Difficile gestire un partito in modo realmente democratico; farlo funzionare ancora di più. Le dimissioni di Zingaretti sono solo il risultato di un processo gestionale sbagliato che va avanti da decenni.
Renzi non è un vincitore
È sbagliato però affermare che Renzi sia un vincitore; è – ed è sempre stato – solo un guastatore all’interno di spazi altrui e un pessimo organizzatore di quelli propri. Non a caso il suo partito riscuote consensi risibili.
È il figlio legittimo della cultura democristiana che, dall’indomani di Tangentopoli, ha tentato di riciclarsi scalando un partito che aveva altre ambizioni.
La componente ex PCI ha pagato cara la sua fedeltà alla democrazia interna: disorientata dalla difficile transizione, ha aperto le porte a chi le idee le aveva chiare. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti.
È sempre più facile distruggere che costruire; coalizzarsi attorno ad un obiettivo piuttosto che discutere e trovare una soluzione.
La scalata della DC al Partito Democratico
L’apertura al centro da subito vanifica l’idea alla base del partito: quella di riunire i valori della sinistra democratica e del cattolicesimo progressista.
La storia è nota, quanto prevedibile: forte del suo radicamento all’interno dell’associazionismo cattolico e di importanti ambienti industriali, da subito – seppure in sordina – la DC si è riorganizzata egemonizzando il partito.
La sinistra, confusa e spaccata da questo cambio di paradigma, si è polarizzata su due fronti: quello che rivendicava i valori identitari della storia del PCI, e quello che ricercava un allargamento dei consensi a qualunque costo.
Entrano nel partito soggetti anche di rilievo ma che non sono mai appartenuti alla sinistra democristiana: Follini, Fioroni, Garavaglia, Iervolino, e persino l’ex presidente della repubblica Scalfaro. Infine Renzi.
Anche la segreteria vede una alternanza perfetta: Veltroni e poi Franceschini; Bersani e Renzi, infine Zingaretti.
La linea che non c’è
L’identità e quindi la linea del partito si fa sempre più confusa. Valori, sensibilità e interessi diversi non riescono a produrre sintesi, ma solo spaccature.
Il PD si sposta sempre più al centro, sconfinando persino nei territori del centro destra: è inevitabile, perchè, come nel Paese, la componente di sinistra è minoritaria, e per di più divisa tra un’area più radicale ed una progressista.
Il suo errore è quello di accettare la dialettica con la componente democristiana che invece è coalizzata attorno al suo obiettivo di fare del PD un partito in grado di occupare l’area centrista della politica, marginalizzando la sua componente di sinistra.
Renzi dà la spallata finale, e la segreteria Zingaretti non segna un ritorno a sinistra della leadership, ma è solo uno scomodo passaggio di consegne in una situazione ingestibile.
Zingaretti
Anche il governatore del Lazio non è indenne da pessime strategie di ricerca di consensi: dapprima tenta di smarcarsi dal movimento 5 stelle, poi accetta l’alleanza di governo, infine diventa il primo difensore del premier dimissionario Conte.
Il suo incedere altalenante gli fa perdere voti sia da destra che da sinistra. Non ha la forza politica (forse la caratura) per assumersi l’unica responsabilità in grado di portare il partito fuori dalle secche: rompere coi centristi.
Il futuro del PD
A questo punto mi pare i giochi siano chiari: da un lato c’è il centrodestra, che, seppure privo di una vera identità politica, tra Lega ex MSI e Forza Italia è in grado di attrarre un numero significativo di voti.
Poi – ancora politicamente in via di definizione – c’è il patrimonio di consensi del Movimento 5stelle, rilanciati dalla presa di posizione di Beppe Grillo (a proposito di democrazia interna) di fare di Conte il loro leader.
Il PD ha solo una strada davanti a sé: investire in un futuro che non guarda al centro, ma ai suoi valori; recuperare la sua vocazione di sinistra, candidandosi a fare da timone, e non da stampella, ad un movimento 5stelle che deve fare una scelta di campo decisa per sopravvivere.
Auspicavo questa soluzione già tre anni fa, ma non sono stato buon profeta: