giovedì, Aprile 25, 2024

Underground. Breve storia di una metropolitana.

Underground. Breve storia di una metropolitana.

Bar & Circle è il simbolo della metropolitana di Londra, la più antica e una delle più estese al mondo.

Ha perso la “corona” di rete metropolitana più estesa quando è stata superata da Shangai, ma l’Underground londinese mantiene un primato che nessuno le potrà togliere: aperta nel 1863, è la più antica con i suoi 155 anni di attività. Quando il raffronto era solo con Parigi e New York, Londra sapeva come far valere il suo primato, ma da quando si è svegliata l’Asia non c’è più gara.
La capitale britannica è impegnata in un rinnovamento dei trasporti urbani che, almeno in Europa, non ha eguali. Tale rinnovamento lo si nota nella costruzione della Crossrail, una linea ferroviaria ad alta velocità inaugurata nel 2018 che taglia Londra da ovest a est collegando Maidenhead e Heathrow ai sobborghi orientali, passando per il centro. I treni, 30 ogni ora, hanno una capienza di 1.500 passeggeri che assorbono il 10% dell’intero traffico della città, riducendo il sovraffollamento delle ore di punta. Questa linea, con i suoi 21 chilometri di gallerie, rappresenta il futuro dell’Underground, o come viene chiamata dai londinesi doc, della Tube.

Se alcune stazione, come quella di Tottenham Court Road, si ingrandiscono e si rinnovano, altre mantengono lo stesso aspetto di quando furono create, magari cento anni fa, spesso senza alcuna concessione all’estetica. Infatti a progettarle c’erano solo ingegneri senza alcun intervento degli architetti.
Il fascino londinese aleggia un pò ovunque: un aristocratico conservatorismo di fondo unito a un essenziale funzionalismo. Chi mai penserebbe di cambiare il simbolo della metropolitana, l’inconfondibile e onnipresente bar & circle? Il merito di averlo selezionato e imposto va a Frank Pick nel 1919, ma fu Edward Johnston a trasformare il pesante bullseye tutto rosso che campeggiava nel primitivo emblema, in un più elegante cerchio dalla circonferenza rossa e dal centro bianco. Cambiò anche i caratteri iscritti nella barra blu: non più le lettere vittoriane, difficili da leggere, ma l’elementare chiaro Johnston Sans. Un’altra innovazione arrivò nel 1932 a opera di un ingegnere disoccupato, Harry Beck, che disegnò la mappa della metropolitana in forma di diagramma colorato. Il vantaggio rispetto a quelle vecchie era che si mettevano meglio in evidenza le fermate e le intersezioni tra le linee. Fu un trionfo e da allora la mappa non è più cambiata, salvo per le aggiunte di nuove linee, ed è stata imitata in tutto il mondo.

L’attaccamento alla tradizione non impedisce che oggi ci siano linee totalmente automatizzate, stazioni dove la banchina è separata dai binari da barriere trasparenti, vagoni che dai finestrini ai sedili rivelano un’attenzione alle più moderne tendenze del design. E nel 2012, con le Olimpiadi, è arrivata anche la copertura per i cellulari.
I guasti non sono frequenti, ma quando avvengono producono un tale cataclisma da lasciare il segno. Si tratta, in fondo, di inconvenienti fisiologici per un meccanismo così complesso. Pretendere che non si verifichino mai disservizi sarebbe come lamentarsi per i fantasmi che girano di notte per stazioni e cunicoli (il più famoso è lo spirito di una mummia egizia che infesta una stazione vicino al British Museum).

La moderna rete londinese è formata da un tracciato sotterraneo approntato tra il 1863 e il 1907 ed è caratterizzato dall’ampiezza dei tunnel e dalla loro profondità. All’inizio dei lavori i progetti prevedevano degli scavi profondi al massimo 5 metri, praticati a cielo aperto e chiusi solo a lavoro ultimato. Successivamente si è pensato di procedere orizzontalmente sotto terra scavando e allestendo subito dopo una intelaiatura di acciaio e cemento, il tube appunto. Si poteva andare così a notevoli profondità (20-25 metri), seguire l’itinerario che si preferiva e anche passare sotto il Tamigi. L’ampiezza del tube era determinata dalla macchina che lo effettuava, cioè il Greathead Shield. Dopo infiniti perfezionamenti, oggi, quello “scudo” rotondo, ha raggiunto dimensioni considerevoli: 140 metri di lunghezza, e 7,1 di diametro. Con gli opportuni rivestimenti i passaggi odierni hanno diametri di 6 metri avendo così lo spazio per gli aeratori, ma le gallerie realizzate con i vecchi Greathead Shield hanno diametri di soli 3, 5 metri e i treni sfiorano i muri; non c’è spazio per aggiungere condizionatori e non si riesce in altro modo a disperdere il calore prodotto dalle motrici. Tutto ciò, comunque, non è niente in confronto a ciò che si doveva sopportare ai tempi del vapore, prima dell’epocale passaggio al motore elettrico. “Peggio di un bagno turco” così la scrittrice americana Elizabeth Robin Pennell descriveva a fine ottocento la metropolitana in estate, quando c’erano solo sbuffanti locomotive rinchiuse in gallerie traboccanti di fuliggine e umidità. “Chi avrà osato scendere una volta in certe stazioni, dove si viene cotti e asfissiati al di là del sopportabile, scommetto dieci a uno che non ripeterà l’esperienza una seconda volta”.
Era stata, infatti, una grande sfida quella concepita a metà del XIX secolo, di costruire una rete ferroviaria sotterranea in una città di oltre un milione di abitanti e con un traffico caotico tanto quanto quello odierno. La sua realizzazione fu voluta a causa di due importanti fattori: il primo l’avvento di un nuovo, straordinario e veloce mezzo di trasporto come il treno; il secondo i successi politici di un avvocato della city, Charles Pearson, che riteneva lo sviluppo delle ferrovie il miglior toccasana per migliorare le condizioni di vita delle classi più umili, costrette a interminabili spostamenti per recarsi al lavoro. Ma le locomotive, con i loro fumi e vapori, non sono buone compagnie di viaggio nelle gallerie; il motore elettrico fu una vera liberazione, anche se la sua definitiva vittoria fu sancita solo nel 1961.

 

 

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