Abbiamo chiesto allo Chef Giuseppe Stefani di raccontarci come si produce il dolce lievitato per antonomasia, utilizzando materie prime selezionate e lievito madre.
Appena si abbassa la temperatura atmosferica e sopraggiunge l’autunno, nei laboratori di molte pasticcerie italiane e nelle cucine di alcuni ristoranti inizia la produzione del panettone. Un dolce che evoca il periodo natalizio, ma l’avvento della pizza gourmet, la diffusione dell’utilizzo della pasta madre, hanno avviato un volano che ha coinvolto e stimolato pasticceri e chef a produrre dolci lievitati quasi tutto l’anno. Protagonisti, come è avvenuto per la pizza, sono il lievito e la farina. Ad affiancare questi due cardini della lievitazione, ci sono gli ingredienti che oltre alla maestria del produttore, sono gli elementi differenziali del prodotto finale.
Nonostante il panettone sia costituito da ingredienti semplici, proprio come la pizza, è possibile ottenere prodotti molto diversi tra loro, sia dal punto di vista organolettico, sia dal punto di vista chimico.
Basta utilizzare una farina macinata a pietra, invece di una farina macinata a cilindri, un burro di malga invece di un burro industriale, il miele al posto dello zucchero e il prodotto finale sarà differente, in termini qualitativi.
Negli ultimi anni, il numero dei produttori di panettone di qualità è in aumento. A riprova di questo, sta crescendo il numero di concorsi regionali e nazionali per chi produce il miglior panettone, la presenza mediatica del panettone è sensibilmente aumentata e quasi tutte le pizzerie che utilizzano farine macinate a pietra e lievito madre, producono anche il panettone o dolci lievitati.
Proprio a uno di questi concorsi ha partecipato il ristorante Osteria Zero, capitanata dall’executive chef Giuseppe Stefani. Un ottimo secondo posto all’ottava edizione di Panetthòn, dove una giuria tecnica di duecento appassionati ha giudicato oltre 40 panettoni in concorso, che avevano il comune denominatore l’essere prodotti senza additivi e conservanti, senza E471 soprattutto, fatti con materie prime di alta qualità. La tipologia di panettone in concorso era il “classico”, con uvetta e canditi.
Risultato ottimo perché giunge a soli 5 anni dal primo impasto.
Abbiamo intervistato Stefani per cercare di capire quali siano le motivazioni che spingono uno chef a produrre i dolci lievitati e soprattutto apprendere come viene realizzato un panettone di eccellente qualità.
Abbiamo ascoltato le parole di Stefani in una delle fasi della lavorazione, il rinfresco del lievito, la passione con cui effettuava il procedimento ha reso ancora più appassionante il racconto.
Com’è nata la passione per il panettone?
Tutto è iniziato circa 5 anni fa al termine di un pranzo di Natale. I clienti erano molto soddisfatti per le pietanze che avevo preparato, ma l’unica nota stonata del pranzo è stato il dolce. Avevo scelto un dolce tradizionale, il panettone, per allietare i miei ospiti. Avevo scelto quello che sul mercato era considerato uno dei migliori, fatto artigianalmente. Il parere decisamente negativo degli ospiti rispetto al panettone mi aveva infastidito al punto tale che decisi di interessarmi alla preparazione di questo prodotto. Dopo pochi giorni contattai un tecnico specializzato nel settore dei panettoni e dei lievitati. Questo mi propose una ricetta che mi avrebbe consentito di produrre il mio primo panettone in brevissimo tempo. Così fu, creai il mio primo dolce lievitato in breve tempo e il risultato non era male. La cosa che non mi convinceva era il fatto di dover dipendere da un impasto praticamente preconfezionato e non poter sfruttare la mia conoscenza sulla lievitazione naturale che utilizziamo quotidianamente nella nostra pizzeria.
Decisi di intraprendere la strada da solo, in modo empirico. Dopo molti tentativi e dopo aver provato molte combinazioni e ingredienti sono giunto ad un prodotto che mi soddisfaceva sia per la bontà, ma soprattutto per la qualità.
Alla fine sono riuscito ad ottenere un panettone che lievita naturalmente, composto da soli ingredienti selezionati, privo di qualsiasi conservante o additivo chimico, che non tradisce le aspettative del cliente, anzi valorizza il fine pasto.
Perché comprare il tuo panettone o comunque un panettone di simile fattezza, che ha un prezzo superiore rispetto a un prodotto da scaffale?
Parto sempre da una mia filosofia, per vivere bene bisogna mangiare bene. Questa teoria cerco di applicarla sia nei piatti, sia nei dolci lievitati. Il panettone che produco è privo di qualsiasi elemento che potrebbe in qualche modo nuocere alla lunga alla salute, oppure molto più semplicemente non essere naturale.
Il panettone che produco ha una scadenza consigliata di circa un mese. Questo la dice lunga sulla naturalità del prodotto. A mio avviso è giusto che sia così, cioè che il panettone venga consumato nei primi dieci giorni dalla sua produzione, per assaporare tutte le sue proprietà organolettiche, per gustarne la fragranza e per avere la certezza che ogni ingrediente sia nel suo stato migliore per essere mangiato. Dopo due settimane, il prodotto non è ovviamente da buttare, ma inizia una fase che possiamo definire “discendente” dal punto di vista gustativo, fermo restando che anche dopo più giorni sarà sempre un prodotto naturale.
L’altro motivo per il quale a mio avviso vale la pena acquistare un panettone con queste caratteristiche è per la straordinaria qualità e ricerca delle materie prime. Seleziono ogni singolo componente da anni, per cercare sempre il meglio. I miei clienti non solo mangeranno una fetta di panettone, ma saranno protagonisti di un’esperienza sensoriale.
Potrei descrivere tutti i particolari di ogni singolo ingrediente, ma voglio fare solo qualche esempio. Se utilizzassi i canditi comuni, il costo sarebbe di sicuro inferiore, ma il candito che utilizzo ha una qualità tale che non diventa un elemento, spesso sgradito, quando si mangia una fetta di panettone, ma la sua morbida consistenza e il profumo lo rendono un tutt’uno con l’impasto.
Potrei utilizzare un burro comune, industriale, per contenere il costo, ma ho scelto di perfezionare anche questo aspetto. Utilizzo un burro anidro acidificato, scelta che penso sia molto impopolare tra i produttori di panettone.
Esistono dei parametri che oggettivamente possono guidare il consumatore a valutare la qualità del panettone?
La percentuale di canditi non deve essere mai inferiore al 20%. Per valutare questo aspetto dovreste fare attenzione a quanti canditi o uvetta trovate in una fetta di panettone. Spesso si acquistano prodotti che non hanno alcuna traccia di canditi o uvetta ne alla prima fetta, ne in quella successiva. In questi prodotti l’alveolatura risulta più sviluppata, ma solo per l’assenza di canditi.
La parte alta del panettone non deve mai sbordare rispetto alla parte inferiore, perché questo aspetto è indice di una farina priva della giusta forza, oppure di una lievitazione troppo lunga;
La carta del pirottino, staccata in alcuni punti dal panettone, è indice di un’ottima cottura.
Quali sono le fasi di produzione del panettone
La lavorazione inizia con il rinfresco del lievito, che viene effettuato ogni 3 ore e mezza circa, per tre volte.
Una volta maturato il terzo rinfresco, si preleva una parte del lievito e lo si utilizza per creare il primo impasto. La rimanente parte del lievito si conserva per altri impasti.
In questa fase gli ingredienti di norma utilizzati sono la farina, il lievito, il tuorlo dell’uovo, lo zucchero, l’acqua e il burro.
Ottenuto il primo impasto lo si fa lievitare per un tempo che varia a seconda della temperatura e dell’umidità per un periodo compreso tra le 12 e le 20 ore.
Maturato il primo impasto lo si mette in impastatrice per creare il secondo impasto. In questa fase viene aggiunto anche il “condimento” (n.d.r. uvetta e frutta candita oppure altro a seconda della tipologia di panettone). Oltre a quest’ultimo si aggiungono il tuorlo d’uovo, la farina, lo zucchero, il sale, il burro, la vaniglia e alcuni ingredienti segreti che ogni produttore custodisce gelosamente.
Si lascia riposare l’impasto per un’ora circa, tecnicamente si fa “puntare” l’impasto.
Si procede alla pezzatura, pesando le parti e inserendole nel pirottino. Rispetto alla procedura classica, Stefani aggiunge una sua variante a questa fase. Infatti, immediatamente dopo la pezzatura, prima di procedere con la pirlatura, esegue per tre volte delle pieghe, per rompere la lievitazione, come se stesse impastando il pane.
Successivamente viene inserito l’impasto nel pirottino e lasciato a lievitare dalle 6 alle 8 ore.
Segue la cottura per circa 50 minuti per chilo, ad una temperatura che nel cuore del panettone raggiunge i 92 gradi centigradi.
Terminata la cottura si passa alla spillatura. In questa fase viene conficcato uno spillo sulla base di ogni panettone per poter rovesciare quest’ultimo e fare in modo che si asciughi. Questa procedura viene eseguita perché diversamente il panettone collasserebbe su se stesso, a causa dell’umidità creatasi all’interno. Asciugandolo rovesciato, la forza di gravità impressa sul panettone, fa sì che si mantenga l’altezza acquisita in cottura.
Il periodo natalizio non è ancora alle porte, ma siamo sicuri che i lettori giunti a questo punto non attenderanno il 25 dicembre per degustare questo panettone così straordinariamente buono, bensì approfitteranno dell’attesa per degustare più versioni oltre a quella classica.