12 dicembre 1969: 50 anni fa inizia la strategia della tensione, il prologo agli Anni di piombo
Nell’autunno del 1969 era esplosa la questione operaia, che vede coinvolti oltre cinque milioni di lavoratori impegnati a negoziare il rinnovo di trentadue contratti collettivi di lavoro. Così come era accaduto per gli studenti della nuova generazione, anche gli operai acquisiscono attraverso la lotta un forte elemento di coesione e di identità, una nuova consapevolezza del loro ruolo non solo nel processo produttivo, ma anche nello sviluppo della società. Lo scontro sindacale è durissimo, specie a Torino, dove la FIAT licenzia oltre cento operai e li denuncia alla Procura della Repubblica per violenza sul posto di lavoro – per poi ritornare sulle sue posizioni dopo una trattativa mediata dal Ministero del Lavoro.
Piazza Fontana: gli speciali in TV
Il 19 novembre, a Milano, la tensione sfocia in un punto di non ritorno: nel corso di una manifestazione sindacale rimane ucciso l’agente di pubblica sicurezza Antonio Annarumma, figlio di un bracciante di Monforte Irpino. La versione ufficiale parla di una ferita provocata da da un tubo metallico scagliato contro la jeep della polizia dai manifestanti, ma in seguito verrà appurato che il poliziotto aveva battuto violentemente la testa contro un supporto dell’automezzo in seguito ad un incidente.

Nella caserma di S. Ambrogio scoppia la rabbia dei poliziotti che chiedono in massa di intervenire con la forza per vendicarsi contro gli occupanti dell’università, su cui viene fatta ricadere la colpa dell’accaduto. Ancora una volta i gruppi di estrema destra cavalcano l’onda, partecipando in massa ai funerali dell’agente e compiendo azioni violente contro gli avversari a Milano ed in altre città d’Italia.
I destini degli studenti e degli operai sembrano così dividersi. La morte di Annarumma è lo spartiacque tra una prima stagione maggiormente spensierata di lotta, ed una in cui lo scontro si radicalizza sempre di più, sino a precipitare il Paese negli anni di piombo. Nei cortei degli studenti la naturale carica di allegria a poco a poco scompare sotto il peso delle prime vittime cadute nei tafferugli con la polizia e con gli estremisti di Destra. Non è più tempo di sognare “l’immaginazione al potere” e pretendere “l’impossibile”: il livello di scontro si è alzato, e la piazza non è più solo un luogo di protesta, ma l’occasione di misurarsi con gli avversari.

Il 9 dicembre i sindacati firmano il rinnovo del contratto con l’Intersind, ed il 21 con Confindustria; le richieste dei lavoratori sono tutte accolte: aumenti della paga uguali per tutti, settimana lavorativa di quaranta ore, permesso per il settore metalmeccanico di tenere assemblee in fabbrica. Dopo pochi mesi queste conquiste saranno sancite nello Statuto dei Lavoratori; è certamente una vittoria, ma anche la fine delle speranze di ricomporre un fronte di lotta finalizzato ad un cambiamento sociale profondo e generalizzato, in grado di accogliere le aspettative dei giovani della nuova generazione, di qualunque estrazione sociale e professione.
Ma il 12 dicembre un nuovo fatto di sangue scuote il Paese; alle 16,37, ancora una volta a Milano, esplode una bomba nella sede della banca nazionale dell’Agricoltura in Piazza Fontana, e, quasi contemporaneamente giungono notizie di altre esplosioni in altre città. Le indagini della polizia si indirizzano verso ambienti di estrema Sinistra, e la sera stessa viene condotto in questura Giuseppe Pinelli, ferroviere anarchico di 41 anni, fermato e trattenuto illegalmente per oltre tre giorni, sino al tragico (e misterioso) epilogo della sua morte. I poliziotti presenti al fatto parlano di un suicidio che ha il valore di una confessione; un successivo processo porterà alla scandalosa sentenza del giudice istruttore Gerardo D’Ambrosio, unica nella giurisprudenza italiana, per cui non si trattò né di omicidio né di suicidio, ma di un incidente causato da un malore che lo avrebbe fatto precipitare dalla finestra aperta.

Il giorno successivo la morte di Pinelli, la polizia rilascia una dichiarazione riportata dal telegiornale della sera individua in Pietro Valpreda, anarchico, il un colpevole della strage di Milano e degli attentati di Roma. I riscontri delle indagini porteranno però in tutt’altra direzione; la procura di Treviso trasmette a quella di Milano i risultati della sua inchiesta, facendo i nomi dei neofascisti Franco Freda e Giovanni Ventura, poi di Guido Giannettini, i cui rapporti con i Servizi verranno taciuti dall’ammiraglio Henke, capo del SID, che, di fronte alla corte d’assise di Catanzaro, si appellerà al segreto di Stato.
Valpreda, rilasciato solo alla fine del 1972, dopo tre anni di carcere, verrà definitivamente prosciolto nel 1979, dopo altri sette di arresti domiciliari; dopo quaranta anni e oltre dieci processi, la magistratura non è riuscita ad accertare nessun colpevole. Piazza Fontana inaugura una terribile serie di stragi impunite; tuttavia dalle indagini emerge con chiarezza un collegamento tra l’attentato e la collusione tra ambienti neofascisti e apparati dello Stato cosiddetti “deviati”. Quali fossero i reali obiettivi della “strategia della tensione”, certamente segnano un ulteriore momento di frattura tra cittadini e Istituzioni