giovedì, Aprile 18, 2024

Stevens e la revoca del secondo emendamento

“Sono favorevole al secondo emendamento”. Così Joe Biden alcune settimane prima delle due recenti stragi di Buffalo, New York, e Uvalde, Texas. Il diritto del possesso di armi da fuoco è sancito dal secondo emendamento, ma secondo l’attuale inquilino della Casa Bianca non è un diritto “assoluto”. Quasi nessuno parla dell’abrogazione del secondo emendamento come maniera di controllare le armi da fuoco che in America continuano a distruggere vite umane.

L’eliminazione del diritto alle armi non è in discussione ma nel marzo del 2018 John Paul Stevens, giudice della Corte Suprema dal 1975 e al 2010, prese questa posizione radicale. In un articolo pubblicato nelle pagine del New York Times, un mese dopo una sparatoria in Florida in cui persero la vita 17 persone, Stevens auspicò la revoca del secondo emendamento. L’ex giudice, scomparso nel 2019, incoraggiava i sostenitori dei controlli alle armi, spronandoli di andare oltre, richiedendo la revoca del secondo emendamento.

Stevens conosceva benissimo la costituzione e non aveva illusioni sulla praticabilità della sua tesi. La revoca di un emendamento richiede l’approvazione di 2 terzi dei voti in ambedue le Camere legislative che dovrebbe poi essere ratificata da 3 quarti degli Stati. Il che vuol dire un sogno impossibile.

Per giustificare il possesso armi si ricorre al secondo emendamento, un testo poco chiaro. Dice che “il diritto di possedere e portare armi” non sarà proibito perché “una ben organizzata milizia” è necessaria alla sicurezza dello Stato. La sintassi del secondo emendamento è poco chiara se si tratta di un diritto di possesso individuale o semplicemente quando si è membri di una milizia, vedi esercito.

Stevens infatti lo chiarì nel suo articolo dicendo che si potrebbe modificare il testo sottolineando che il porto armi era accettabile “quando si presta servizio in una milizia”. Cioè il possesso armi è legale solo per i soldati. Stevens aveva sostenuto questa tesi nella decisione che difatti mise a nudo il possesso armi come diritto individuale. Nel 2008 la Corte Suprema, con un maggioranza di 5-4, le toghe decisero nel caso di District of Columbia Vs. Heller che il possesso armi era un diritto individuale. Stevens si scontrò in quel caso con il giudice conservatore Antonin Scalia il quale scrisse l’opinione della Corte per la maggioranza. Il giudice italo-americano riconobbe però che il governo ha tutti i diritti di creare “leggi che impongono condizioni e limiti sulla vendita delle armi” e di vietarle in “luoghi delicati” come scuole e proibire “armi insolite e pericolose”.

In effetti la Corte Suprema chiarì le ambiguità del testo del secondo emendamento ma allo stesso tempo reiterò il diritto e il dovere di proteggere i cittadini dalla letalità delle armi. Come ha detto Biden proprio di questi giorni il diritto sancito dal secondo emendamento non è infinito. Nascondersi dietro l’emendamento per opporsi ai limiti di alcuni tipi di armi non è dunque valido.

L’arma usata a Uvalde è un AR-15, un fucile che il diciottenne responsabile è riuscito a comprarsi facilmente subito dopo il suo ultimo compleanno. Si tratta di un’arma disponibile ai civili ma molto simile a quelle dei soldati. Può sparare quasi 100 pallottole in un minuto e ricaricare in uno o due minuti. Quindi si possono sparare centinaia di pallottole in brevissimo tempo. Difficile capire come una persona comune abbia bisogno di questo tipo di armi per legittima difesa. Ci sono più di 400 milioni di armi da fuoco in circolazione negli Usa e 20 milioni di queste sono AR-15. Sarebbe logico che questo tipo di armi da fuoco fossero bandite. Difatti 7 Stati lo hanno fatto ma negli altri si possono ottenere e ovviamente trasportarli facilmente.

La NRA (National Rifle Association), la potente lobby dei diritti di possesso armi, sostiene che nuove leggi non fermerebbero queste stragi. I repubblicani che sostengono la linea della NRA offrono poco eccetto il solito “rifugio” della precaria salute mentale di alcuni individui come responsabili di queste stragi. Non si accorgono o non vogliono capire la realtà basica che le leggi funzionano, come si vede in altri Paesi. L’Australia, nel 1996, dopo una sparatoria in cui 35 persone persero la vita bandì i fucili di assalto. Più recentemente, la Nuova Zelanda nel 2019 fece la stessa cosa dopo la strage di 50 persone. Il Canada ha appena annunciato che approveranno leggi per limitare l’accesso alle armi da fuoco. Le leggi per controllare le armi funzionano. Anche in America. L’individuo responsabile per la strage di Uvalde voleva comprare il suo AR-15 illegalmente prima dell’età di 18 anni e chiese aiuto alla sorella la quale si è saggiamente rifiutata. Dovette dunque aspettare il suo diciottesimo compleanno. Senza l’AR-15 i 19 bambini e i due adulti sarebbero ancora vivi. Le leggi funzionano ma sono debolissime. Il Senato americano ha iniziato a discutere qualche misura per controllare il facile accesso alle armi. Simili sforzi si sono visti in passato ma i repubblicani, nonostante la loro minoranza, continuano a bloccare leggi che salverebbero vite umane. Si sveglieranno? Probabilmente no. Quanti altri bambini o innocenti vittime in chiese, moschee, sinagoghe o altri luoghi pubblici dovranno perire prima che agiscano?

Domenico Maceri
Domenico Maceri
PhD, professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della National Association of Hispanic Publications.

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