Era il 10 settembre 2002 quando la Svizzera entrò a far parte ufficialmente delle Nazioni Unite. La decisione venne presa anche in seguito al risultato di un referendum che sancì la volontà popolare di far parte a tutti gli effetti dell’organizzazione intergovernativa internazionale. L’ingresso della Svizzera nell’ONU fu salutato da un accorato discorso tenuto dall’allora presidente della Confederazione, Kaspar Villiger, all’Assemblea Generale di New York.
Il leader politico basò gran parte del suo intervento sulla questione della neutralità che da diversi anni ormai teneva banco nel suo Paese e che aveva diviso l’opinione pubblica sull’opportunità o meno di fare quest’importante passo. Del resto, non fu un caso se l’esponente del Partito Liberale Radicale affermò: «La nostra neutralità non significa egoismo», aggiungendo che questa condizione non avrebbe mai impedito alla Confederazione elvetica di far finta di nulla di fronte al dilagare della povertà e delle ingiustizie.

Proseguendo nelle sue dichiarazioni, Villiger sottolineò con orgoglio: «La nostra neutralità si coniuga con la solidarietà tipica del nostro popolo». Altrettanto significativa fu la replica di Kofi Annan – a quei tempi segretario generale delle Nazioni Unite – che, riferendosi all’ingresso della Svizzera nell’ONU disse: «Vi abbiamo aspettato a lungo». Il presidente elvetico non nascose il suo stupore di fronte alla grande approvazione riscontrata da parte degli altri Stati membri, non tardando a definire storica quella giornata del 10 settembre 2002.
D’altronde, l’adesione della Confederazione elvetica alle Nazioni Unite avvenne al termine di un processo lungo e faticoso, non scevro da polemiche. Già nel 1986, ad esempio, era stato chiesto ai cittadini di esprimersi su quest’eventuale svolta, ma l’esito fu decisamente contrario. Diversamente accadde il 3 marzo 2002, quando il 54,6% dei votanti diede un parere favorevole.
Svizzera nell’ONU: la questione della neutralità
La lontananza della Svizzera dalle Nazioni Unite è stata dibattuta a lungo. Ci si è chiesti, negli anni, come mai il Paese che prima della Seconda Guerra Mondiale aveva fornito un apporto decisivo alla fondazione della Società delle Nazioni, che ne aveva ospitato la sede e che addirittura aveva dato il suo apporto a diversi organismi dell’ONU nel dopoguerra, fosse così ostinato nel rifiutarsi di farne parte attivamente.
Ebbene, la spiegazione sta in quello che è stato definito come il «paradosso della neutralità». Tutto ebbe inizio il 26 giugno 1945, quando 51 Stati sottoscrissero durante un vertice a San Francisco la Carta dell’ONU. A sorpresa fu proprio il Paese elvetico a comunicare che non avrebbe firmato, adducendo diverse motivazioni. Innanzitutto c’era grande delusione per la fine prematura della Società delle Nazioni, e inoltre si riteneva che le Nazioni Unite fossero una sorta di organizzazione internazionale gestita e manovrata prevalentemente dalle grandi potenze che avevano vinto la Seconda Guerra Mondiale.
Tuttavia, ad oggi si può dire con una certa tranquillità che la ragione principale era legata alla condizione di neutralità della Confederazione elvetica. Nel 1920, con la partecipazione alla Società delle Nazioni, si era optato per una neutralità differenziata che continuava ad essere in vigore a livello politico, mentre il Paese avrebbe avuto parte attiva nelle sanzioni economiche. Nel 1938, però, di fronte all’avanzare dei pericoli del conflitto, le autorità governative decisero di tornare a quella a quella integrale.

Questo concetto venne eccessivamente mitizzato dalle istituzioni locali, le quali iniziarono a diffondere tra i confederati la convinzione che solo grazie a questa scelta lo Stato si era salvato dalle atrocità della guerra. Le potenze estere, invece, criticarono apertamente gli elvetici per aver portato avanti affari e trattative economiche con la Germania nazista. Dunque Stati Uniti, Gran Bretagna e Unione Sovietica ritennero che ormai la neutralità avesse perso di credibilità.
La Svizzera ribadì e rafforzò ulteriormente la sua posizione quando ebbe inizio la Guerra Fredda. Anche in questo caso però piovvero pesanti critiche relative alla presunta e attiva vicinanza del governo elvetico con il blocco occidentale. In realtà in questa circostanza diverse superpotenze – in particolare gli Stati Uniti – preferirono far finta di nulla perché la neutralità ora gli tornava utile.
Intanto numerose realtà neutrali cominciarono a dare il proprio assenso alle Nazioni Unite, mentre gli svizzeri non ci ripensarono, ribadendo che la neutralità assoluta era inconciliabile con i principi e i valori dell’organizzazione globale. Su questa scia, nel 1986 il 76% degli elettori disse di No ad un ingresso ufficiale della Svizzera nell’ONU. Questo risultato si ebbe anche in seguito ad una lunga attività di propaganda politica da parte della destra, che diffuse tra la popolazione la convinzione che l’ente fosse controllato dai Paesi comunisti.
La svolta si ebbe nel 1989 con la caduta del Muro di Berlino che fece perdere gran parte della sua efficacia alla neutralità della Confederazione elvetica. Il dibattito politico si riaccese tra coloro i quali sostenevano che ormai il Paese dovesse finalmente aprirsi al mondo esterno sia per difendere i propri interessi, sia per ragioni di solidarietà; e i movimenti nazionalisti che invece confermarono l’importanza di restare lontani dalle Nazioni Unite che avrebbe finito col minacciare anche l’unità interna e la sovranità nazionale.
La fazione contraria all’adesione della Svizzera all’ONU ebbe un duro colpo quando venne commissionato e pubblicato il rapporto Bergier che evidenziò i rapporti intrattenuti dal Paese con Il Terzo Reich durante la Seconda Guerra Mondiale, facendo così cadere il mito dell’efficacia della neutralità assoluta. E non fu un caso se successivamente, il 3 marzo 2002, i cittadini votarono a favore di un’apertura alle Nazioni Unite, decretandone di fatto l’approdo definitivo il 10 settembre 2002.