Polvere di mumia: la scienza svela la verità sul farmaco ricavato dalle mummie

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Polvere di mumia: cos'era realmente e la sua storia.

È stata utilizzata nel corso dei secoli come rimedio per diversi mali, e addirittura per preparare delle presunte pozioni per guarire dal «mal d’amore» o dall’epilessia. Oggi, grazie a quanto rivelato a La Stampa dal dottor Enrico Ferraris, ricercatore presso il Museo Egizio di Torino, è possibile apprendere la verità scientifica sulla cosiddetta «Polvere di mumia», ricavata proprio dalle mummie, che nel tempo ha dato vita anche ad un fiorente e redditizio commercio.

Procedendo con ordine, la «Mumia Vera» è stata una sorta di medicina utilizzata su larga scala a partire dall’epoca medievale fino ad arrivare addirittura ai primi anni del Novecento. Di primo acchito potrebbe sembrare assurdo, ma in realtà è assodato che questa provenisse proprio dalle mummie egizie che venivano triturate, lasciate macerare e poi distillate, in modo tale che si potessero vendere come rimedio per diverse malattie. Questa pratica si diffuse dapprima nell’Africa settentrionale, per poi giungere in Andalusia durante il periodo dell’occupazione araba. Negli anni a seguire furono i soldati reduci dalle Crociate a portarla in tutta Europa.

Dal bitume alla polvere di mumia.

Il dottor Ferraris ha spiegato che la popolarità e la fama della «Polvere di mumia» sono emerse da un grosso equivoco. Infatti tutto cominciò quando Plinio il Vecchio e Dioscoride esaltarono le qualità del bitume della Persia, sostenendo che quest’idrocarburo dalla cromatura nerastra avesse numerose indicazioni terapeutiche. Entrambi riportarono che in Egitto si utilizzava solitamente questo materiale (il cui nome in persiano antico era «mumia») per imbalsamare le salme dei defunti. Siccome però era piuttosto difficile procurarselo, fin dal XIII secolo i medici arabi consigliarono di estrarlo proprio dalle mummie.

Polvere di mumia: il suo utilizzo nel corso dei secoli

Il ricercatore ha chiarito che, in realtà, il popolo egizio cominciò a ricorrere al bitume per l’imbalsamazione solo a partire dal VII secolo a.C., durante le dominazioni assire e persiane, mentre in precedenza avevano utilizzato prevalentemente i sette oli sacri (finora mai ritrovati dagli studiosi), uniti a resine e varie sostanze essiccanti tra le quali spiccava il Natron. Nonostante ciò, osservando il colore nerastro delle mummie (piuttosto normale perché legato ai processi di ossidazione dei tessuti) si cominciò a credere che queste fossero un concentrato di bitume, e così i mercanti, intuendo l’affare, si adoperarono per recuperare le salme e macinarle al fine di ottenerne la sostanza tanto agognata per curare numerose malattie. Soprattutto al Cairo e ad Alessandria si diffuse un commercio fiorente.

Si fece largo così la convinzione che la «Polvere di mumia» potesse garantire delle cure efficaci per la tosse, l’asma bronchiale e altre malattie del petto. La sostanza si assumeva tramite delle fumigazioni, mentre per le applicazioni esterne veniva utilizzata come unguento o pomata, al fine di sanare lesioni, fratture, lussazioni o patologie della pelle. Al contempo ci si convinse che potesse essere utile anche per risolvere problematiche di ben altra natura, infatti si produssero dei filtri per contrastare l’epilessia o il «mal d’amore». Infine si cominciò ad applicarla pure alle donne in stato di gravidanza o per dare un pizzico di sollievo ai dolori mestruali.

Le presunte virtù terapeutiche della polvere di mumia.

I medici arabi, per favorirne l’assunzione, presero l’abitudine di mescolare questo presunto medicinale con oli profumati (specialmente di gelsomino e rose), oppure lo univano ad aromi di cannella, liquirizia o more, producendo così dei prodotti simili a delle caramelle terapeutiche.

I falsificatori della «Polvere di mumia»

Nonostante le mummie egizie fossero più facilmente reperibili del bitume vero e proprio, allo stesso tempo non risultava così agevole recuperare queste salme, e inevitabilmente i prezzi della «Polvere di mumia» iniziarono a schizzare verso l’alto. E così alcuni mercanti truffaldini pensarono bene di diffondere dei prodotti contraffatti ad arte. Dalle ricerche è emerso come, nel 1462, i francesi acquistassero la vera mumia alla tariffa da capogiro di 25 scudi d’oro al quintale. La diffusione dell’attività dei falsificatori è attestata da un documento di un viaggiatore tedesco, il quale riportò che la popolazione locale si lanciava addirittura alla ricerca dei cadaveri di persone morte nel deserto per recuperarli e realizzare così la falsa sostanza.

Piuttosto suggestiva in tal senso è la testimonianza di Guy de la Fontaine, medico personale del re di Navarra, il quale conobbe personalmente il più famoso commerciante ed esportatore di mummie di Alessandria. Questi gli confidò che gli sembrava assurdo che gli europei non si accorgessero che le salme da lui vendute non fossero delle antiche mummie egizie. Il mercante mostrò al medico anche il suo deposito di cadaveri trafugati da varie sepolture, spiegandogli che estraeva dai corpi le viscere e il cervello, praticava delle incisioni nella carne nelle quali inseriva dell’asfalto, dopodiché li fasciava con delle bende e li lasciava essiccare al sole. Dopo circa tre mesi, la finta mummia era pronta per essere ceduta nelle più importanti farmacie del Vecchio Continente.

Come si produceva la finta polvere di mumia.

Il CICAP ha aggiunto un ulteriore dettaglio a questa vicenda: intorno al Seicento erano numerosi i mercanti e i medici che sfruttavano anche i corpi di persone morte di peste o impiccate per «lavorarle» con cura e vendere la finta «Polvere di mumia» ai cristiani impegnati nelle guerre in Palestina. E le salme dei condannati a morte ebbero una certa fortuna sul mercato anche grazie al medico Oswald Croll, il quale affermò che era preferibile trovare ed utilizzare i corpi di giovani di 24 anni morti alla forca e dai capelli rossi.

I primi dubbi e l’elisir di lunga vita

Intorno al Cinquecento alcuni studiosi cominciarono a manifestare dei seri dubbi sulle reali virtù della «Polvere di mumia». Su tutti, furono l’italiano Pier Andrea Mattioli e il francese Ambrogio Pareto ad affermare che, nella loro esperienza, non avevano mai visto una persona malata guarire grazie al ricorso a questo presunto medicinale. Pareto ne fece anche una questione morale, dicendo che sicuramente i popoli dell’antichità non avevano accuratamente imbalsamato i morti affinché venissero ingeriti dagli occidentali nei secoli successivi.

L’archeologo Carlo Di Clemente ha aggiunto che queste prime perplessità caddero nel vuoto giacché, nonostante i prezzi piuttosto alti di questo medicamento, gli studi dimostrano che è stato utilizzato addirittura fino agli anni ’20 del Novecento, essendo presente nel listino della casa farmaceutica britannica Merck & Co. Infatti soprattutto in Inghilterra questa sostanza conobbe una popolarità maggiore rispetto all’Europa latina dove il suo commercio venne osteggiato soprattutto dal cattolicesimo come forma di cannibalismo medicale. Dunque non bisogna sorprendersi che grandi autori come Shakespeare nelle loro opere abbiano citato le mummie come ingredienti principali delle pozioni magiche.

Restando in Inghilterra, in età vittoriana si fece strada la convinzione che la «Polvere di mumia», provenendo da cadaveri incorrotti, potesse avere la capacità di allungare la vita umana e ne vennero realizzati anche degli elisir «magici» nella speranza che grazie ad essa si potesse vivere più a lungo senza alcuna malattia. Dunque paradossalmente tra Ottocento e Novecento si fece un uso meno «scientifico» della sostanza rispetto a quanto era avvenuto in epoca rinascimentale, quando perlomeno si era convinti che avesse delle finalità terapeutiche e curative.

La polvere di mumia diventa elisir di lunga vita.

Infine una curiosità: mentre gli antichi consideravano la mummificazione una pratica necessaria per garantirsi la sopravvivenza nell’aldilà, in epoca moderna invece ci si convinse che le mummie fossero fondamentali per allontanare il momento della morte.

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