Redditto di cittadinanza o riduzione delle tasse?

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Dopo l’apertura della procedura d’infrazione,  il governo apre ad un possibile dialogo con la Commissione UE che avrà ad oggetto, a quanto pare, la riduzione del deficit previsto per il 2019 dal 2,4% al 2,2%. Questa riduzione verrà fatta riducendo la platea di reddito di cittadinanza e quota 100 ovvero rimandando l’applicazione della misura. Lo scopo è spostare 0.2% di spesa in deficit alla spesa per investimenti. 
Se i termini del negoziato che Conte porterà avanti in sede europea saranno questi, è chiaro che si aprirà una questione politica gravida con ogni probabilità di tensioni tra le due forze di governo. A quale misura bisognerà dare priorità? Il reddito di cittadinanza o la riduzione delle tasse?

Quale è la natura della crisi economica in atto?

Innanzitutto, occorre comprendere quale sia la natura della crisi economica in atto. Se cioè si tratta di una crisi di domanda o di una crisi dell’offerta. La letteratura scientifica nazionale ed internazionale concorda sul fatto che si tratta di una crisi di domanda dovuta ad una drastica riduzione dei consumi interni. Come i dati mostrano, sono state proprio le politiche di austerità messe in atto dal governo Monti a distruggere la domanda interna

Domanda interna, consumi e potere d’acquisto: che cosa sono?

La crisi attuale, dunque, è una crisi di domanda interna. Ma che cosa è la domanda interna? La domanda interna è la richiesta di beni e servizi fatta da una collettività di persone situata all’interno dei confini nazionali. Quando si calcola la domanda interna di un paese, il primo parametro che si tiene in considerazione è l’insieme dei consumi ovvero l’acquisto di beni e servizi. Pare intuitiva a questo punto la correlazione che esiste tra consumi, domanda interna e reddito. Il potere d’acquisto (dei redditi appunto) è la capacità di acquisto di beni e servizi ed è direttamente proporzionale al reddito. Morale della favola: la domanda interna si rilancia innanzitutto (non solo) aumentando il reddito delle famiglie. 

Aumentare il reddito delle famiglie: come fare? 

Secondo un sondaggio lanciato da Panorama, gli italiani vorrebbero aumentare il reddito a loro disposizione specialmente attraverso una riduzione della pressione fiscale sia sul lavoro sia sulle aziende che assumono a tempo indeterminato. Solo al quarto posto figurano, invece, le politiche attive del lavoro che abbiano come effetto collaterale un sostegno al reddito. In altre parole, sembra che gli italiani preferiscano una drastica riduzione del cuneo fiscale piuttosto che il reddito di cittadinanza. 

Reddito di cittadinanza o riduzione delle tasse per le imprese? Il punto di vista keynesiano e quello neoliberista

La spesa pubblica va dunque investita per rilanciare i consumi oppure per aiutare le imprese ad assumere? Bisogna agire sul lato della domanda oppure su quello dell’offerta? La risposta dipende dal “credo economico” di appartenenza. Se si è keynesiani, allora si ritiene che il mercato non è in grado di autoregolarsi e sia necessario un intervento dello Stato nell’economia (anche sotto forma di spesa pubblica). Questo intervento sarebbe diretto a sostenere la domanda interna in quanto è essa a fare il mercato. Se si è liberisti, allora si rifiuta ogni forma di intervento dello Stato (nessuna spesa pubblica) che non sia diretto a rendere più flessibile il mercato del lavoro (innanzitutto, riducendo le tasse sulle imprese). 

In conclusione

Una manovra economica espansiva deve lavorare sia sul fronte della domanda che su quello dell’offerta per essere efficace. Tuttavia è evidente come le imprese assumono non solo se per loro è fiscalmente conveniente farlo ma anche se hanno beni e servizi da offrire. Ciò non può avvenire in un contesto in cui la gente non consuma perché manchevole di reddito. Ormai dieci milioni di persone vivono sotto la soglia di povertà. Tra questa massa di diseredati vi sono i pensionati, i lavoratori licenziati a cinquanta anni o più, i giovani che si sono formati per lavori che ormai sono scomparsi. Persone, insomma, che mai potrebbero essere assunte anche se il regime fiscale fosse più conveniente. Bisogna inoltre considerare che l’originaria proposta di legge del RDC prevedeva un salario minimo orario e sgravi fiscali per le aziende che assumevano i lavoratori usciti dal percorso del reddito di cittadinanza. Senza contare il risparmio di spese per la formazione di cui beneficerebbero sempre le imprese. Per queste ragioni, il RDC rischia di avere un impatto considerevole sui consumi e dunque sulla crescita. Il che rende la misura bandiera del movimento cinque stelle una delle priorità irrinunciabili di questa manovra economica.