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19 novembre 2005: massacro di Haditha

Il 19 novembre 2005 si consumava la strage di Haditha, il massacro di ventiquattro civili iracheni da parte di una squadra dello United States Marine Corps. Se non fosse stato per le indagine giornalistiche del New York Times e del Times, ancora si mentirebbe riguardo le morti di questi civili.

La strage di innocenti

Sono le 7.15 della mattina del 15 novembre 2005, un ordigno rudimentale uccide Miguel Terrazas, giovane caporale di venti anni, appartenente alla squadra dello United States Marine Corps. La guerra americana contro l’Iraq è iniziata ormai da due anni e la morte di questo giovane caporale a Haditha diventa subito un motivo di vendetta per i Marines del luogo. Questi fermano subito un taxi che viene nella loro direzione, aprono il fuoco, inizia il massacro : rimangono subito uccisi tre studenti e l’autista. A questo punto i soldati invadono quattro case nelle vicinanze: nella prima (casa Waleed) uccidono sette persone, tra cui due donne ed una bambina; nella seconda (casa Younis) uccidono otto persone, tra cui sei donne; la terza e quarta casa appartengono allo stesso nucleo familiare Ayed, nella casa del padre vengono uccisi quattro uomini mentre nella casa del figlio sono tenuti prigionieri donne e bambini.

Bomba o massacro doloso?

Nelle ore successive sergenti e ufficiali fanno ripulire il luogo del delitto, cercano di insabbiare l’accaduto. Vengono ritrovate vittime con le mani legate e una casa salta in aria: il battaglione sostiene comunque che la morte delle ventiquattro vittime sia stata causata dall’esplosione di una bomba. La stampa non crede alle parole del terzo battaglione: il Times e il New York Times pubblicano delle inchieste giornalistiche che provano che sia stato un massacro doloso e non una bomba.

Tuttavia solo il 17 maggio 2006 fu appalesata la versione ufficiale degli eventi, grazie alle dichiarazioni di un membro del Congresso degli Stati Uniti che confermò la ricostruzione della stampa. Il massacro di Haditha viene dichiarato essere un crimine di guerra. Gli imputati (che rischiano la pena di morte) saranno giudicati da una corte marziale operante sotto la giurisdizione della legge degli Stati Uniti mentre, in accordo con i patti presi con il governo provvisorio dell’Iraq, non potranno essere giudicati nei termini previsti dalla legge irachena.

Testimonianze

l 27 maggio 2006, il quotidiano britannico The Times pubblica la testimonianza di una bambina irachena di dieci anni, Iman, sfuggita alla strage. Verso le sette del mattino, la bambina, che si preparava per andare a scuola, ode una forte esplosione. Successivamente alcuni spari, la famiglia decide di restare in casa. Circa un quarto d’ora dopo: “I marines irruppero nella casa di Iman. Buttarono una granata nella stanza dove dormivano i nonni. Iman vide che sua madre era stata colpita dalle schegge. La zia prese uno dei bambini e riuscì a fuggire dall’abitazione. I soldati, racconta Iman, aprirono poi il fuoco nel soggiorno, dove la maggior parte della famiglia era riunita. Suo zio Rashid, appena sceso dal piano di sopra, vide quello che succedeva e tentò di fuggire, ma i marines lo rincorsero per strada e gli spararono. Tutti quelli che si trovavano nella casa furono uccisi dagli americani, eccetto mio fratello Abdul-Rahman ed io” racconta Iman “Eravamo troppo terrorizzati per muoverci e io cercai di nascondermi sotto un cuscino. Una scheggia mi aveva colpito la gamba. Per due ore non osammo muoverci. I miei familiari non morirono sul colpo. Potevamo udirli lamentarsi”. La bambina nel massacro perde i nonni, i genitori, due zii ed un cuginetto di quattro anni.

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