E’ sempre più frequente sentir parlare di cibi di sintesi, quindi quelli nati in laboratorio. Da qualche settimana, sappiamo che il nostro Governo è attivo per vietare la carne coltivata, considerata ‘sostenibile, pulita ed etica’. Altri governi hanno risposto positivamente a questa tipologia di alimento, riconoscendo l’aspetto della sicurezza alimentare e della sostenibilità a livello di impatto ambientale. Tra vantaggi e rischi, conosciamo meglio di cosa si tratta.
Origine della carne coltivata in alcuni Paesi
Il primo prodotto a base di carne coltivata è un hamburger. Viene presentato dieci anni fa da ricercatori nei Paesi Bassi.
Nel 2020, lo Stato di Singapore ha autorizzato per primo la commercializzazione di crocchette di pollo coltivate. E l’agenzia governativa americana per la protezione dei consumatori ha dato consenso positivo per la pre-commercializzazione di due prodotti simili.
Nell’Unione Europea non risulta ancora alcuna autorizzazione.
E in Italia?
Il governo italiano ha approvato un disegno di legge che ne vieta la produzione e la commercializzazione di per il consumo umano e animale. L’intento è di tutelare il nostro patrimonio agroalimentare. Come pure di salvaguardare la salute umana e l’industria agroalimentare del nostro Paese.
A tal proposito, l’Associazione Nazionale Agricoltori Coldiretti ha lanciato una petizione contro i cibi di sintesi.
Come si ottiene la carne coltivata?
La carne coltivata deriva da cellule adipose e muscolari di animali vivi. Vengono fatte crescere e differenziare in un brodo nutriente, in un bioreattore. Vengono utilizzate impalcature tridimensionali o specifiche tecniche per avvicinare la carne coltivata alla consistenza dei differenti tagli di carne. In questa chiave, la carne coltivata può apparire come un modo eticamente accettabile di consumare carne magari per chi ha qualche scrupolo a mangiare carne ‘tradizionale’. Infatti, quest’ultima deriva da processi come l’allevamento e la macellazione. Queste possono rappresentare pratiche che determinano un cattivo impatto sulla vita degli animali e sull’ambiente.
E per la commercializzazione?
Per autorizzare la commercializzazione di carne coltivata nell’Unione Europea, innanzitutto deve verificarsi un processo valutativo estremamente rigido, a livello mondiale. E successivamente l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) dovrebbe dare il proprio benestare. Al momento all’EFSA non è giunta alcuna richiesta per questi prodotti. Tuttavia, il Governo italiano, per le normative vigenti sul libero scambio, non potrebbe vietare l’importazione della carne coltivata da altri Paesi europei, se ciò fosse approvato dall’EFSA.
Vantaggi
Ricerche effettuate nel settore affermano che la carne coltivata in laboratorio potrebbe ridurre l’impatto ambientale dell’agricoltura data la crisi climatica che stiamo vivendo, e migliorare la sicurezza alimentare.
Dal punto di vista nutrizionale, la carne coltivata potrebbe essere più adatta a sostituire la carne tradizionale rispetto alle alternative a base vegetale. Tra l’altro, potrebbe mostrarsi più salutare, per via del controllo sulle cellule e sui nutrienti da parte del coltivatore, per diminuire i grassi saturi e aumentare i livelli di antiossidanti.
Inoltre, essa non necessita di antibiotici che spesso sono usati negli allevamenti di carne ‘tradizionale’. Come pure non contiene microplastiche e metalli pesanti tossici, come il mercurio.
Rischi
Specialisti tecnici, sociali e umanistici dell’Università di Torino, Trento e Roma Tor Vergata ritengono che il divieto del Governo di produrre e vendere la carne coltivata possa ostacolare l’innovazione nel settore alimentare.
Si ritiene che il divieto potrebbe scoraggiare gli investitori di due laboratori presenti in Italia che stanno finanziando il settore, però nell’ambito della ‘medicina rigenerativa per i muscoli e biologia delle cellule staminali’. E questo potrebbe impattarsi negativamente sulle piccole e medie imprese in Italia.
In ogni caso, la carne coltivata non è esclusa dal rischio di contaminazioni. Infatti, le cellule di coltura possono essere contaminate con batteri patogeni, virus o funghi. Dunque, si dovrebbe far uso, anche qui, di antibiotici e fungicidi nel terreno di coltura.
Conclusioni
Quel che al momento è certo è che non vedremo presto la carne coltivata tra gli scaffali dei nostri negozi di alimentari.
Ciò che è certo, invece, è che affiancherebbe la carne ‘tradizionale’, come un’offerta in più per il consumatore.