A tutti sarà successo almeno una volta di entrare in uno Starbucks, ordinare dicendo il proprio nome e ritrovarne uno completamente diverso scritto sulla tazza. E’ successo anche a Niquel Johnson, ma questa volta, l’errore non è passato inosservato.
Philadelphia. Domenica scorsa Niquel Johnson è entrato in uno store di Starbucks con il solo e unico intento di riposarsi con un caffé della catena americana. Come da prassi, ha lasciato al barista il nome da riportare sul bicchiere: Aziz, il suo nome islamico, come fa da sempre. Dopo aver lasciato l’ordine ha aspettato che questo fosse pronto e se ne è andato. La prima stranezza si era già presentata nel momento in cui il barista ha chiamato l’ordine annunciando il nome della bibita e non il nomitavo lasciato alla casa, ma Aziz non gli ha prestato molta importanza.
La vera sorpresa è arrivata solo alcuni istanti dopo quando, grazie ad un amico, ha notato che il nome riportato sullo scontrino non era Aziz, bensì ISIS come l’acronimo del gruppo terroristico islamico. “Ero arrabbiato e scioccato. – Ha dichiarato Niquel Johnson al Washington Post – Mi sono sentito discriminato.”
La risposta di Starbucks
“Dopo aver investigato, non riteniamo che si tratti di un caso di discriminazione. Il cliente ha dichiarato di chiamarsi Aziz. Il barista per errore ha riportato il nome in modo scorretto. Abbiamo contattato il Signor Johnson e ci siamo scusati per questo deplorevole errore“. Ha dichiarato il portavoce della compagnia Reggie Borges.
Eppure, parrebbe che questo contatto non sia mai venuto. A detta dello stesso signor Johnson.
Infatti, la notizia ha presto fatto il giro dei social e dei media diventando presto virale. Così, quattro giorni dopo, Johnson è stato contattato dallo store di Starbucks che gli ha annunciato di aver già chiarito e retificato la situazione in una conversazione tenuta con una ipotetica nipote di Aziz di nome Alora, che quest’ultimo ha dichiarato non esistere.
“E’ una rivelazione per entrambi – è stata la risposta di Brian Dragone – rappresentante di Starbucks – al telefono con Aziz quattro giorni dopo il fatto – e non so come siamo arrivati a questo punto. Mi dispiace.”
La risposta di Johnson è stata chiara: “Non è un fatto che si può risolvere con delle scuse. Mi sento discriminato, e non ci sono scuse che possano reggere ad oggi. Io credo solo che il suo collega stia inventando questa storia.” Definendo la scusante della nipote come una bufala, Niquel sta considerando l’ipotesi di iniziare un’azione legale contro l’azienda. Dopo l’incidente dello scorso anno infatti, Niquel si aspettava maggiore attenzione da parte dei commessi dello store di Philadelphia, cosa che non ha notato.
“Mi sembra che non prendino la cosa seriamente. – ha dichiarato Aziz – Come hanno potuto permettere a qualcun altro di parlare a mio nome?”
Il caso dello scorso anno
Non è la prima volta che lo store di Philadelphia deve fare i conti con accuse di razzismo e discriminazione. Solo un anno fa infatti, un commesso del negozio Starbucks ha chiamato dei poliziotti per due sospetti uomini di colore seduti vicino al negozio. Questi, a seguito della chiamata, sono stati poi portati via in manette.
L’incidente è stato poi seguito dalle scuse pubblice del CEO di Starbucks – Kevin Johnson – che ha portato alla luce altri casi simili in circa 8.000 negozi della catena di caffè americana.