sabato, Aprile 20, 2024

Stefano Cucchi – sulla sua pelle

Un film senza finale

Dal 12 Settembre su Netflix è disponibile il film di Alessio Cremonini, “Sulla mia Pelle”. La pellicola, per chi ancora non ha avuto l’opportunità di vederla, ripercorre gli ultimi giorni di vita di Stefano Cucchi, dal suo arresto fino al decesso.

Devo essere sincero, vedere il film non è stato facile. Guardandolo ho rivissuto lo shock di quando, per la prima volta, vidi le foto del corpo martoriato di Stefano.

Sulla mia pelle è molto più di un film, è la trasposizione cinematografica di una triste pagina di cronaca giudiziaria. La sceneggiatura non permette che i fatti vengano inquinati dalla fiction. Nessuna interpretazione. La pellicola ripercorre fedelmente la notte in cui Stefano Cucchi venne spogliato dei suoi diritti e lasciato nudo e solo, a morire. È un film che però non ha la pretesa di incolpare, giudicare o santificare. Non punta il dito al grido j’accuse. Ma è un urlo e infine il rantolo di un animale morente che prova ad aggrapparsi a tutto ciò che gli è intorno per sentirsi vivo. È la rappresentazione della coscienza civile che resiste, nonostante tutto.

La vicenda

È il 15 Ottobre del 2009 e sono da poco passate le 23 quando Stefano Cucchi incontra il suo amico Emanuele Mancini in via Lemonia, periferia est di Roma. Dopo poco il loro incontro, i due vengono fermati da una pattuglia dei carabinieri perché beccati mentre Stefano cede per 20 euro un pezzo di hashish all’amico. Scatta l’arresto. Come si legge dal verbale d’arresto a Stefano vengono rinvenuti 20 grammi di fumo, due dosi di cocaina e 2 pasticche di ecstasy. In realtà queste ultime non sono pasticche di droga ma di Rivotril che Stefano portava con sé perché epilettico. Gli agenti, guidati da Stefano (ancora in salute), si recano nel domicilio indicato sul documento d’identità del ragazzo – casa dei genitori – convinti di trovare altra droga ma non trovano nulla. La droga, che verrà consegnata successivamente dagli stessi genitori del ragazzo, si trovava in un appartamento di proprietà della famiglia Cucchi, a Morena. Da qui in poi i contorni della vicenda si sfocano ma il volto tumefatto di Stefano resta nitido. L’unica certezza è che Stefano venne picchiato dopo la perquisizione.

Durante l’udienza per la conferma del fermo in carcere, avvenuta il giorno seguente, Stefano depone con il volto sfigurato e per le ferite fa fatica anche a parlare. Il giudice neanche lo guarda e fissa l’udienza per il processo il mese successivo. Stabilisce inoltre che Stefano dovrà rimanere in attesa di giudizio in regime di custodia cautelare nel carcere Romano di Regina Coeli. Trasferito per le sue condizioni fisiche all’ospedale FatebeneFratelli e successivamente al Sandro Pertini di Roma, Stefano muore il 22 Ottobre del 2009.

Stefano Cucchi e la Democrazia

Qui iniziano le mie perplessità e dubbi. Chiaro, l’obiettivo di questo articolo non è ripercorrere le fasi della vicenda giudiziaria. Tanto si è detto e tanto altro si scriverà. L’obiettivo è quello di usare il caso Cucchi come indice del livello di democrazia in Italia.

In letteratura troviamo una gran quantità di definizioni di democrazia. Il professore Pietro Grilli di Cortona, nel suo “Come gli Stati diventano democratici” prova a darne una definizione ad elenco, composto da 8 punti. La mancanza di anche uno solo di questi elementi indica che siamo al di sotto delle soglia minima di democrazia. Non vi voglio tediare e quindi non ve li citerò tutti. Ma vorrei soffermarmi sul settimo punto. Cito: “libertà di espressione, di associazione, di dissenso e di opposizione, nonché rispetto per i diritti fondamentali della persona”.

Rispetto per i diritti fondamentali della persona.

Cesare Beccaria nel suo breve saggio “Dei delitti e delle pene” nel 1764 scriveva: “ogni pena che non derivi dall’assoluta necessità è tirannica”. Stefano Cucchi è stato vittima della tirannia dei suoi aguzzini, gli agenti che lo hanno tratto in arresto e dei medici che hanno preferito guardare dall’altra parte. Ma non solo. È stato vittima di un sistema che non è degno di un contesto democratico.  Il sistema carcerario in Italia va rivisto. Il sovraffollamento è il problema principale. Il carcere di Larino, in Molise, presentava fino al 31 Marzo il maggior tasso di affollamento in Italia. Con una capienza massima di 107 posti letti, ospitava 217 detenuti. Un percentuale di affollamento del 202,8%. Per non parlare delle violenze che giornalmente subiscono alcuni detenuti. Non si tratta delle sole violenze fisiche, ma anche di quelle psichiche. La conseguenza principale di queste condizioni è l’elevato tasso di tentati suicidi.

Conclusioni

Mi sembra quasi di sentirvi, molti di voi staranno pensando: “sono dei detenuti, il carcere non deve essere un soggiorno a cinque stelle”. Ma permettetemi di ricordarvi, la pena detentiva ha come scopo la riabilitazione del detenuto. Per citare ancora Cesare Beccaria: “una pena accresciuta al di là del limite fissato dalle leggi è la pena giusta più un’altra pena”.

Le vicende giudiziarie sull’omicidio di Stefano Cucchi, da molti etichettato come omicidio di Stato, ancora non si sono concluse. È un film senza finale. Si ha come l’impressione che i colpevoli di questa vicenda siano tutelati da una divisa (o da un camice) e da uno Stato che si mostra incapace di far rispettare i principi contenuti all’interno delle leggi su cui si fonda l’ordinamento giuridico italiano: “L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte” – articolo 27 della nostra Costituzione.

Dedico questo articolo a Stefano Cucchi, Riccardo Rasman, Giulio Comuzzi, Federico Aldrovandi, Manuel Eliantonio, Marcello Lonzi, Aldo Bianzino, Stefano Consiglio, Gabriele Sandri, Stefano Frapporti, Simone La Penna, Katiuscia Favero, Aldo Scardella, Giuliano Dragutinovic, Riccardo Boccaletti, all’appuntato dei carabinieri Riccardo Casamassima e alla sorella di Stefano, Ilaria.

Saverio Saccà
Saverio Saccà
Saccà Saverio - nato e cresciuto a Reggio Calabria. Mi sono laureato in Relazioni Internazionali a Roma. Scrivo di Attualità e Cronaca anche se spesso strizzo l'occhio ad argomenti che riguardano fenomeni geopolitici. «Il giornalista può essere fazioso, il giornalismo non lo è mai».

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