Scoperto a Luni un tempio romano risalente all’età giulio claudia

Il sito archeologico dell’antica città di Luni, attuale Luni Mare, importante centro ligure appartenente alla provincia di La Spezia affacciato sul Mediterraneo, conosciuto fino al 20 aprile del 2017, data che sancì il cambio di nome, come Ortonovo, è tornato ad essere al centro dell’attenzione della cronaca storica per i nuovi ritrovamenti effettuati all’interno dell’area di scavo, già da tempo attenzionata per la ricchezza di reperti che in passato dettero parecchie soddisfazioni a studiosi e cultori di storia e archeologia latina.

Uno scorcio di Luni

Il comune di Luni, paese dalle dimensioni abbastanza ridotte ubicato nella parte più orientale della Liguria al confine con la provincia toscana di Massa-Carrara posto alle foci del fiume Magra ai piedi delle Alpi Apuane nell’estrema propaggine della Riviera di Levante, è una località ricca di storia e cultura di derivazione antica in particolar modo, in quanto, tralasciando il fatto che molto probabilmente deve il suo nome dalla sua consacrazione alla dea romana Diana Luciferina associata alla Luna forse per volontà da parte di Marco Emilio Lepido che partecipò alla fondazione della città nel 177 a.C. a dimostrazione di quanto queste terre in passato fossero associate al culto e forse anche a tradizioni mistiche, fu un’importante colonia marittima romana, forte avamposto militare nella campagna contro i Liguri Apuani prima ancora di consolidarsi negli anni successivi come cruciale scalo commerciale.

La dea Diana

Territorio dalla storia millenaria, la zona di Luni, da cui prese il nome l’area della Lunigiana, fu l’avanguardia dei popoli liguri che in questi ambienti vivevano prima dell’invasione latina. La città con il suo porto fluviale e marittimo che sono stati i protagonisti di rivolgimenti storici e sociali quali protagonisti di cambiamenti e simbiosi culturale tra popolazioni italiche e latine dovette sorgere proprio su un sito preesistente, probabilmente un emporio etrusco controllato dai Liguri. Ma questo fiorente enclave non è stato semplicemente il protagonista esemplare della fecondità e della civiltà italica e romana, divenne anche tappa dei popoli mediorientali e palestinesi che proprio a Luni, secondo soprattutto i ritrovamenti di anfore, recipienti e vasi dell’area archeologica, possedevano un’ambita influenza. Inoltre, a ulteriore riprova di quanti e quali cambiamenti e sincretismi il territorio lunense ha dovuto essere soggetto, il suo nome, come gli studiosi credono, può essere ancora più antico rispetto all’origine che se ne fa derivare dai culti di Artemide poiché potrebbe essere stato originato da un etimo celto ligure che potrebbe riferirsi al termine “pianura”, sostantivo che riporta perfettamente la tipologia di conformazione di terreni intorni alla Luni arcaica.

Considerato quanta ricchezza storica possiede questa modesta ma effervescente città, non c’è da stupirsi se il patrimonio archeologico di questo piccolo ma ricco centro continua a elargire segreti che competenti scienziati continuano a portare alla luce. Proseguendo indefessamente a condurre il consolidato programma di campagne di scavo, gli archeologi hanno scoperto un tempio risalente alla seconda metà del I secolo d.C., periodo ancora molto legato all’età augustea da non molti anni conclusasi. Il ritrovamento si inquadra all’interno del progetto 2019, programma di campagne di scavo realizzate dall’Università di Pisa in sinergia con alcuni studenti dell’Istituto Parentucelli-Arzelà di Sarzana, del Liceo Classico Costa della Spezia e ovviamente in collaborazione con il Comune di Luni, della Soprintendenza e del Museo archeologico nazionale e zona archeologica dell’antica città di Luni, enti per mezzo di cui e grazie ai quali, dalla loro reciproca collaborazione, si è riusciti a scoprire nuovi reperti ed acquisire inestimabili novità sull’antica area cittadina da tempo messa costantemente al vaglio degli studiosi.

L’edificio, ritrovato nel quartiere di Porta Marina e sorto alle cronache in questi ultimi tempi, non si tratta di una nuova scoperta, sebbene da gennaio di quest’anno sino ad ora siano stati compiuti altri fortunati scavi, è invece un ritrovamento fatto nel 2017 che, secondo nuove recenti indagini, sarebbe stato analizzato più accuratamente e rivalutato di conseguenza. Quello che circa 2000 anni fa era un importante edificio si affaccia proprio sul cardo massimo, la strada principale della città con andamento nord-sud che delinea i circa 1000 metri quadri dell’area di scavo che ha portato in luce scorci della storia straordinaria della Luni dal II secolo a.C. fino al VII-VIII d.C., e sorge su quella che sinora si pensava fosse soltanto una domus. La struttura del tempio ha inizialmente tratto in inganno gli archeologi poiché non si è subito definita come luogo di culto ma piuttosto come abitazione patriziale, questo perché, effettivamente, come spiega la professoressa Simonetta Menchelli, docente del Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere dell’Ateneo pisano e direttrice degli scavi:

“Lo spazio privato di una domus diventò […] un’area sacra per gli abitanti del quartiere e, probabilmente, anche per coloro che lavoravano nel vicino porto, dal quale l’edificio doveva essere visibile”

Nata evidentemente come casa di una famiglia di ceto elevato, l’edificio venne adibito al pubblico impiego religioso. L’abitazione, chiamata domus meridionale per distinguerla da quella settentrionale che con la prima è uno dei più grandi e fondamentali rinvenimenti della Luni antica che i ricercatori abbiano sterrato, ha nascosto così nelle sue viscere in pietra e muratura fino a che gli studiosi non hanno risolto il mistero, un edificio sacro costruito occupando perfettamente lo spazio della struttura già presente, riutilizzando in alcuni punti i materiali appartenenti alla trasformata domus preesistente.

Simonetta Menchelli

Dunque, la prima domus, proprietà di una gens agiata, è stata costruita intorno agli 80 a.C. e 169 anni dopo è stato edificato sugli stessi spazi un tempio sacro che porta le sembianze del tempio di Diana, principale dea venerata nella città. Da quanto si evince dalle parole di Paolo Sangriso, responsabile del cantiere, l’immediata difficoltà nel capire a che cosa ci si trovasse di fronte è data dalla circostanza per cui parecchi elementi strutturali e decorativi dell’antica dimora nobiliare vennero mantenuti intatti nella perfetta integrazione con l’edificio precedente, poi trasformato e rinnovato.

Paolo Sangriso

Purtroppo il podio attorno al quale si innalzava il tempio è andato perduto ma, considerata la struttura del luogo di culto che in parte ha continuato a seguire la fisionomia delle murature e delle fondamenta della domus su cui nacque nonché provveduto all’analisi dei vani di servizio al di sotto della cella e del pronao, dimostrazione dell’antico utilizzo del tempio a cui si associano anfore e cocci di vasi, gli archeologi sono riusciti a ricostruire la pianta dell’edificio a cella unica quadrangolare che appare simile a quella di altri templi dell’epoca nella stessa Luni o Ostia. La ricchezza e la varietà figurativa del tempio sono veramente sbalorditive, mosaici e affreschi evidenziano l’antico sfarzo di questo luogo, edificio dedicato alle alte classi ma pure alle meno abbienti nonché ancora più lussuoso rispetto alla domus settentrionale, meno vanagloriosa e maggiormente assumibile come villa di campagna, mentre gli addobbi con conchiglie incastonate nella malta muraria che arricchiscono gli ambienti sono l’ulteriore riprova della devozione pagana per i terreni, la fertilità e le acque, simboli della dea Diana.

Alcune conchiglie decorative

Per questa sua metamorfosi virtuosa e non distruttiva da ambiente profano a luogo sacro e da dimora privata a luogo pubblico capace di aprire le porte sia a personalità di rango come anche a contadini o pescatori sottolineando così una certa sensibilità civile ed un relativo rispetto per l’uguaglianza nel mondo latino, la domus tempio meridionale può vantare il pregio di essere stata la tramandatrice e la custode della sacralità antica unitamente alla vita quotidiana degli antichi romani, essa è da considerarsi infatti come un coacervo organizzato di conoscenze, storia ed arte che permette a noi posteri di comprendere più particolareggiatamente gli usi e costumi dei nostri antenati avvicinandoli e incrociandoli in particolar modo in quell’esperienza al limite tra spiritualità e senso del profano nei confronti di cui molto si sa e molto si è studiato ma ancora troppo è lasciato all’oblio.

Anfiteatro romano di Luni

Oltre a Menchelli e Sangriso, coordinatori degli scavi, ruoli di spicco hanno avuto Alberto Cafaro, Marcella Mancusi, Stefano Genovesi, Rocco Marcheschi, Silvia Marini, Domingo Belcari, il professore Adriano Ribolini per le indagini Ground Penetrating Radar volte ad individuare gli edifici sepolti nel settore meridionale della città per definirne la pianta ed indirizzare i futuri scavi, Vincenzo Palleschi per la modellazione delle strutture in 3D dell’area archeologica e degli edifici, ed il dottor Younes Naime per quanto concerne lo studio dei reperti archeozoologici. Incentivato dalle nuove scoperte e dalle nuove valutazione archeologiche che quest’anno e soprattutto in quest’ultimo periodo si sono succedute con particolare rapidità nonché appoggiato dall’annuncio della Manchelli che così si è espressa sui nuovi progetti di scavo,

“Nella prossima campagna nel 2020 l’obiettivo sarà di portare in luce i resti della scalinata di accesso al tempio, al quale si arrivava appunto dal cardo maximus”

il prosieguo degli scavi per l’anno a venire sembra non trovare intoppi e salpare a gonfie vele verso nuove scoperte che sicuramente accompagnano un tassello di storia antica locale nella direzione di un nuovo coinvolgimento culturale e sociale e di una visione più ampia e approfondita di un passato ormai perduto ma ancora vivissimo, in continuo fermento e rivalutazione.

Storia di Luni antica e della sua area archeologica

Alessandro Pallara
Alessandro Pallara
Nasce a Ferrara nel marzo del 1996. Ha studiato sceneggiatura presso la Scuola Internazionale di Comics di Padova. Tuttora collabora come volontario supervisore del patrimonio artistico culturale con l'associazione Touring Club Italiano nella città di Bologna.

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