Sas attitadoras: il pianto delle prefiche sarde

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prefica

E’ sicuramente una delle più interessanti figure sarde del passato e faceva la sua comparsa durante le veglie funebri, scandendo con la sua voce i vari passaggi di un rituale antichissimo e ricco di suggestione. In italiano si chiamano prefiche, in lingua sardo sono conosciute come sas attitadoras. Scopriamo qualcosa in più su di loro.

Sas attitadoras

Venivano chiamate dai parenti del defunto, generalmente ricompensate con beni di prima necessità o retribuzione in denaro. Si recavano in gruppo a casa del morto, vestite a lutto e con il capo coperto da un fazzoletto nero. Attorno alla salma si posizionavano i parenti, affianco le attitadoras. Le quali a un certo punto della veglia iniziavano ad atitare, cioè improvvisavano un canto, chiamato s’atìtidu. Spesso anche i parenti atitavano, ma la vera “performance teatrale” del dolore veniva lasciata a loro, che si comportavamo come delle vere professioniste.


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Nell’antichità…

A Thiesi nel 1895 un padre di famiglia di nome Pietro Meloni, morì improvvisamente, durante la veglia furono chiamate le donne per atitare la loro nenia (poesia cantata):

Ite raju faladu (Che tragedia è capitata)
Pedru Melone est mortu (Pietro Meloni è morto)
Sa domo mi nd’est ruta (La casa è crollata)
Cun chimbe fizos suta
(Con cinque figli sotto)

I lamenti non si limitavano alla veglia funebre ma assumevano maggior vigore al suono delle campane che annunciavano l’imminenza dell’arrivo del prete che avrebbe accompagnato il defunto in cimitero. Il canto durava fino a quando il feretro veniva calato nel sepolcro. La Chiesa, che poco tollerava la presenza di questa figura, in quanto pagana, nel 1553 condannò questo tipo di rituale e minacciò di scomunicare chiunque la ponesse in pratica. Ma come spesso accadeva in Sardegna, i rituali pagani sopravvivevano e convivevano con le nuove credenze cattoliche dando luogo a un vero e proprio sincretismo religioso che ritroviamo spesso in altre feste sarde come i fuochi di Sant’Antonio o gli amuleti sardi che sono ancora oggi testimoni di questo particolare fenomeno.