VATICANO – Ecco perchè Wojtyla non andò in Iraq

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Con un lungo articolo pubblicato sull’Osservatore Romano il 14 febbraio, il cardinale Giovanni Battista Re, sostituto alla Segreteria di Stato ai tempi del pontificato di Giovanni Paolo II, svela i retroscena politici della mancata visita di Wojtyla in Iraq nel 2000. Il cardinale racconta come Giovanni Paolo II desiderasse ardentemente visitare Ur dei Caldei, patria di Abramo, sul Sinai, dove Dio diede a Mosè i comandamenti, in occasione del grande giubileo del 2000 per poter pregare in quel luogo carico di memorie storiche legate alla storia della nostra salvezza.  



Quegli anni però, l’Iraq viveva una situazione molto difficile. Gli Stati Uniti nutrivano il timore che Saddam Hussein possedesse un programma nucleare segreto e delle armi chimiche e poiché il leader iracheno non accettò un controllo internazionale, l’Onu decretò l’embargo, a causa del quale nessun aereo poteva raggiungere Baghdad.




«Sembrava pertanto un sogno irrealizzabile raggiungere Ur dei Caldei – afferma il cardinale Re – ma per il grande significato religioso di quel luogo Giovanni Paolo II volle che si approfondisse la questione». Così nel giugno nel 1998 inviò a discuterne con il primo ministro iracheno Tereq Aziz, il cardinale Roger Etchegaray. «Al cardinale fu detto che non si vedevano difficoltà per la visita – continua Re – e che il presidente Saddam Hussein avrebbe salutato volentieri il Papa in terra irachena».  Etchegaray spiegò il carattere religioso del viaggio del papa che non prevedeva la presenza di autorità civili.




Pochi giorni dopo, il cardinale Angelo Sodano, allora Segretario di Stato, incontrò a New York l’allora presidente delle Nazioni Unite, Kofi Annan, per discutere della difficoltà dell’embargo e della no-fly zone. «La conclusione – spiega Re –  fu che, a suo tempo, sarebbe stato sufficiente  comunicare ufficialmente a quell’organismo, il programma del viaggio papale, esclusivamente a carattere religioso e che l’embargo sarebbe stato sospeso per il pellegrinaggio del Pontefice».



Subito Wojtyla dispose di informare gli Stati Uniti del viaggio in Iraq. Madeleine Albright, allora segretario di stato statunitense, inviò a Roma una delegazione per “informare la Santa Sede sulla situazione in Iraq e fare presente le difficoltà che gli Stati Uniti e la Gran Bretagna vedevano per il progetto del Papa”. L’allora sottosegretari per i rapporti con gli stati, mons. Celestino Migliore, precisò che il viaggio del pontefice aveva esclusivamente carattere religioso e che «in tale viaggio era inevitabile l’incontro del Papa con Saddam Hussein, ma che questo non avrebbe significato per nulla appoggio alla sua politica, ma al contrario avrebbe potuto essere occasione per parlare e chiarire con il presidente alcune questioni».

Ma il pontefice non cambiò idea. «Giovanni Paolo II – racconta il cardinale Re – che già prevedeva questa contrarietà degli Stati Uniti, rimase deciso ad andare avanti ugualmente».



Giunti i tempi di definire i punti del programma del viaggio, il governo iracheno comincia a rinviarne la data. «Questo ritardo – spiega Re – fece ovviamente crescere il sospetto che Saddam stesse cambiando idea». E il porporato elenca le possibili motivazioni di questa retromarcia: «Ebbe timore di non riuscire a controllare la situazione interna, a causa della condizione di sofferenza della popolazione a causa dell’embargo? Temeva che la visita del Papa lo avrebbe spinto ad accettare l’umiliazione della verifica da parte dell’Onu sulle armi chimiche? Fu dissuaso da qualche capo religioso musulmano?» Sono domande queste a cui, secondo il cardinale «non è possibile dare risposta, perché l’ambasciatore si limitò a dire che Saddam non intendeva annullare la visita, ma soltanto rimandarla nel tempo».



E guardando alla situazione odierna nel Medioriente, il cardinale Giovanni Battista Re si chiede se «dopo il viaggio mai realizzato, gli Stati Uniti avrebbero deciso di attuare l’intervento militare in Iraq nel 2003, rovesciando, fiancheggiati dal Regno Unito, il regime di Saddam».  Secondo Re «gli echi che avrebbe avuto il viaggio papale in Iraq, compiuto con la sospensione dell’embargo da parte dell’Onu, sarebbero andati in senso contrario a una guerra degli Stati Uniti in Iraq e la visita di Giovanni Paolo II avrebbe probabilmente orientato a trovare una soluzione pacifica». Il cardinale vede nella guerra in Iraq la causa delle primavere arabe, dell’attuale guerra in Siria e del sedicente Stato islamico, con la conseguente emergenza profughi.



Non possiamo sapere se il viaggio papale sarebbe stato decisivo per le sorti dell’Iraq e dell’area mediorientale. Forse la visione del cardinale Re carica e accentua eccessivamente la portata delle possibili conseguenze derivate della mancata visita a Ur dei Caldei, ma come egli stesso afferma «è una pagina si storia che fa pensare».