venerdì, Marzo 29, 2024

Pèsach una ricorrenza che significa Liberazione

Gli ebrei sono sopravvissuti attraverso tutti i secoli, gli Ebrei hanno dovuto soffrire per tutti i secoli. Ma questo li ha anche resi più forti. Pèsach, o Pesah, è anche l’acume di Anna Frank. Un pensiero sorprendentemente fine per la sua giovane età. Ma anche una perspicacia che si ottiene a caro prezzo. Eppure, le numerose battaglie affrontate in oltre 2000 anni di storia non hanno scalfito la fede del popolo di Israele. Specialmente ora che si appresta a celebrare la ricorrenza della sua liberazione.

Cosa significa Pèsach?

Chag Pèsach samech. Un augurio rivolto durante la commemorazione della liberazione del popolo ebraico, fuggito dall’Egitto e dalla schiavitù. Un popolo tenace che non si è mai dato per vinto. E che, anzi, ha affrontato il lungo viaggio a cui era destinato sorretto da un sogno. La Terra Promessa, il luogo paradisiaco di pace e speranza dove crescere e prosperare. Non tanto la Resurrezione di Cristo nella quale non crede. E come potrebbe? A differenza del Cristianesimo, l’Ebraismo non ammette la personificazione di Dio in Gesù di Nazaret. Piuttosto, il Messia ebraico sarà un leader umano discendente diretto di Re Davide che riunirà e governerà il popolo di Israele. Quindi, Pésach celebra la gioia donata dalla libertà. Il sollievo dello spirito dopo aver attraversato il dolore. Proprio perché si ha consapevolezza di quel passato dolore. Ma come si festeggia questa importante ricorrenza?

I riti

Nella tradizione ebraica, la Pasqua dura otto giorni e cade ogni anno il 15 del mese di Nisan. Nell’anno 5781 ebraico (il 2021 del calendario gregoriano) si svolgerà dal tramonto del 27 marzo fino alla sera del 3 aprile. La particolarità di quest’anno è proprio che il primo giorno cadrà di Shabbat, il sabato. Il giorno del riposo. Ciò significa che si seguirà qualche accortezza in più per non infrangere i dettami della religione. L’Ebraismo, una delle principali confessioni abramitiche monoteiste assieme a Cristianesimo e Islam, tiene molto alle ricorrenze. Lo dimostra l’accurata preparazione delle festività pasquali, che impegna i fedeli molto giorni prima. Anche in ambito culinario. Sì, perché qualche giorno prima di Pèsach è usanza eliminare dalla dieta tutti i cibi contenenti hametz, il lievito. Ragion per cui, in armonia con il comando biblico (Esodo 12:19 e 13: 7), prima di Pèsach si procede alla bedikàt chamètz.

Come si festeggia Pèsach?

La ricerca dei cibi lievitati, a lume di candela, è accompagnata da una benedizione speciale e dalla rinuncia formale a qualsiasi cibo non consentito. Mentre il mattino seguente è usanza bruciarne gli avanzi. Oppure è possibile vendere il proprio hametz a un non ebreo, di solito chiedendo a un rabbino di fare da intermediario. Inoltre, i figli primogeniti di età superiore ai 13 anni sono tenuti a digiunare il giorno prima della Pasqua ebraica. Ciò in ricordo del fatto che i maschi ebrei primogeniti furono risparmiati quando i giovani egiziani furono uccisi, nella decima piaga. Nelle prime due sere si svolge il Seder, che significa “Ordine”. Dei gesti, delle parole, delle preghiere, dei cibi.

L’inizio di Pèsach: il Seder

Un momento di raccoglimento commemorativo e prettamente familiare in cui si alternano a pietanze kosher, preparate appositamente per l’occasione, la preghiera e la lettura dell’Heggadah. Letteralmente, la “narrazione” dell’Esodo dall’Egitto. Tanto che tradizione vuole che sia il componente più giovane della famiglia a esortare il parente più anziano a raccontare la storia del popolo ebraico. Dalle dieci piaghe all’affrancamento dalla schiavitù. A ogni piaga rievocata, ogni partecipante immerge un dito nella sua coppa di vino e ne toglie una goccia. Il messaggio è simbolico. In questo modo si ricorda che nonostante gli ebrei fossero oppressi in Egitto, non bisogna rallegrarsi delle sofferenze altrui. Quindi, le coppe di vino non possono essere piene. D’altronde l’Ebraismo oltre a un credo è uno stile di vita.

La tavola imbandita

Sul tavolo, un vassoio conterrà cibi speciali. Un uovo, simbolo delle offerte che venivano fatte al Tempio. Uno stinco di agnello. E l’haroset, una pasta dolce di colore rosso scuro che simboleggia la miscela di argilla e fango che gli ebrei in schiavitù usavano per fare i mattoni. Il dolce è a base di mele, noci tritate, cannella e vino. Oltre alla Coppa di Elia. E un posto vuoto nel caso giunga il Messia.

Un’usanza curiosa di Pèsach

Forse non tutti sanno che durante il Seder si osserva anche una particolare usanza che coinvolge i bambini. Infatti, è tradizione che il capofamiglia nasconda l’afikoman, un pezzo speciale di matzah che è l’ultimo cibo mangiato durante il seder. Poi, sarà compito dei più piccoli trovarlo. Se ne saranno in grado, l’afikoman verrà “riscattato” e si potrà proseguire con il seder.


Medio Oriente e Francesco: il significato del suo viaggio apostolico


Il settimo giorno

Quest’anno la celebrazione del settimo giorno di Pèsach inizierà al tramonto di venerdì 2 aprile e durerà fino al tramonto di sabato 3 aprile. Molte delle restrizioni imposte a causa delle pandemia saranno allentate, cosicché i fedeli potranno presenziare alle funzioni festive e alle letture nelle sinagoghe. Come alle preghiere commemorative speciali per i defunti per voce dei rabbini. Inoltre, sarà possibile celebrare anche la maimouna. Si tratta di una festa informale ma molto amata, specialmente dalla comunità ebraica del Nord Africa da cui in effetti deriva. In Marocco, ad esempio, si celebra il giorno dopo alla Pasqua ebraica o il secondo giorno dopo Pèsach qualora cada di venerdì. Come da tradizione, le famiglie imbandiranno le tavole con dolcetti e prodotti da forno. E inviteranno parenti e amici. Quest’anno si terrà dal tramonto di giovedì 16 aprile a quello di venerdì 17 aprile.

Pèsach in Israele

Durante Pèsach, i fedeli recitano il ciclo estatico di salmi, chiamato Hallel, sia di giorno che di notte. Anche durante il Seder e le preghiere del mattino. Mentre al termine della Pasqua ebraica inizia un periodo di 49 giorni, chiamato Omer. Questo arco temporale ricorda il conteggio tra le offerte portate all’antico tempio di Gerusalemme che culmina nella festa di Shavuot. L’anniversario della ricezione della Torah al Sinai. In Israele, il primo e l’ultimo giorno di Pèsach sono considerati festa nazionale (Esodo 12:16 e Levitico 23: 8). Secondo quanto riporta il Times of Israel, al momento sono circa 6.7 milioni gli ebrei che risiedono in Israele a fronte di fronte di una popolazione di 14.7 milioni di individui. Si tratta di quasi il 45% della presenza ebraica nel mondo. Lo riferisce l’ultimo report del 2018 di Yom HaShoah, l’ufficio centrale di statistica di Israele.

La popolazione ebraica nel mondo

Di questi, 5.2 milioni sono nativi di Israele, mentre la parte rimanente proviene da altri paesi. Soprattutto dal continente americano e dall’Europa. Anche se Israele è finora l’unico paese in cui la popolazione ebraica è in costante crescita, molti fedeli hanno costituito comunità anche al di fuori dei confini israeliani. La prima per ordine di grandezza vive proprio negli Usa, dove si stimano circa 5.7 milioni di persone con origine ebraiche. Seguiti a ruota da Francia, Canada, Regno Unito, Argentina, Russia, Germania e Australia. Mentre 12.000 ebrei risiedono in Iran, principalmente a Teheran. Ma con comunità anche a Shiraz e Isfahan. Invece, solo 1.200 ebrei vivono nei paesi del Golfo, la maggior parte dei quali giunti da ogni parte del mondo. Anche se in Bahrain è presente una minuscola comunità, di circa 50 persone, che risale a 140 anni fa.


La dissidenza saudita: nessuna normalizzazione senza Palestina


Pèsach come viaggio

Ogni anno è consuetudine per migliaia di ebrei israeliani compiere una sorta di pellegrinaggio durante le vacanze di Pèsach. Per questo, molti fedeli attraversano il confine terrestre con l’Egitto per visitare località e spiagge sulla costa del Mar Rosso del Sinai. Tuttavia, quest’anno non sarà possibile nonostante l’impegno profuso da Israele nella campagna di vaccinazioni. In precedenza, tale viaggio era stato altrettanto impedito nel 2017, quando l’Egitto era stato costretto a chiudere i propri confini. In quell’occasione a causa dei bombardamenti del sedicente Stato islamico alle chiese copte. Soprattutto ad Alessandria e nella città di Tanta, sul delta del Nilo, in cui avevano perso la vita 40 persone.

Gli attentati islamisti

Gli attentati erano la conseguenza dell’insurrezione islamista nel Sinai scarsamente popolato. Soprattutto a seguito della sconfitta del presidente dei Fratelli Musulmani Mohamed Mursi da parte dell’esercito egiziano, nel 2013. Allora, la Direzione antiterrorismo israeliana aveva esortato i turisti israeliani in Sinai a rientrare in patria quanto prima. Inoltre, lo Stato ebraico aveva deciso di impedire la liberà circolazione nella penisola egiziana ai suoi cittadini, sospendendo di fatto il trattato di pace ratificato nel 1979.

Concludendo

Non c’è pace per la popolazione ebraica. Eppure, la comunità non sembra affatto scoraggiata, anzi. Per concludere con le parole di David Rosen. “L’ebraismo come stile di vita cerca di inculcare in noi una consapevolezza della presenza divina nel mondo e di conseguenza il rispetto per la vita. Quanto più ci sta a cuore la vita, tanto più siamo difatti vicini a Dio“.


Le Pen: “Il Papa si occupi di chiese e non di…


Related Articles

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here

Stay Connected

0FansLike
0FollowersFollow
0SubscribersSubscribe
- Advertisement -spot_img

Latest Articles