Sheikh Jarrah. Gerusalemme Est. Occupata. Tra pochi giorni sarà agosto. Per molte persone questo mese segnerà l’inizio delle ferie. Un periodo in cui rilassarsi prima di riprendere la routine. Mentre per decine di famiglie palestinesi potrebbe significare che è giunto il momento di lasciare le loro case. Per sempre. Una contesa che va avanti da oltre quarant’anni. Almeno dal 30 luglio 1980. Ma cosa c’è dietro gli sfratti forzati nel piccolo quartiere della Città Santa?
Ancora sfratti a Sheikh Jarrah?
Ad oggi, i palestinesi non sono liberi di spostarsi o vivere all’interno del loro Paese. Almeno, non dove vorrebbero. Di questo ne sono consapevoli le decine di famiglie che si sono viste notificare un ordine del tribunale distrettuale di Gerusalemme. Il provvedimento le intimava di abbandonare le proprie abitazioni, rivendicate da cittadini ebrei. Per il prossimo mese, infatti, si attende la decisione della Corte Suprema israeliana. La quale aveva posticipato la decisione a causa dei disordini scoppiati nella Città Vecchia tra manifestanti musulmani e forze di occupazione. Gli stessi che avevano portato, come si ricorderà, all’escalation di violenza tra Israele e Hamas. Il gruppo palestinese a capo della Resistenza, che controlla la Striscia di Gaza.
Background
Nei mesi scorsi, da Gerusalemme giungevano immagini da Terza Intifada. Il mondo arabo si rivoltava contro lo Stato ebraico. Disordini, proteste di piazza. Case e autovetture prese a sassate dai manifestanti. Così come gli agenti della polizia israeliana. Lanci di bottiglie molotov colpivano le caserme delle forze di occupazione, dandole alle fiamme. Centinaia di persone sono rimaste uccise, molte ferite. Alcune in maniera grave. Le strade della Città Vecchia erano impraticabili. Fino a quando la situazione è degenerata. Ancora. Tutto questo era alimentato dall’esasperazione. Quella del popolo di Palestina, stanco di subire abusi. Come gli sfratti forzati. “La legge avvantaggia gli ebrei sui non-ebrei. È un apartheid casa-per-casa, rione-per-rione“. Così lo definisce l’analista politico palestinese Yousef Munayyer.
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I residenti di Sheikh Jarrah
Eppure, lo sfratto è legale. O meglio, legalizzato. Questo ai sensi di una legge quasi-costituzionale del 1980, licenziata dall’allora Primo ministro israeliano Menachem Begin. Costola della legge Legge sui Beni Assenti del 1950, tale provvedimento permette ai cittadini ebrei israeliani di rivendicare le loro proprietà anche a Gerusalemme Est, se provano di avere un titolo anteriore alla guerra arabo-israeliana del 1948. L’anno che coincide con la Nakba, la Catastrofe palestinese. Oltre che la data in cui fu dichiarato lo Stato di Israele. Giusto il giorno prima che venisse riconosciuto dalle Nazioni Unite. Certo, il fatto che sia consentito dalla legge non implica che sia anche giusto. Soprattutto perché, ad oggi, non esiste alcun provvedimento analogo per i “palestinesi di Israele” che lì vi abitano. E i cui avi persero i possedimenti nel medesimo conflitto.
Ménage
“Ho abitato in questa casa per 65 anni“, racconta uno dei residenti di Sheikh Jarrah. Mentre aspetta la decisione del tribunale che potrebbe stravolgere la sua vita. La minaccia degli sfratti, solo sospesa durante il Ramadan, aveva spinto centinaia di residenti e manifestanti palestinesi a riversarsi nelle strade per protesa. Da cui erano seguiti gli scontri tra la popolazione civile e le forze di occupazione israeliane. Dal canto suo, l’allora Primo ministro Benjamin Netanyahu aveva elogiato le operazioni di polizia. Oltre a difendere la legittimità delle misure assunte. “Gerusalemme è la capitale di Israele“, diceva il leader di Likud in una conferenza stampa. “E come ogni popolo ha il diritto di costruire nella propria capitale, anche noi abbiamo il diritto di edificare a Gerusalemme“. Il popolo di Israele, non di Palestina.
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Il destino di Sheikh Jarrah
Nel 1967 Israele occupò Sheikh Jarrah come tutta la Cisgiordania. Poco dopo, lo Stato ebraico inglobò unilateralmente la Gerusalemme giordana e molti villaggi circostanti, creando quella che, da quel momento, viene chiamata “Gerusalemme Est”. In seguito, le autorità sioniste iniziarono a rafforzare la loro presenza nella regione. Non solo espropriando vaste aree di terreni non edificati, per lo più di proprietà dei palestinesi. Ma anche costruendovi insediamenti di coloni israeliani: i settlers. Le mappature originali sono ancora disponibili sul portale Bimkom.org. Oggi, a Gerusalemme molte persone non distinguono più tra l’Ovest della Città Santa e quartieri israeliani a Est.
Legge o Giustizia?
Il 10 febbraio 2021, il tribunale distrettuale di Gerusalemme aveva convalidato una sentenza dell’ottobre 2020. Il cui dispositivo intimava a un certo numero di residenti di Sheikh Jarrah di liberare le proprietà che occupavano entro e non oltre il 2 maggio 2021. A guisa della notificazione, le famiglie interessate avevano presentato ricorso alla Corte Suprema israeliana. La quale aveva assegnato alle controparti il termine del 6 maggio per espletare un tentativo di risoluzione stragiudiziale. La dilazione era valsa come un invito a diverse ONG, che hanno dato il via a un’ampia campagna a sostegno dei residenti (e resistenti) di Sheikh Jarrah. In particolare il gruppo palestinese Al-Haq. Ad ogni modo, la questione aveva stimolato anche le osservazioni alla Corte penale internazionale (CPI), nonché quelle dei funzionari delle Nazioni Unite. Secondo questi ultimi, lo sfratto forzato integra le fattispecie di crimini di guerra.
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Sul filo
Dal canto suo, l’amministrazione Biden si è timidamente opposta agli sfratti a Sheikh Jarrah. Mentre un esperto di Gerusalemme ritiene che i magistrati si trovino a un bivio. Da una parte temono che, se si schiereranno con i coloni ebrei, diventeranno dei paria a livello internazionale. Dall’altra, se appoggeranno i palestinesi che vivono lì da generazioni, le loro famiglie diventeranno il bersaglio delle minacce di morte da parte delle fazioni ebraiche di estrema destra. Al gruppo di pressione israeliano Israel Policy Forum, Daniel Seidemann ha spiegato infatti che se i giudici scriveranno un verdetto a sostegno dei coloni saranno considerati complici dei crimini di guerra dalla comunità internazionale. Al contrario, dovranno accettare il fatto che i loro figli andranno a scuola con quelli delle loro guardie del corpo. Per tali ragioni, la questione dovrebbe essere risolta dalla politica e non dalla magistratura. Almeno stavolta.
Speranza
Secondo una fonte vicina al Primo ministro israeliano Naftali Bennett, il governo del cambiamento non intende sfrattare i residenti palestinesi dal quartiere di Sheikh Jarrah. Che in ebraico prende il nome di Shimon HaTzadik: “Simon il Giusto”. Quel che è certo, l’Alta Corte di Giustizia ha programmato l’udienza sullo sfratto per lunedì. Nonostante nei gradi inferiori i tribunali avessero accolto le istanze della Nahalat Shimon Company, una società che rivendica la titolarità dei terreni allo scopo di sviluppare un progetto di edilizia abitativa ebrea, è improbabile che l’Alta Corte ordini lo sfratto. Per la stessa fonte, piuttosto, il nuovo esecutivo ne approfitterà per spegnere le fiamme del conflitto in corso a Gerusalemme. Il che è possibile grazie a un escamotage. Difatti, una sentenza del 1991 dell’allora procuratore generale Yosef Harish consente all’autorità di polizia di rifiutare di eseguire gli sfratti qualora rappresentino “un grave pericolo”.
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Sheikh Jarrah: highlights
Mentre si attende il pronunciamento della Suprema Corte su Sheikh Jarrah, il consigliere per la sicurezza nazionale di Bennett, Eyal Hulata, e il consigliere diplomatico, Shimrit Meir, si recheranno a Washington. Il viaggio sarà l’occasione per incontrare le loro controparti statunitensi come preludio alla visita del Premier israeliano alla Casa Bianca, prevista per fine agosto. Dal canto suo, il segretario di Stato americano Antony Blinken ha ribadito la propria preoccupazione per il fatto che gli sfratti a Sheikh Jarrah potrebbero innescare nuove tensioni. Se non ostilità. D’altronde, la difficile condizione dei residenti di Sheikh Jarrah ha raccolto oramai l’attenzione internazionale. In questo senso, la decisione di non sfrattarli potrebbe rivelarsi controproducente. Soprattutto perché confuterebbe la narrativa israeliana, secondo cui la guerra contro i gruppi terroristici di Gaza sarebbe iniziata a causa degli sgomberi.
Questione di narrativa
A maggio, infatti, Israele aveva sostenuto di aver intensificato gli attacchi contro Hamas, il quale aveva lanciato una raffica di razzi verso il centro e il sud del Paese, come parte di una lotta di potere con l’Autorità Palestinese. Questo dopo che l’AP aveva annullato le elezioni parlamentari per la mancata autorizzazione a svolgerle a Gerusalemme Est. A tal proposito, Hamas, a guida della Resistenza palestinese, aveva fatto della capitale occupata il focus della sua campagna. Politica ed elettorale. Proprio per questo aveva lanciato il suo ultimatum a Israele, legando i tumulti nel quartiere di Sheikh Jarrah a quelli per al-Aqsa. A Gerusalemme, tutto ciò che riguarda la Spianata delle Moschee è un tema scottante. Per i palestinesi la connessione è densa di significato: entrambi simboleggiano l’occupazione israeliana.
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Il punto
Così, l’ostruzionismo ingiustificato contro i fedeli musulmani da parte della polizia israeliana durante il Ramadan e l’uso eccessivo della forza nella moschea di al-Aqsa hanno integrato la repressione delle manifestazioni pacifiche a Sheikh Jarrah. Tanto che il piccolo quartiere della Città Vecchia assurge a microcosmo della lotta palestinese contro l’apartheid. Sheikh Jarrah non è solo un quartiere. Almeno, non più. A ben vedere, non lo è mai stato. Lo suggerisce la sua stessa locazione: nel centro-orientale di Gerusalemme, a nord della Città Vecchia, adiacente alla zona smilitarizzata lungo la Linea Verde. La stessa che è stata il confine tra Israele e Giordania dal 1948 al 1967. Dopo la dichiarazione d’Indipendenza di Israele, il rione è rimasto sul lato giordano della linea. Assieme alla parte Est di Gerusalemme e ai quartieri Silwan e Wadi Joz. Mentre i vicini Musrara e Lifta rimasero dalla parte israeliana.
Cosa ne sarà di Sheikh Jarrah?
Sheikh Jarrah ha due cuori. La parte settentrionale è adagiata su una collina ed è nota per le ville, costruite dalle famiglie aristocratiche arabe che ivi si trasferirono dalla fine del XIX secolo. Oggi, molte di queste abitazioni gloriose fungono da consolati e uffici di organizzazioni internazionali. Invece, la parte meridionale del quartiere, quella situata nella valle sottostante, è la parte di cui si sente parlare ai telegiornali. Anch’essa si divide in due sezioni, a Est (Karm al-Ja’ooni) e a Ovest (Kobbaniet Umm Haroun). Sheikh Jarrah ha due cuori. Ma non due corpi. Dunque, una soluzione è improcrastinabile.