder di I SAY, specifica che: “Ci siamo mossi su due direttrici, da una parte il rispetto dei luoghi interpretati con la serietà di una ricostruzione storica assolutamente fedele e documentata, dall’altra abbiamo dosato l’emotività dell’esperienza per non svilire o banalizzare il messaggio, evitando una spettacolarizzazione forzata e innaturale.”

Le tecnologie utilizzate nello sviluppo di Witness: Auschwitz sono quelle utilizzate in tutti i prodotti che sfruttano grafica generata in tempo reale, come quella degli studi televisivi, delle interfacce 3D o di alcuni tipi di videogiochi, ma ci dice Daniele Azara: “è il contenuto a essere diverso. Spesso i giochi hanno affrontato tematiche adulte e complesse, bisogna dirlo a chi non è avvezzo. La guerra non necessariamente esaltata, la solitudine, la perdita di un figlio per malattia, l’adolescenza, la morte, sono tutti temi affatto estranei al prodotto di intrattenimento che ricade sotto la definizione di videogioco.”

Videogioco è una parola che non descrive il medium nella sua complessità, ma in questo caso bisogna essere chiari, Witness: Auschwitz è un’esperienza completamente diversa da quella ludica. In essa è l’utente, con il suo bagaglio di conoscenze, consapevolezza, a vivere l’immersione nella VR in maniera autobiografica, fruendo del contenuto in modo opposto a un videogioco, nel quale l’obiettivo è il fine ultimo dell’interazione. Specifica Azara: “Essere nel campo di sterminio significa guardare negli occhi persone percepibili fisicamente, ammirare la bellezza di un tramonto al di là delle recinzioni, comprendere la disperazione e vivere la precarietà dell’esistenza.”

David Gallo ricorda che nel 2017 l’organizzazione di Gamescom a Colonia ha chiesto ad AESVI di rimuovere le immagini di Witness: Auschwitz dal filmato di presentazione delle aziende italiane. Ci dice Gallo: “Occorre puntualizzare che, almeno in prima battuta e finché il mercato non sarà pronto, W:A sarà fruibile solo in apposite installazioni museali o istituzionali per garantire un’esperienza il più possibile accompagnata da un percorso introduttivo al tema.” Anche se, come ci dice il Senior Advisory Consultant di I SAY, Alex Zarfati: “In W:A non ci sono scene di violenza, né ce ne sarebbe alcun bisogno. Tutti abbiamo visto film, letto libri, assistito a opere che raccontano le atrocità dei campi di sterminio. Il nostro è un lavoro che si focalizza sull’essere presenti lì, in quel momento.”

Una necessità storica mirata a non impressionare il pubblico, ma a mostrare con chiarezza dove si è spinto l’uomo, raccontando parti di quotidianità nella vita del campo senza fare sconti alla perversa macchinazione messa in atto per annichilire prigionieri, internati e condannati solo per la loro appartenenza religiosa, etnica, per il loro orientamento sessuale o politico.

101% e I SAY hanno finanziato un prototipo dimostrativo investendo circa 30k per la location analysis. Ci spiga Alex Zarfati: “È fondamentale per acquisire il campo con tecniche fotografiche 3D e per conservarlo, anche nell’eventualità di dover affrontare future battaglie contro i negazionisti.”

Lo stato attuale di sviluppo di Witness: Auschwitz vede due scene, la prima in un Tempio di Salomone figurato, nella quale ascoltare la Preghiera dei Morti incisa nella Sinagoga di Roma grazie al supporto della Comunità Ebraica. La seconda di fronte all’ingresso di Birkenau oggi, durante la quale si può raccogliere una valigia e tornare indietro nel tempo fino al 1943, anno di massima attività del Campo.

Ci dice David Gallo: “Per arrivare al prodotto attuale abbiamo incontrato alcuni dei maggiori esperti internazionali sulla Shoah e testimoni diretti, in modo da avere una visione quanto più obiettiva possibile di quello che stavamo facendo. Con la ricostruzione ci siamo fermati all’ingresso del Campo proprio perché non intendiamo fare un passo ulteriore senza esserne certi.”

L’intento ultimo di 101% e I SAY è quello di realizzare un’installazione che preveda, oltre all’esperienza in VR, anche altri contenuti come totem fotografici e video per costruire un percorso fruibile nei musei, nelle scuole e nelle sedi istituzionali.

Ma se, come ci ha spiegato Gianluca Pontecorvo, in ambito istituzionale W:A ha ricevuto molti plausi, il supporto della Comunità Ebraica di Roma, dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Microsoft li ha ospitati durante il Bett di Londra e ha fornito un corposo supporto tecnico, la ZDF tedesca li ha intervistati per un documentario sulla VR, il Direttore del Human Rights Museum di Washington si è recato Roma per provare il prototipo di persona, parlare di Shoah non comunque semplice.

Ci dice David Gallo: “Non sono state tutte rose e fiori. Al netto di un incredibile entusiasmo, ci sono state resistenze e pregiudizi sull’associazione tra Memoria e tecnologia. E anche un certo timore nel mettere fondi per assicurare la produzione completa a causa del tema delicato. La Comunità Europea ci ha bocciato con la motivazione che il tema trattato non è di interesse culturale Europeo.”

Spiegazione incredibile dato che non vi è nulla di più indissolubilmente legato alla cultura europea della storia di milioni di cittadini tedeschi, polacchi, francesi, austriaci, italiani, ungheresi, rumeni, ucraini, russi, greci, la cui vita è stata strappata violentemente dalla quotidianità per intraprendere il cammino che, proprio attraverso quell’Europa, li avrebbe internati a Auschwitz-Birkenau e in altri campi.

Ci dice David Gallo: “L’Europa non dovrebbe aver paura di investire sulla conoscenza di ciò che è stato, per allontanare il rischio che in forme diverse la tragedia possa ripetersi e come monito per ogni altra Shoah in atto”.

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