Usa Iraq al 3 dialogo: mentre Teheran? (Video)

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Usa e Iraq hanno avviato il terzo dialogo strategico. Su di loro aleggia la presenza di Teheran che ha inviato un suo emissario il giorno prima dell’incontro. Ma cosa lega Iran, Usa e Iraq? E cosa deciderà il presidente statunitense Joe Biden?

Ancora dialogo tra Usa e Iraq?

Ad aprile Usa e Iraq hanno avviato il terzo dialogo strategico che dovrebbe portare al ritiro definitivo del contingente statunitense dal paese mediorientale. Qualche passo in questa direzione lo aveva tentato il presidente uscente Donald Trump, a ridosso dello scadere del suo mandato. Allora, i soldati Usa sarebbero dovuti passare da 3.000 a 2.500 i soldati presenti nel paese. Sebbene il repubblicano avesse firmato l’ordine, il generale William Seely aveva detto alle autorità a Baghdad che mancavano le condizioni per “ritirarsi dall’Iraq in modo sicuro ed efficace”. Come chiedeva, per altro, una risoluzione del Congresso. Soprattutto, la decisione di diminuire la presenza Usa in Medio Oriente non era stata vista di buon occhio dall’amministrazione democratica. Tanto che alcuni analisti statunitensi la leggevano come una “ripicca” di Trump verso Biden. In parole povere, gli Usa non avrebbero lasciato il Paese arabo tanto facilmente.

Gli Usa restano

Quindi, solo un “riposizionamento” dei soldati. Anzi, il segretario americano alla Difesa, Mark Esper, aveva chiarito che “non c’è nessuna decisione di alcun genere sul ritiro dall’Iraq“. “Non è stata presa nessuna decisione di lasciare l’Iraq. Punto“, aveva chiosato il capo del Pentagono. Nonostante il Parlamento iraniano avesse licenziato un provvedimento non vincolante per espellere le truppe straniere nel gennaio 2020. Questo sull’onda della rabbia per l’uccisione del generale Qassem Soleimani e del leader della milizia irachena, Abu Mehdi al-Mouhandis. “Rispettiamo la vostra decisione sovrana che ordina la nostra partenza“, avevano assicurato gli statunitensi in riferimento a questa decisione parlamentare. Ma nulla di più. Insomma, gli Usa non erano poi così ansiosi di scrivere la parola “fine” alle loro “guerre infinite”.

Le cose sono cambiate?

In effetti la guerra in Iraq si era rivelata una di queste. Iniziata il 20 marzo 2003 con l’invasione del paese da parte di una coalizione internazionale guidata dagli Usa, era terminata il 18 dicembre 2011 con la destituzione del dittatore Saddam Hussein. Negli anni, però, la situazione era evoluta fino a portare a una resistenza delle fazioni locali contro le truppe straniere considerate “invasori”. Specialmente quelle dei militanti sunniti e sciiti. Tanto da degenerare in guerra civile “settaria” che aveva giustificato la proroga della permanenza della coalizione Usa nel territorio a partire dal 2014. La svolta è avvenuta l’8 aprile 2021 quando l’ambasciatore Usa a Baghdad, Matthew Tueller, ha ammesso che l’impegno statunitense in Iraq sia ormai marginale. In conferenza stampa, Tueller ha spiegato come ormai le forze della coalizione internazionale in Iraq si limitino al supporto logistico. Quindi di consulenza, di addestramento e di supporto alle milizie irachene.

La dichiarazione

Dal canto suo, l’amministrazione Biden è pronta a riprendere i colloqui con i funzionari iracheni dal punto in cui erano stati interrotti, a giugno 2020. I funzionari discuteranno del ritiro dei soldati Usa dal territorio iracheno, oltre che di altre questioni relative ai rapporti bilaterali. “Questa sarà un’importante opportunità per discutere i nostri interessi reciproci in una vasta gamma di campi, dalla sicurezza alla cultura, dal commercio al clima“. Lo aveva detto in una nota l’addetto stampa della Casa Bianca, Jen Psaki. Prima di aggiungere che lo scopo della presenza statunitense sarà volta a impedire che i militanti del sedicente Stato islamico possano riorganizzarsi. “Gli incontri chiariranno ulteriormente che le forze della coalizione sono in Iraq esclusivamente allo scopo di addestrare e consigliare le forze irachene per garantire che l’Isis non possa ricostituirsi“, aveva concluso.


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Usa e Iraq rinsaldano l’intesa

In precedenza il dialogo tra Usa e Iraq era iniziato nel giugno 2020 e poi ripreso ad agosto, quando era ancora presidente il repubblicano Donald Trump. In quelle sessioni, le delegazioni dei due paesi avevano discusso della presenza di truppe statunitensi come dei gruppi di milizie che agivano al di fuori dell’autorità statale; e la terribile crisi economica che attraversava l’Iraq. Ad ogni modo, saranno i primi colloqui dell’era Biden che è entrato in carica a metà gennaio di quest’anno. Un confronto importante, seppur online, perché getterà le basi per le future relazioni tra i due paesi. Proprio oggi, le autorità irachene hanno inviato un promemoria formale all’amministrazione del presidente democratico per stabilire una data per la ripresa dei colloqui. Che il tranquillo Joe Biden riuscirà a sedare le tensioni con il paese arabo che non ha perdonato agli Usa l’uccisione dei suoi due alti ufficiali dell’esercito?

Le tensioni

Eppure il clima non è tra i più distesi. “I colloqui stabiliranno lo spostamento delle relazioni da una cooperazione militare a una cooperazione commerciale ed economica tra i due stati, dopo una serie di attacchi alle truppe statunitensi con sede nel paese“, ha riferito un funzionario iracheno al National. Oltretutto, fino a pochi anni fa mancava persino un’idea di come sarebbero dovute essere le relazioni tra i due paesi. Lo ha fatto notare al National l’analista politico di Baghdad Sajad Jiyad. “Inizialmente (il contingente Usa) era presente per aiutare l’Iraq a contrastare l’Isis, ma oltre ciò non era molto chiaro cosa intendessero fare gli Stati Uniti“, ha detto Jiyad. Ora, i due paesi potranno mettere sul tavolo tutti gli aspetti delle relazioni tra Usa e Iraq, attraverso una serie di incontri tra funzionari e diplomatici.

Un segno di distensione tra Usa e Iraq

In effetti, le relazioni tra Baghdad e Washington erano migliorate dopo che Mustafa al-Kadhimi aveva assunto la guida del governo iracheno a maggio 2020. Sebbene alcuni partiti, in particolare il blocco Fatah appoggiato dal parlamento iraniano, non abbiano mai abbandonato la loro campagna diffamatoria nei confronti della presenza statunitense in Iraq. Del resto, gli Usa hanno attribuito le milizie irachene sciite sostenute dall’Iran di numerosi attacchi contro il personale e gli interessi statunitensi nel paese arabo. Secondo gli analisti, questa nuova disponibilità rappresenta un’occasione “più unica che rara” che aprirà un nuovo capitolo di storia.


USA e Iraq continuano il dialogo strategico


Teheran tra Usa e Iraq?

A ben vedere, la ripresa del dialogo tra Usa e Iraq sembra essersi catalizzato dopo il rientro in patria del primo ministro iracheno dalla sua visita ai paesi del Golfo: Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Lo stesso Al Kadhimi aveva ribadito che “I risultati del dialogo strategico sono la strada per ristabilire una situazione normale in Iraq”. Prima di aggiungere che si tratta della “Via giusta per risolvere la crisi”. Al momento, però, questa rimane una dichiarazione d’intenti perché non si prevede un termine ultimo per il ritiro delle forze estere. Ad aver seguito a distanza ravvicinata questi sviluppi è stato l’Iran. Non solo. Il giorno prima dell’avvio dei dialogo strategico tra Usa e Iraq, Teheran aveva inviato in ricognizione Ismail Qaani, il comandante delle corpo speciale delle forze armate iraniane Quds.

Le minacce

L’alto ufficiale dell’esercito aveva raggiunto Baghdad per un vertice con i leader delle milizie irachene. Un incontro al termine del quale non era seguita alcuna dichiarazione ufficiale. Intanto, le milizie filo-iraniane avevano ripreso le loro missioni con l’intento di fare pressioni per il ritiro delle truppe straniere. In particolare, questa era diventata la prerogativa della coalizione chiamata Comitato della resistenza irachena che raggruppa numerose milizie sciite. Mentre Saad al Saadi, il portavoce della milizia filoiraniana Asayeb al Haqq, faceva notare che sarebbe stato compito del governo iracheno “Inoltrare una lettera al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per richiedere l’immediato ritiro delle truppe straniere dall’Iraq“. Oltre che “Lo smantellamento di tutte le basi militari che violano la costituzione irachena”.

Il terzo in comodo tra Usa e Iraq

Da sempre l’Iran si oppone ai colloqui sulla sicurezza tra USA e Iraq, affermando che la presenza ingombrante del contingente statunitense sarebbe la causa dell’instabilità nella regione. In realtà, l’Iraq rappresenta il fulcro della strategia statunitense che sfrutta per contenere le aspirazioni egemoniche (e il potere) dell’attuale regime iraniano. “Per ora nessun paese nella regione del Golfo è più importante per gli Stati Uniti per controllare i progetti del leader supremo dell’Iran, dei rivoluzionari intransigenti e dell’IRGC“, riferisce un rapporto del Washington Institute pubblicato il mese scorso. Ma il nuovo governo iracheno sta affrontando una serie di sfide con risultati non sempre incoraggianti. Dall’economia alla sicurezza. Come dalle riforme politiche al crollo dei prezzi del petrolio. Tutti fattori che hanno ridotto drasticamente le entrate statali.

Il report su Usa e Iraq

Se gli Usa possono aiutare i leader iracheni a costruire un Iraq stabile e forte, questa sarebbe un’aggiunta fondamentale per scoraggiare le ambizioni iraniane e la pressione militare iraniana sulla regione del Golfo“, dice il report. In un contesto nel quale le basi statunitensi sono continuamente prese di mira dai razzi dei militanti filo-iraniani, sebbene nessuno degli attacchi sia stato rivendicato. Ma se Washington e Baghdad si preparano a nuova stagione diplomatica, Teheran invia segnali contrastanti. Il 1 aprile il portavoce del ministero degli Esteri iraniano ha chiesto ufficialmente il ritiro delle forze armate statunitensi dall’Iraq. Questo in conformità con il voto del parlamento iracheno del 5 gennaio 2020. Dall’altra, alcuni importanti ufficiali della Forza Quds del Corpo della Guardia Rivoluzionaria Islamica sembrano credere che una presenza militare continua negli Usa possa essere vantaggiosa.


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La logica di Teheran

Allora qual è la logica che sta alla base? Se l’obiettivo a lungo termine potrebbe essere quello di cacciare le grandi potenze dal Medio Oriente, nel breve periodo la Repubblica islamica potrebbe trarre vantaggio dalla presenza statunitense in Iraq. Questo perché la presenza militare Usa fornisce alla Forza Quds e ai suoi alleati iracheni argomenti retorici e potenziali obiettivi. Entrambi potranno rivelarsi utili in futuro per alimentare la propaganda di Teheran nei periodi di accresciute tensioni con Washington. Un ufficiale della Forza Quds ed ex ambasciatore a Baghdad, Hassan Kazemi Qomi, ha mostrato circospezione nei confronti del ruolo “soft” che potrebbero assumere gli Usa in Iraq. “Una collaborazione sarà possibile solo se gli Usa abbandoneranno i loro ‘obiettivi illegittimi’, come lo scioglimento delle Forze di mobilitazione popolare“. Altro non sono che il filo diretto con Teheran.

Quali interessi legano Iran Usa e Iraq?

Un altro fattore da considerare è il flusso di dollari statunitensi dall’Iraq verso l’Iran. In effetti, da anni la Repubblica islamica cerca di sfruttare l’Iraq per evadere le sanzioni Usa e l’embargo, sia in via ufficiale che clandestina. Ivi compreso il contrabbando di petrolio e di prodotti petroliferi, ugualmente che in Siria. Tuttavia, sotto la campagna di “massima pressione” del presidente Donald Trump, il mercato iracheno è diventato vitale per Teheran. Anche se come alleati e partner dell’Iraq gli Usa hanno fatto di tutto per stabilizzare il governo di Baghdad e continuare la lotta della coalizione contro le organizzazioni terroristiche. Anche a scapito di Teheran. Del resto, gli Usa avrebbero adottato una politica più severa per ridurre il flusso di dollari all’economia iraniana. Se non avessero interessi in Iraq.


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