Continuano gli sfratti a Gerusalemme Est, occupata. Stavolta, la motivazione è data dalla costruzione di un parco archeologico nel quartiere Silwan. Un rione nei pressi di quello di Sheikh Jarrah. Così, altre famiglie palestinesi saranno costrette ad abbandonare le case in cui hanno vissuto. Non solo grazie all’avvallo degli Usa. Ma anche nella tacita tolleranza della comunità internazionale. Che si sia distratta?
Ancora sfratti a Gerusalemme?
Here we are again. Così direbbero in America. La Patria della democrazia che appoggia un regime di apartheid. Un paradosso, lo considererebbe lo scrittore francese René Barjavel. Eppure, la sostanza non cambia. Ancora una volta, la polizia israeliana ha disperso i manifestanti a Gerusalemme Est. La Città di tutti. Ma, in fondo, di nessuno. Di certo, un Terra contesa, ferita. Umiliata. A maggioranza araba. Almeno per ora. In cui le autorità sioniste aspirano a costruire un parco archeologico. A Silwan, per la precisione. Contro la decisione, centinaia di persone hanno invaso le piazze. Mentre gli agenti israeliani sparavano lacrimogeni allo scopo di disperderle.
Un passo indietro?
Facciamo un passo indietro. Il 26 maggio scorso, un centinaio di palestinesi si è radunato davanti al tribunale distrettuale di Gerusalemme. Questo per protestare contro lo sgombero pianificato di una ventina di famiglie palestinesi dall’area di Batan al-Hawa, a Silwan. Ma la giustizia è bendata. O, meglio, dovrebbe esserlo. Nel tentativo di sedare le animosità, dunque, i giudici avevano valutato l’opportunità di interpellare il procuratore generale, Avichai Mandelblit. “Al momento, la corte sta valutando se coinvolgere o meno l’ufficio del procuratore generale nel caso“. Lo aveva riferito Yazid Kawar, l’avvocato che rappresenta alcune delle famiglie palestinesi interessate dal provvedimento.
Scontri a Gerusalemme: Netanyahu galleggia
Una disputa tra privati?
A ben vedere, gli sgomberi pianificati a Batan al-Hawa seguono la decisione, controversa, di sfrattare quattro famiglie palestinesi dal quartiere di Sheikh Jarrah. A Gerusalemme Est, occupata. Sebbene il ministero degli Esteri israeliano avesse liquidato la questione al pari di “una disputa immobiliare tra parti private”, il caso era rimbalzato sui media mainstream. Non solo. Le proteste avevano portato a scontri tra i palestinesi e la polizia israeliana in tutta la Città. Per di più, avevano riacceso la guerra tra Israele e Hamas. Visto il clima di tensione, un intervento del governo sarebbe stato auspicato. Se non proprio opportuno. Tuttavia, la crisi politica e una coalizione che procede sul filo avevano prodotto come unica conseguenza quella di procrastinare la decisione. Nemmeno Naftali Bennett, il Premier con la kippah, osa affrontare la questione.
Sfratti e ancora sfratti a Gerusalemme
D’altronde, il dissidio è sempre lo stesso: il popolo ebraico rivendica le proprietà di Gerusalemme Est. Come quelle di Silwan. Il che risponde, per altro, agli interessi di Ateret Cohanim. Una fondazione di destra che lavora per rafforzare la presenza ebraica nella Città Santa. Specialmente nelle aree abitate in prevalenza dagli arai. In effetti, due comunità palestinesi abitano il quartiere conteso, noto agli ebrei israeliani come la Città di David. La quale prende il nome dal sito archeologico locale, che conserva antichità del valore inestimabile. Risalenti ai tempi biblici. “Con il sangue e lo spirito ti redimeremo, Silwan“. Queste le parole urlate dai manifestanti alla barriera della polizia.
Attriti
“Queste non sono persone con le quali possiamo convivere“, ha detto una donna che risiede a Silwan. “Non saranno nostri vicini. Stanno venendo a rubare le nostre case e buttarci in strada“, ha aggiunto. Circa il 38% dei gerosolimitani è palestinese. La stragrande maggioranza di loro vive proprio a Gerusalemme Est. Una porzione di Terra Santa che Israele ha sottratto alla Giordania nel 1967, e che ha annesso nel 1980. In particolare, lo Stato ebraico rivendica per sé quest’area perché, ritiene, fosse appartenuta al popolo di Israele prima della guerra d’indipendenza del 1948.
Gerusalemme occupata: la vera storia di Sheikh Jarrah
Apartheid legalizzato
In questo contesto, va ricordato che una legge israeliana del 1970 consente agli ebrei di reclamare le proprietà che si trovano a Gerusalemme Est. Mentre non esiste un provvedimento analogo che riconosca tali facoltà ai palestinesi che lì vi abitano. Al contrario, molti di loro sono stati espulsi o sono fuggiti nel 1948. Ad ogni modo, quella di Israele appare una prevaricazione alla maggior parte della comunità internazionale. Che però tace. Anche rispetto a Batan al-Hawa, che ne rappresenta un caso particolare. Verso la fine del XIX secolo, infatti, l’area in questione era di proprietà di un ente religioso ebraico: il Mosche Benvenisti Trust. Il quale era stato registrato presso il tribunale della Sharia di Gerusalemme nel 1899, quando ancora esisteva il dominio ottomano. Dunque prima della fondazione di Israele. Un dettaglio importante.
Come nascono gli sfratti di Gerusalemme
Sotto la sua amministrazione, l’area era stata destinata alle famiglie povere di ebrei yemeniti, che 120 anni fa l’avevano popolata. Il che è valso al rione l’appellativo di “quartiere yemenita”. Durante le rivolte arabe del 1938, i residenti avevano abbandonato l’enclave. Anche sulla scorta delle pressioni del governo britannico. Col tempo, gli edifici furono demoliti. Anni dopo, i palestinesi costruirono un proprio quartiere, Batan al-Hawa. Fino al 2002. L’anno in cui l’organizzazione di destra Ateret Cohanim ha acquistato il terreno che ospita circa 700 palestinesi. Tra questi, le 22 famiglie sfrattate. Come riporta Haaretz, il Charitable Trust Registrar avrebbe aiutato l’organizzazione ad acquisire il controllo su un sito di interesse storico proprio nell’area di Silwan. Il che permetterà ad Ateret Cohanim, il titolare de facto del terreno, a eseguire gli sgomberi. Una facoltà che intende esercitare a partire da agosto.
Sfratti a Gerusalemme: a chi giovano?
Dagli anni 90, Ateret Cohanim fa pressioni sulle famiglie palestinesi per convincerle ad abbandonare le proprie abitazioni. Alcune delle quali hanno ceduto, mentre decine di altre hanno ricevuto avvisi di sfratto. Dal canto suo, la Corte Suprema ha sempre autorizzato gli sgomberi. Anche se il giudice Daphne Barak-Erez ha osservato che ci sono stati degli errori nel processo di acquisizione della proprietà da parte dell’associazione nazionalista. Questo rappresenta uno dei motivi del ricorso presentato da quanti non si sono arresi. Affiancati nella loro battaglia dall’organizzazione Ir Amim, un gruppo no-profit per i diritti.
Ebrei e palestinesi: disordini a Sheikh Jarrah
Il punto
Ora, non resta che attendere la decisione dell’Alta Corte di Giustizia. Alla quale le decine di famiglie palestinesi che rischiano lo sfratto hanno presentato ricorso. Intanto, il rischio che la disputa riaccenda il conflitto con Hamas è elevato. Del resto, sgomberi simili avevano provocato la Terza Intifada. Cioè gli undici giorni di guerra tra Israele e il gruppo terroristico che governa la Striscia di Gaza. Nel corso dell’ennesimo round di combattimenti, la Resistenza palestinese aveva assunto la liberazione di Gerusalemme come fulcro della sua battaglia contro Israele. Sia politica sia militare. In quest’ottica, il portavoce di Hamas Fawzi Barhum ha affermato: “La continuazione di questo razzismo estremista, che crea crisi ripetute per il nostro popolo, creerà tempeste esplosive“. Come andrà a finire?