giovedì, Aprile 18, 2024

Per non dimenticare: ottantuno anni fa Mauthausen apriva i suoi cancelli

Salve! Certe date non sono che il preludio a qualcosa di più grande, spesso molto più di noi, che ci rendiamo conto solo a posteriori di quanto siamo impotenti di fronte alla follia umana.

La storia di questa data però inizia prima. Se vogliamo trovare un inizio vero e proprio a quello di cui andremo a parlare, potremo sicuramente nella prima decade degli anni Novanta, a Prima Guerra Mondiale appena finita.

Sappiamo tutti che a scatenarla fu, tra le altre cose, l’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando d’Austria a Sarajevo, il 28 giugno 1914. L’armistizio venne firmato il 4 novembre 1918, e ad avere la peggio fu la coalizione formata da Austria, Ungheria, Germania, Turchia e Romania. Sulle conseguenze riportate (Trattato di Versailles del 28 giugno 1919) ci concentreremo su quelle subite dalla Germania, forse la più svantaggiata di tutte: perse infatti le regioni dell’Alsazia e della Lorena, oggi parte della Francia, e parte della Polonia. Le grandi monarchie vennero rimpiazzate dalla Repubblica di Weimar, molto più debole. Considerata infine la maggiore responsabile del conflitto appena concluso, venne condannata a pagare 132 miliardi di marchi per i danni e a ridimensionare le sue forze militari.

Stando così le cose, non deve sorprendere (o almeno non troppo) che la Germania covasse un certo malcontento e si convincesse di essere stata vittima di un’ingiustizia, anche perché tenuta fuori dal Trattato. Per parecchi anni questo stato d’animo non trovò sfogo, ma venne poi usato da un certo Adolf Hitler (parliamo ormai del 1925) per offrire alla popolazione tedesca un capro espiatorio a cui addebitare tutti i suoi guai.

Si dovette però arrivare al 1929 perché Hitler riuscisse a salire al potere, e dal 1938 iniziò ufficialmente, anche se in principio sotto silenzio, l’incubo che avrebbe coinvolto non solo il popolo ebraico, ma ogni tipo di minoranza (omosessuali, zingari, comunisti, prigionieri politici, disabili) e segnato la storia dell’intera Europa.

Nell’aprile del 1938 venne individuata nella cittadina di Mauthausen, a circa 25 km da Linz, in una cava di pietra il posto ideale in cui costruire quello che si chiamava “campo di lavoro”. Si pensò che fosse facilmente raggiungibile via fiume, grazie alla presenza del vicino Danubio, e offrisse anche il doppio vantaggio della manodopera a costo zero nella cava e così, in questo giorno di ottantuno anni fa, il lager di Mauthausen apriva i suoi cancelli, pronto per accogliere i primi prigionieri.

Questi primi “ospiti” provenivano da Dachau, vicino a Monaco, ed erano per la maggior parte prigionieri politici tedeschi ed austriaci. Essi furono costretti a contribuire al perfezionamento del campo, e lo sterminio prese il suo pieno ritmo. Le cave di pietra costituivano spesso la tomba dei prigionieri, obbligati a lavorare fino allo stremo o eliminati una volta che non potevano più essere una risorsa. Ma come negli altri campi, a Mauthausen si uccideva anche con il gas, e non mancavano i forni crematori (entrati in funzione però solo nel 1940) per far sparire le tracce dei crimini nazisti.

Ma non si pensi che nei lager la volontà dei prigionieri fosse definitivamente annientata. Anche a Mauthausen, infatti, come in altri campi, ci fu una rivolta ad opera dei prigionieri sovietici: cinquecento di loro riuscirono a fuggire, dando il via ad una caccia spietata chiamata “la caccia al coniglio”. In molti casi anche i civili che vivevano nelle vicinanze prestarono aiuto ai fuggiaschi, ma purtroppo solo sette di loro riuscirono nell’impresa di salvarsi: tutti gli altri vennero catturati e uccisi.

Tutto questo durò sino al 5 maggio 1945, quando finalmente le truppe alleate liberarono il campo. Negli anni seguenti Mauthausen non venne conservato come forse avrebbe dovuto, ma fortunatamente negli anni Cinquanta un lotto del vecchio terreno venne acquistato e destinato all’edificazione di un monumento commemorativo.

Al momento, il simbolo di ciò che è stato sono un forno crematorio e una lapide con tutti i nomi delle oltre centomila vittime riconosciute. Un luogo lugubre e triste, a detta di chi lo ha visitato, ma necessario per comprendere fino in fondo cosa davvero abbia significato la barbarie nazista. Anche, e soprattutto, per chi a oggi crede ancora che tutto ciò non sia mai esistito.

Serena Nencioni
Serena Nencioni
Nata all'Isola d'Elba, isolana ed elbana e orgogliosa di esserlo. Amo la scrittura e la musica.

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