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Vittorio Alfieri muore a Firenze l’8 ottobre 1803

Ricorre oggi l’anniversario della morte di Vittorio Alfieri, grande scrittore, drammaturgo e poeta italiano, scomparso l’8 ottobre 1803, all’età di 54 anni.

Considerato il maggiore poeta tragico del Settecento italiano, Alfieri dovette fare i conti con un carattere tormentato che influenzò notevolmente anche le sue opere.

Si può in qualche modo definire infatti precursore delle inquietudini romantiche. La sua attività letteraria fu tanto breve quanto prolifica.

Vittorio Alfieri

Vittorio Alfieri

Il conte Vittorio Amedeo Alfieri nacque ad Asti il 16 gennaio 1749; fu un importante drammaturgo, scrittore, poeta e autore teatrale italiano.

A neanche un anno rimase orfano di padre; la madre si risposò in terze nozze nel 1750 con il cavaliere Carlo Giacinto Alfieri dei conti di Magliano, un parente del marito scomparso.

Fino all’età di 9 anni e mezzo visse ad Asti presso la residenza paterna di Palazzo Alfieri; la sua istruzione fu affidata a un precettore.

La Reale Accademia di Torino

Entrò subito dopo nella Reale Accademia di Torino, ma la sua insofferenza alla rigida disciplina militare, descritta come ingabbiamento e ineducazione nella sua autobiografia, lo portò ad uscirne nel 1766.

Vittorio Alfieri si descriveva come un bambino sensibile, solitario, vivace, che mal digerisce le regole:

Fra gli otto e nov’anni, trovandomi un giorno in queste disposizioni malinconiche, occasionate forse anche da salute, che era gracile anzi che no, visto uscire il maestro, e il servitore, uscii dal mio salotto che in un terreno dava nel cortile, dov’era intorno intorno molt’erba. Mi misi a strapparne colle mani quanta ne poteva, ed a metterne in bocca, masticarne, e ingoiarne quanta poteva, benché il sapore me ne riuscisse ostico assai, ed amaro. Aveva sentito dire non so da chi che la cicuta era un’erba che avvelenava, e faceva morire; non aveva fatto nessun pensiero di morire, e quasi non sapea quel che fosse; pure, seguendo un istinto naturale misto con non so quale idea di dolore, mi spinsi avidamente a mangiar di quell’erba, credendo che in quella vi dovea anch’esser cicuta.

Presso l’Accademia Alfieri compì gli studi di grammatica, retorica, filosofia e legge; il contatto con gli studenti stranieri lo stimolò molto e accrebbe la sua passione per i viaggi.

Nel 1762, grazie allo zio Benedetto Alfieri, assisté per la prima volta ad uno spettacolo teatrale rappresentato al Teatro Carignano di Torino.

Numerosi viaggi per Vittorio Alfieri

Tra il 1766 e il 1772 Vittorio Alfieri compì numerosi viaggi in vari stati europei: inizialmente visitò la penisola italiana, poi giunse a Parigi nel 1767 dove conobbe anche il monarca, da lui definito sprezzante, Luigi XV.

L’anno dopo andò a Londra e poi si recò nei Paesi Bassi; qui a L’Aia si innamorò della moglie del barone Imhof, Cristina, da lui definito il suo primo vero amore (descrive i precedenti sentimenti come “amorucci”).

Alfieri fu costretto a separarsi dall’amata per evitare lo scandalo; tentò il suicidio, ma venne salvato dal fidato servo Francesco Elia, che lo accompagnava in tutti i suoi viaggi.

Tra il 1769 e il 1772 compì un’altra serie di viaggi in Europa: partì da Vienna, passò per Berlino, dove fece la conoscenza non troppo gradita di Federico II, andò in Svezia e in Finlandia e raggiunse la Russia; qui si rifiutò di incontrare Caterina II a causa della sua profonda avversione al dispotismo.

Si recò a Londra dove incontrò nel 1771 Penelope Pitt, moglie del visconte Edward Ligonier, con cui iniziò una relazione.

Quando il visconte scoprì la tresca sfidò a duello Alfieri; seguì un processo per adulterio che rischiava di compromettere una possibile carriera diplomatica per il drammaturgo italiano che lasciò la donna.

Si recò nei Paesi Bassi, in Francia, in Spagna e poi in Portogallo; qui a Lisbona l’abate piemontese Tommaso Valperga di Caluso lo spronò a proseguire la propria carriera letteraria.

Alfieri fa ritorno a Torino

Vittorio Alfieri fece ritorno nella capitale sabauda all’età di 24 anni; si dedicò allo studio della letteratura e rinnegò così gli anni da lui definiti di “viaggi e dissolutezze”.

Con i suoi vecchi compagni dell’Accademia militare e della propria giovinezza istituì una piccola società, la “Societé des Sansguignon” che si riuniva ogni settimana nella sua casa di Piazza San Carlo; si incontravano per “banchettare e ragionare su ogni cosa”.

Vittorio Alfieri: le tragedie

Nel 1775 venne rappresentata la sua prima tragedia, Antonio e Cleopatra; l’opera riscosse notevole successo.

Il suo talento drammaturgico gli aprì le porte dei più importanti teatri italiani: negli anni a venire scrisse una ventina di tragedie, tra cui si possono annoverare Antigone, Agamennone, Rosmunda, Oreste, e Abele, da lui definito tramelogedia, ovvero tragedia mista di melodia e di mirabile.

Nelle sue tragedie si osservano la centralità del rapporto libertà-potere e l’affermazione dell’individuo sulla tirannia.

Spesso Alfieri si sofferma sullo scandaglio dei sentimenti più intimi e opera una profonda e talvolta dolorosa riflessione sulla società che lo circonda.

L’influenza delle letture

Gli anni dal 1775 al 1790 furono per lui molto intensi; si dedicò alla lettura dei classici italiani, tradusse numerosi testi latini e studiò a fondo la grammatica con lo scopo di impadronirsi dei modi toscani.

Era infatti di madrelingua piemontese e conosceva bene il francese e l’italiano, che comunque risentiva degli influssi delle altre due lingue e per questo cercava di spiemontesizzarsi e sfrancesizzarsi attraverso la lettura di voci e modi toscani e viaggi letterari in territorio fiorentino.

Lesse anche illuministi come Voltaire e Montesquieu che gli fornirono una visione razionalista e classicista, anti-tirannica; comprese l’importanza della libertà.

Nel 1778 lasciò tutti i beni alla sorella e abbandonò il Piemonte, dove mal sopportava l’idea di essere legato a un monarca da vincoli di sudditanza, e si trasferì in Toscana, prima a Siena e poi a Firenze.

Luisa Stolberg contessa d’Albany

Alfieri conobbe la contessa Luisa Stolberg d’Albany nel 1777; a lei indirizzò la maggioranza delle Rime.

Un dolce foco negli occhi nerissimi accoppiato (che raro addiviene) a candidissima pelle e biondi capelli davano alla di lei bellezza un risalto, da cui difficile era di non rimanere colpito o conquisto.

Stuart non si limitò a far scoppiare uno scandalo o sfidare il poeta a duello, come successo nelle precedenti relazioni; il 30 novembre Carlo Eduardo, in preda all’alcol, tentò di uccidere la moglie.

Vittorio Alfieri e la contessa d’Albany

Roma

Grazie all’avvallo del governo granducale, la contessa d’Albany riuscì ad abbandonare il marito, ormai alcolizzato; si rifugiò a Roma presso il convento delle Orsoline.

Nel 1783 l’Accademia dell’Arcadia di Roma lo accolse col nome di Filacrio Eratrastico. Nello stesso anno terminò l’Abele; tra il 1783 e il 1785 pubblicò la prima edizione in 3 volumi delle sue tragedie stampate dai tipografi senesi Pazzini e Carli.

Il cardinale di York scoprì la relazione tra Alfieri e la cognata, intimò al drammaturgo di lasciare Roma, se non voleva incorrere in un decreto di espulsione papale che non gli avrebbe più permesso di far ritorno nella città eterna.

Nel 1784 la contessa d’Albany riuscì, grazie all’intercessione di Gustavo III di Svezia presso Carlo Eduardo, ad ottenere la separazione legale dal marito, anche se non l’annullamento; poté anche lasciare Roma e ricongiungersi in segreto con l’amato a Colmar, in Alsazia, nel castello di Martinsbourg.

Qui l’Alfieri scrisse l’Agide, la Sofonisba e la Mirra, opera anticipatrice di tematiche proprie della psicoanalisi.

Alfieri, con il pretesto di far conoscere le proprie tragedie ai maggiori letterati italiani, intraprese allora una serie di viaggi.

Conobbe Ippolito Pindemonte a Venezia, Melchiorre Cesarotti a Padova, Pietro Verri e Giuseppe Parini a Milano. Le tragedie ebbero giudizi più che altro negativi; solo il poeta Ranieri de’ Calzabigi disse ad Alfieri che con le sue opere aveva posto il teatro italiano sullo stesso piano di quello transalpino.

Alfieri a Parigi

Si recò poi a Parigi con Luisa, dove si entusiasmò per la Rivoluzione francese, compose l’ode A Parigi sbastigliato, che poi rinnegò: dopo la degenerazione della rivoluzione nel 1792 il suo atteggiamento favorevole si modificò in avversione per la Francia.

Questo sentimento mutato in odio si può leggere nelle rime del Misogallo.

Nel 1792 la coppia, dopo l’arresto di Luigi XVI e le stragi del 10 agosto, decise di lasciare Parigi per fare ritorno, dopo una serie di tappe intermedie, in Toscana.

Nel frattempo per la contessa era stato emanato un ordine di arresto, perché nobile e straniera; i due dovettero dunque partire in fretta e furia forzando i posti di blocco.

Tra il 1792 e il 1796 Alfieri a Firenze riprese a tradurre i classici greci, Euripide, Sofocle, Eschilo, Aristofane. Da queste traduzioni prese ispirazione per la sua ultima tragedia: L’Alceste seconda.

In seguito alle vittorie francesi su suolo italiano, decise di fuggire in una villa presso Montughi.

Gli ultimi anni di vita di Alfieri

Trascorse gli ultimi della propria vita a Firenze dove si dedicò alla composizione delle Satire, di sei commedie, di traduzioni dal greco e dal latino e della seconda parte di Vita; si oppose idealmente al regime di Napoleone.

Morì l’8 ottobre 1803 a Firenze, assistito dall’amata Luisa; la sua salma si trova nella Basilica di Santa Croce a Firenze.

Il monumento funebre marmoreo, commissionato dalla contessa d’Albany (anche lei sepolta nella basilica) è opera di Antonio Canova, ultimato nel 1810.

Vittorio Alfieri, monumento funebre realizzato da Antonio Canova

Leggi anche: edgar-allan-poe-muore-il-7-ottobre-1849

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