mercoledì, Aprile 24, 2024

Proteste in Libano: i manifestanti tornano in piazza

BEIRUT – La scorsa notte dozzine di manifestanti hanno infranto il lockdown e invaso le vie della città per protestare davanti alla Banca centrale libanese contro il crollo della Lira, la moneta nazionale, a seguito delle nuove circolari che impediscono i prelievi in valuta statunitense.

Secondo i rapporti ufficiali il tasso di cambio Lira-Dollaro USA dovrebbe essere di 1.507,5 Lire per dollaro americano.

Nonostante ciò, il tasso di cambio registratori ieri in molti negozi superava la soglia delle 3.600 lire per dollaro, raggiungendo il massimo storico.

Il sito nazionale di monitoraggio dei tassi ha evidenziato che al momento “non esiste un chiaro rapporto di cambio della Lira libanese a causa dell’estrema imprevedibilità del mercato derivante dalle recenti circolari [della Banca centrale] che hanno ridotto significativamente i dollari USA in circolazione in Libano”.

Già dalle prime ore della giornata gli sportelli bancari e gli uffici di trasferimento di denaro sono stati presi d’assalto da frotte di persone determinate a prelevare quanti più dollari possibili prima dell’entrata in vigore della circolare della Banca centrale che imponeva che tutti i trasferimenti – indipendentemente dalla valuta – venissero eseguiti in Lira libanese anziché in dollari americani.

Fino a qualche giorno fa, infatti, in Libano si assicurava la possibilità di prelevare in dollari il denaro trasferito dall’estero. Tuttavia, con l’entrata in vigore delle nuove diposizioni della Banca centrale tutti i trasferimenti dovranno essere eseguiti nella valuta locale al “tasso di mercato” che sarà determinato dalle banche.

La decisione di bloccare i prelievi in valuta americana ha provocato una vera e propria corsa per accaparrarsi gli ultimi dollari disponibili.

Come si può vedere dai video, poi pubblicati sui social network, centinaia di persone si sono radunate al di fuori degli uffici di Western Union e della Money Gram in barba alle restrizioni imposte per il contenimento dell’epidemia di coronavirus.

A mezzogiorno in tutta la Capitale libanese sono iniziate le proteste dei manifestanti esasperati per le difficili condizioni economiche e sociali.

Secondo quanto riferito da Al Arabiya i dimostranti avrebbero intonato cori del tipo “Non ci importa del coronavirus, Riad Salameh è il virus”.

Salameh è il governatore della Banque du Liban – la Banca centrale del Paese – e ricopre tale carica dal 1 agosto 1993. Il banchiere è stato più volte accusato per il modo in cui ha gestito la situazione economica nazionale.

Riad Salamè, governatore della Banca centrale del Libano

Analogamente, manifestanti logorati da difficoltà economiche e sociali hanno rivolto dure critiche al governo per non essere stato in grado di arginare il crollo della valuta nazionale e non aver attenuato le conseguenze negative derivanti dal lockdown imposto per far fronte all’epidemia. 

Le aspettative della popolazione sono state frustate a seguito del rinvio a tempo indeterminato del programma assistenziale in base al quale le famiglie più bisognose avrebbero dovuto ricevere un assegno di 400’000 Lire – circa 130 dollari – per il proprio sostentamento in questo momento di crisi.

Uno degli attivisti, intervistato da Al Arabiya, ha dichiarato: “Ci rendiamo conto che stiamo vivendo al tempo di una pandemia, ma la fame è molto peggio del coronavirus”.

Questa non è la prima manifestazione dall’inizio della crisi. Già nei giorni scorsi, infatti, i dimostranti erano scesi in piazza per protestare contro l’aggravamento della crisi economica che sta affliggendo il Paese.

Un gruppo di attivisti auto proclamatisi “ribelli” si è radunato nei luoghi simbolici della Capitale – come la Piazza dei Martiri e altre “arene della rivolta del 17 Ottobre” – affinché chi di dovere prendesse una posizione contro “la povertà, la fame e l’inerzia del governo nell’alleviare le sofferenze dei cittadini” e ha invitato la popolazione a disobbedire ai divieti di assembramento imposti dalle forze dell’ordine perché accusati di utilizzarli arbitrariamente come “scusa per reprimere i manifestanti”.

Lo Human Rights Watch ha osservato che migliaia di libanesi corrono il concreto rischio di vivere in povertà qualora il governo non intervenga con un piano di aiuti. 

Al Daily Star, quotidiano locale in lingua inglese, il presidente dell’Associazione delle banche libanese, Salim Sfeir, ha esresso la sua ferma opposizione alle proposte in discussione. 
In particolare, Sfeir ha definito “sconsiderate” le conclusioni della Lazar Asset Management – l’agenzia di consulenza finanziaria di cui si avvale il governo – e ha considerato “a dir poco nefasto per la nostra economia di libero mercato” il piano ora al vaglio dell’esecutivo. 

Il programma allo studio prevede un’immediata ristrutturazione del settore bancario, che negli ultimi anni è stato ampiamente sovradimensionato. 
Tale intervento includerebbe un “bail-in” (che salverebbe gli istituti bancari con il diretto ed esclusivo coinvolgimento di azionisti, obbligazionisti e correntisti) pari a 20,8 miliardi di dollari di capitale e richiederebbe un ulteriore contributo di 62,4 miliardi finanziato con i depositi dei privati. 

Secondo Sfeir, il fatto che il programma ponga l’accento sul settore bancario “Solleva interrogativi sull’impegno del governo nei confronti delle tanto attese riforme del settore pubblico, soprattutto quando non sia un segreto che all’origine di tutti i problemi ci siano la corruzione e il mal governo”.

La situazione in Libano poteva dirsi critica già prima dell’emergenza sanitaria: la Banca mondiale aveva stimato che il 40% dei residenti in Libano vivesse in condizioni di povertà, cifra che potrà solo che aumentare a seguito della crisi economica e sociale che l’epidemia di coronavirus ha portato con sé.

Solo negli ultimi mesi la Lira ha perso oltre il 50% del suo valore tanto che il Paese – in pieno default – non è riuscito a rimborsare un Eurobond da 1,2 miliari scaduto il 9 marzo scorso.

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