Quasi trentuno anni fa, la mafia compiva l’ennesimo omicidio. Il 21 settembre 1990, alcuni uomini della Stidda hanno infatti ucciso Rosario Livatino. Il “Giudice ragazzino” conosciuto in particolar modo per la sua lotta contro la mafia e la corruzione. Tra i mafiosi Livatino era conosciuto come “Santocchio“. Tale nome si faceva dunque beffa della sua fede cattolica e della sua posizione di magistrato. Tuttavia proprio la sua forte fede ha permesso l’inizio del processo di beatificazione.
Cosa si sa sul processo di beatificazione di Rosario Livatino?
La storia del processo di beatificazione comincia nel 1993. Anno in cui Carmelo Ferraro, vescovo di Agrigento, comincia a raccogliere le prime testimonianze necessarie per dare inizio al processo. Per quest’ultimo si dovrà però attendere il 2011. Il 21 settembre si apre infatti il processo di beatificazione. Che si concluderà solo sette anni più tardi, ossia il 6 settembre 2018. In più di quattromila pagine sono raccolti le testimonianze e i documenti sulla vita di Rosario Livatino. Infine, il 21 dicembre 2020, papa Francesco ha dato l’autorizzazione per riconoscere Livatino come martire, permettendo così la beatificazione del magistrato. Beatificazione che avverrà questa domenica, 9 maggio. La scelta della data non è dettata dal caso. Infatti il 9 maggio 1993 papa Giovanni Paolo II lancia un duro appello ai mafiosi. “Convertitevi! Una volta verrà il giudizio di Dio“.
Rosario Livatino: “Il giudice ragazzino” vittima di mafia
Odium fidei
In un primo momento, gli uomini della Sidda hanno pensato di uccidere Rosario Livatino davanti alla chiesa che frequentava. Questo fatto insieme al forte disprezzo dei mafiosi anche per la fede di Livatino ha spinto la Chiesa a parlare di Odium fidei. Ossia di odio della fede. Si sottolinea inoltre che Livatino era “Irriducibile a tentativi di corruzione proprio a motivo del suo essere cattolico praticante“. Ciò rende Rosario Livatino un martire agli occhi della Chiesa. Per le autorità vaticane Livatino non è dunque solo un magistrato che ha perso la vita in una battaglia più grande di lui. Nel “Giudice ragazzino” la Chiesa ha visto anche il simbolo dell’uomo di fede che non si fa corrompere dal male. Un male che in questo caso non è rappresentato da Satana, ma dalla mafia stessa.
Rosario Livatino: tra lavoro e fede
“Il compito del magistrato è quello di decidere. Orbene, decidere è scegliere“. Comincia così una citazione di Rosario Livatino, che si conclude con un riferimento a Dio. “Ed è proprio in questo scegliere per decidere, decidere per ordinare, che il magistrato credente può trovare un rapporto con Dio“. Fede e lavoro sono sempre andati di pari passo per Livatino. Un altro esempio di tale unione è l’acronimo “S.T.D.“, trovato su molti appunti e documenti del magistrato. Acronimo che non significa altro che “Sub Tutela Dei“. Ulteriore testimonianza poi della profonda fede di Livatino. Lo stesso papa Francesco ha sottolineato, nel 2019, l’importanza di questa unione tra lavoro e fede attuata dal magistrato. A detta del Papa Rosario Livatino è infatti un esempio “Di come l’obbedienza alla Chiesa possa coniugarsi con l’obbedienza allo Stato“. E proprio questo suo ruolo come credente e magistrato l’ha portato fino alla beatificazione.