venerdì, Marzo 29, 2024

Sanzioni alla Siria: proroga Ue mentre i bambini muoiono

L’Unione europea proroga le sanzioni alla Siria. Nonostante il paese sia devastato da una crisi economica senza pari. In Siria mancano cibo e acqua, oltre che medicinali. Ma l’arcivescovo maronita Samir Nassar ha lanciato l’allarme. Milioni di persone rischiano la vita, tra cui donne, anziani e bambini. “Sanzioni”: davvero mantenerle sarà la soluzione?

Ancora sanzioni alla Siria?

In Siria la situazione è drammatica. Nel Levante il 60% della popolazione è in condizioni di insicurezza alimentare, cioè circa 12 milioni e mezzo di persone. Lo rivela uno studio organizzato dal Global Network Against Food Crises. Una partnership tra l’Unione Europea, l’Organizzazione per l’Alimentazione e l’Agricoltura e il Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite. Eppure, il Consiglio europeo ha prorogato fino al 1° giugno 2022 le sanzioni alla Siria. Queste misure erano state imposte nel 2011, nel fallimentare tentativo di far cadere il regime del presidente Bashar al-Assad. Lo stesso che ha trionfato alle elezioni farsa del 26 maggio. Confermato alla guida del Paese per altri sette anni. Ma su chi ricadrà il peso delle sanzioni?

La motivazione

Il Consiglio Ue impone le sanzioni “Alla luce della repressione che continua a essere esercitata contro la popolazione civile nel paese”. Il riferimento è alle restrizioni imposte a 283 persone, soggette sia a congelamento dei beni sia a divieto di viaggio. Oltre che a 70 enti i cui fondi rimangono congelati. Inoltre, misure analoghe dovrebbero colpire anche le attività e gli imprenditori che traggono profitto dall’affiliazione al regime, prima ancora che dalla guerra. Un conflitto che ha ucciso almeno 400 mila persone. Inoltre, le restrizioni riguarderanno un embargo sulle importazioni di petrolio, che la Siria contrabbanda dall’Iran. Una stretta sugli investimenti, il congelamento dei beni della banca centrale siriana bloccati in Europa. Nonché restrizioni all’export di attrezzature e tecnologie.


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Chi pagherà il prezzo dell’embargo?

Per un altro anno, la popolazione soffrirà delle devastanti conseguenze delle sanzioni europee, le quali si aggiungono al Caesar Act statunitense. Per di più, in un contesto in cui i prezzi del cibo sono saliti alle stelle dall’inizio della pandemia di COVID-19. Secondo i dati delle Nazioni Unite, il costo dei generi di prima necessità, tra cui pane, verdure, olio e zucchero è aumentato di circa il 240% dal 2019 al 2020. Nello stesso periodo, circa la metà della polazione siriana ha dichiarato di aver perso una o più fonti di reddito, a causa della crisi economica legata alla pandemia. Se altre economie mondiali assistono ai primi timidi segnali di ripresa, così non è in Siria.

Le cause

Guerra, sanzioni e pandemia hanno innescato un collo di bottiglia nelle catene di approvvigionamento delle materie prime, causando un’impennata dei prezzi dei prodotti alimentari. Ma l’emergenza sanitaria ha solo acuito una situazione già grave. Difatti, la pandemia è “Un fattore aggravante che ha seriamente peggiorato la crisi in Siria e in altri paesi“. Lo ha spiegato ad Al Jazeera Rob Vos. Il direttore dei mercati, del commercio e delle istituzioni presso l’International Food Policy Research Institute. Il cambiamento climatico ha fatto il resto.


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Sanzioni alla Siria: manca l’acqua

In tal senso, rimangono gravi gli effetti della desertificazione. Oltretutto, le organizzazioni umanitarie nel Nord-Est della Siria avvertono che il livello dell’acqua del fiume Eufrate è un un minimo critico. Il che potrebbe costringere la diga di Tishrin, a Sud-Est della città di Manbij, a chiudere entro la metà di giugno. Ciò ridurrebbe l’elettricità e l’acqua potabile nella regione devastata dalla guerra. Allo stesso modo sono in pericolo anche le riserve idriche della diga di Tabqa, ridottesi di oltre l’80%. Se le riserve non verranno ripristinate, la chiusura di entrambe le dighe significherebbe la perdita dell’elettricità per 3 milioni di persone. Oltre che alla carenza di acqua potabile per altri 5 milioni e più. Lo denuncia il rapporto di un organismo di coordinamento di un’organizzazione non governativa nel Nord-Est del Paese.

Dighe e cibo

A ben vedere, le dighe restano la principale fonte di energia elettrica per la maggior parte del territorio dell’amministrazione autonoma. Forniscono anche elettricità alle parti ribelli della provincia di Aleppo, sostenute dal governo e dai turchi. Le dighe forniscono acqua alla maggior parte della popolazione nelle province di Deir ez-Zor, Raqqa e Aleppo, anch’esse sottoposte a un misto di amministrazione autonoma, governo e controllo dei ribelli. Assieme all’elettricità, la carenza di acqua innescherebbe una crisi alimentare di vasta portata in un Paese come la Siria, prevalentemente agricolo.


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In fila per il pane

Il 4 maggio, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura ha pubblicato un rapporto secondo cui le precipitazioni irregolari e le temperature più alte della media stanno avendo un impatto significativo sulle principali aree di produzione di cereali in Siria. In merito è intervenuto il ministro dell’Agricoltura siriano, Mohammad Hassan Qatana, che ha espresso le sue preoccupazioni al sito di notizie Al-Watan, affiliato al governo siriano. “I raccolti di grano non sono sufficienti per soddisfare tutti i bisogni (della popolazione)“, ha detto Qatana. Ciò significa che molto presto i siriani si riuniranno in lunghe file per il pane. Come ha confermato Qatana a Radio Sham, un’emittente governativa, “Quest’anno la siccità è stata grave per diversi motivi, tra cui la diminuzione dei tassi di precipitazioni dal 50% al 70%, a seconda delle province“.

L’effetto delle sanzioni

E ancora. “La produzione di orzo, che avrebbe dovuto superare i 2.2 milioni di tonnellate è scesa a 450.000 tonnellate“. In proposito Karam Shaar, economista e ricercatore presso il Middle East Institute di Washington, ha dichiarato ad Al-Monitor: “Quasi 11 milioni di persone vivono nelle aree del regime siriano e hanno bisogno di circa 2.8 milioni di tonnellate di grano, di cui quasi i due terzi vanno a produzione di pane“. Per di più, l’esperto ritiene improbabile che il governo acquisti più di 300.000 tonnellate di grano dai contadini siriani, rispetto alle 700.000 tonnellate dell’anno scorso. Dunque, il resto del fabbisogno dovrebbe essere coperto dalle importazioni. Anche se non quelle occidentali.


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Sanzioni alla Siria: i medicinali

In questo contesto, l’Europa assicura che i suoi provvedimenti puntivi non interesseranno però il settore sanitario. Secondo il Consiglio Ue, “Le sanzioni dell’Unione Europea in Siria sono concepite in modo tale da evitare qualsiasi impatto sull’assistenza umanitaria“. Pertanto, non dovrebbero “Incidere sulla fornitura di prodotti alimentari. Medicinali. E attrezzature mediche“. Eppure, le organizzazioni umanitarie denunciano che i medicinali europei non arrivano in Siria. Oppure, se arrivano, sono destinati ai rifugiati siriani all’esterno del Paese. Ma la speranza è l’ultima a morire. “L’Unione Europea mantiene sotto costante controllo gli sviluppi del conflitto siriano“, dicono i funzionari. “E può decidere di rinnovare le sanzioni e modificare l’elenco delle entità o persone interessate“.

L’impegno

Da Bruxelles, assicurano anche che “L’Ue mantiene l’impegno a trovare una soluzione politica duratura e credibile al conflitto in Siria. Conformemente alla risoluzione 2254 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. E al comunicato di Ginevra del 2012″. Per ora un nulla di fatto. Come ha avuto modo di riscontrare Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs), che dall’inizio della guerra si impegna a prestare assistenza alla popolazione. Non solo viveri e medicine. Ma anche sostenendo i costi dei servizi di prima necessità, tra cui riscaldamento e illuminazione. Il tutto, dando priorità ai più poveri, ai malati e agli anziani.


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Sanzioni alla Siria: l’appello

Per monsignor Samir Nassar, arcivescovo maronita di Damasco, la crisi economica siriana ha gettato il Paese nella povertà. Alla fondazione pontificia Acs, il presule racconta come ogni giorno migliaia di famiglie siano costrette a mettersi in fila per il pane. Le code sono interminabili. “Questa scena caotica è diventata la norma”, ha detto monsignor Nassar. Secondo l’arcivescovo maronita, le sanzioni internazionali si sono rivelate uno dei fattori scatenanti la crisi. Oltre che una concausa del peggioramento della situazione nel Levante. “I provvedimenti esteri penalizzano gli Stati e le persone che osano inviare aiuti in Siria“, riferisce il presule. E ancora. “Questa situazione si aggiunge alle ingiuste sanzioni, moltiplicando la carenza di beni”.

Fattori e concause

Ad aggravare ulteriormente la crisi è il crollo finanziario del vicino Libano, il principale partner commerciale della Siria. Se prima il Paese dei Cedri accoglieva a braccia aperte i rifugiati siriani, ora le difficoltà economiche e l’inflazione galoppante si sono tradotte in una campagna discriminatoria nei loro confronti. Anche questo ha gravato sulla situazione, provocando l’ennesima impennata dei prezzi alimentari. Basti pensare che nel 2011, prima dell’inizio del conflitto, una pagnotta da due chilo costava circa 15 lire siriane. Al momento, una pagnotta da un chilo costa tra le 100 e le 500 lire siriane.


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Sanzioni alla Siria e smart card

In questo contesto, nel febbraio 2020 il governo siriano aveva introdotto le “smart card”. Delle tessere annonarie tutt’ora utilizzate che consentono alle famiglie di accedere, a prezzi agevolati ma in quantità razionate, ai generi di prima necessità. Tra cui pane, riso e tè. Per ottenere tali agevolazioni le famiglie formano file interminabili, aspettando anche diverse ore. Alla luce di tali considerazioni, l’arcivescovo Nassar ritiene che “La comunità internazionale debba assumersi la sua parte di responsabilità”. Il che sarà un passo fondamentale anche per consentire la ricostruzione della Siria. Dello stesso avviso è monsignor Jean-Clément Jeanbart, l’arcivescovo cattolico greco-melchita di Aleppo.

Un grido muto

Per Jeanbart, “Le sanzioni non hanno altro risultato che far soffrire le persone. E renderle povere e miserabili. Non avranno alcun effetto sul governo e sulle sue politiche. Perché il governo è lontano dagli effetti delle sanzioni”. Non è la prima volta che le organizzazioni umanitarie e le fondazioni cattoliche denunciano i devastanti effetti delle sanzioni occidentali, statunitensi ed europee, in Siria. Un approccio che può definirsi fallimentare, in considerazione dei motivi per i quali sono state introdotte. Bashar al-Assad rimane al potere. Mentre soffrono donne, anziani. E bambini. Quando si comincerà ad ascoltare le loro voci?

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