Sono femminicidi e non omicidi: la ventunesima vittima del 2021

0
1489
Femminicidi
Femminicidi

Si allunga la lista dei femminicidi. Si tratta della ventunesima dall’inizio dell’anno. L’ennesima donna al centro di una morte descritta come omicidio.

Si allunga la lista di sangue

Ancora una vittima di femminicidio. Ylenia Lombardo è la ventunesima in Italia dall’inizio del 2021. La donna di 33 anni, originaria di Pago del Vallo di Lauro, nell’Avellinese, ieri pomeriggio è stata trovata carbonizzata dentro la sua casa. Il fermo ad un uomo di 36 anni per omicidio aggravato e incendio. Già noto alle forze dell’ordine, pare fosse in cura presso un centro di igiene mentale. Nelle sue disponibilità sono stati trovati dei vestiti sporchi di sangue. Il corpo di Ylenia presentava delle ecchimosi: potrebbe esser stata picchiata e poi data alle fiamme fino alla morte.

Solo pochi giorni fa era toccato a Emma Pezemo. Il corpo della studentessa camerunese è stato trovato a pezzi in un cassonetto a Bologna, il 2 maggio. Ad ucciderla l’uomo che frequentava. Lo stesso che, probabilmente, l’aveva messa incinta: un segreto che aveva confessato a pochi e che potrebbe essere stato il movente dietro il suo femminicidio.

Le vittime di femminicidio descritte come vittime di omicidio

Ylenia ed Emma non sono soltanto le ultime nella lista dei femminicidi del 2021: sono anche le ennesime ad essere definite vittime di omicidi. La stessa sorte, infatti, è toccata alle altre donne al centro delle brutali tragedie che hanno riempito i media per qualche giorno. Il tempo di trasformare le loro storie in gossip momentanei successivamente cestinati.

Un esempio è il femminicidio di Victoria Osagie, risalente al 16 gennaio del 2021. La donna di 34 anni è stata uccisa dal marito Moses Ewere Osagie, 41 anni, a Concordia Sagittaria, in provincia di Venezia. “La ricostruzione dell’omicidio di Victoria Osagie”, così VeneziaToday definisce il femminicidio della seconda vittima del 2021.

Due giorni dopo, il 26 gennaio 2021, Tiziana Gentile, 48 anni, è stata uccisa dal conoscente Gerardo Tarantino all’interno della sua abitazione a Orta Nova, in provincia di Foggia. “Foggia, l’omicidio di Tiziana Gentile. Il presunto assassino al figlio: “Sarò un latitante””, le parole usate da Fanpage per descrivere l’accaduto.

A febbraio, Ilenia Fabbri, 46 anni, è stata sgozzata da Claudio Nanni, ex marito e mandante, e Pierluigi Barbieri, esecutore. “Omicidio Ilenia Fabbri, arrestati l’ex marito e il presunto killer”, le parole de Il Messaggero; “Omicidio di Ilenia Fabbri a Faenza: la polizia arresta l’ex marito e un suo conoscente”, si legge sul sito de La Stampa.

Il giorno successivo, domenica 7, Piera Napoli, 32 anni, viene ritrovata nel bagno del suo appartamento a Palermo, dove la cantante neomelodica viveva insieme ai tre figli e al marito Salvatore Baglione. La dinamica dei fatti è ancora sconosciuta, ma sul corpo della donna sono state rivelate diverse ferite da arma da taglio. È stato il marito stesso a presentarsi dai carabinieri per denunciare l’avvenuto. “L’omicidio di Piera Napoli, un mese fa aveva chiamato la polizia”, il titolo de La Repubblica.

Chiamiamoli femminicidi

Chiamiamoli per quello che sono: femminicidi. Basta definirli omicidi, risvolti tragici, furie improvvise. Le ventuno donne morte dall’inizio dell’anno sono state brutalmente uccise e i loro sono episodi di femminicidio. Raccontarli come omicidi vuol dire, non solo sminuire quanto accaduto, ma anche ignorare che si tratta di un concetto che “si estende aldilà della definizione giuridica di assassinio ed include quelle situazioni in cui la morte della donna rappresenta l’esito o la conseguenza di atteggiamenti o pratiche sociali misogine“. Insomma, non si tratta dell’omicidio di una persona di sesso femminile a cui possono essere riconosciute aggravanti individuali: si tratta di un delitto che trova i suoi profondi motivi in una cultura dura a rinnovarsi e in istituzioni che ancora la rispecchiano almeno in parte.

Ogni volta che ci si riferisce a questi episodi come “omicidi” si sceglie volontariamente di ignorare una situazione dilagante e sistemica. La parola “femminicidio” non esiste perché le donne desiderano ergersi su un podio più alto; né perché esse vogliono indicare con un termine speciale la loro morte. Se la parola “femminicidio” esiste è perché le donne sono da secoli soggette a un fenomeno ben preciso, e talmente tanto diffuso che necessita di essere isolato con un termine esclusivo. Quando si tratta di femminicidi usiamo la parola giusta. Usarla aiuta a far capire quanto sia preoccupante e disturbante la realtà. Non usarla aiuta a dimenticare le morti di queste donne e ad alimentare quelle dinamiche che hanno causato la loro mattanza.