sabato, Maggio 24, 2025

Nasceva oggi Rembrandt: il pittore che trasformò la sua inquietudine in arte

Il 15 luglio 1606 nasce a Leida il pittore olandese – fra i più amati di sempre – Rembrandt Harmenszoon Van Rjin, figlio di un mugnaio, proprietario di un mulino sulla riva del Reno e, infatti, proprio da questo l’artista prende il nome di “Van Rijn”, ovvero “del Reno”.

Il suo successo rapido nel mondo dell’arte lo rende arrogante, sicuro di sé, lussurioso e spendaccione, avido e orgoglioso. Una vita personale segnata da diversi lutti e drammi che lo hanno cambiato profondamente: nell’arco di sette anni perde tre figli e la moglie, rimanendo solo con il figlio più piccolo. Dopo essersi risposato con la governante, con la quale vive però un rapporto molto difficile, perde nuovamente la moglie e il figlio. I diversi lutti lo fanno sprofondare nella solitudine, immergendosi nella pittura, in particolar modo negli autoritratti.

Gli autoritratti

Rembrandt ha lasciato un gran numero di autoritratti, tra cui 12 disegni e 40 dipinti. Essi risaltano la sua vita interiore: i primi lo vedono raffigurato con abiti e costumi storici che sembrano dichiarare la sua unicità e indipendenza professionale. Con il passare degli anni, quindi maturando sempre più attraverso le situazioni difficili della vita, Rembrandt inizia a togliere dai suoi autoritratti tutti quei vestiti lussuosi, rappresentandosi con abiti semplici da lavoro, come testimonia l’Autoritratto di Vienna.
Queste opere, dunque, sembrano essere uno specchio della sua vita interiore. Quelli della vecchiaia rivelano una grande intimità: lo sguardo del pittore nei suoi dipinti è malinconico e inquieto. In questo periodo si ritrae spesso con una tavolozza in mano, nell’atto di dipingere, con un’espressione molto concentrata.

“Il ritorno del figliol prodigo”

Quando dipinge “Il ritorno del figliol prodigo”, olio su tela del 1668, Rembrandt è vicino alla morte. Infatti, probabilmente, è uno dei suoi ultimi lavori. Per questo motivo è una delle opere più belle del pittore olandese: il quadro sembra racchiudere tutta la consapevolezza acquisita – ormai vicino alla fine dei suoi giorni – da tutto il suo intero vissuto turbolento e doloroso.


L’opera – ispirata alla “Parabola del figliol prodigo” riportata dall’evangelista Luca – ritrae il figliol prodigo vestito di stracci e inginocchiato ai piedi del padre. Il padre lo abbraccia teneramente, poggiando le mani sulle sue spalle in segno di protezione e perdono profondo. Una abbraccio avvolto in una luce quasi misteriosa, mentre tutto il resto dell’opera è messo in ombra. Infatti, a completare il dipinto ci sono altre tre figure: sulla destra, il figlio maggiore che osserva la scena e altri due personaggi non identificati.

Ci sono diversi particolari importanti nell’opera: le mani del padre, messe in risalto dalla luce del quadro, sono diverse fra loro; se si osservano attentamente si può notare infatti una mano maschile e una mano femminile che rappresentano l’amore di Dio che è un amore di Padre e Madre al contempo. Un altro importante particolare è la scelta di rappresentare il padre come un uomo anziano, quasi cieco. Un uomo consumato dall’attesa infinita del ritorno del figlio. Inoltre, in questa raffigurazione del padre, è molto ben visibile l’attenzione che Rembrandt ha sempre avuto per gli anziani. Molte opere dell’autore olandese ritraggono diverse figure di anziani; ciò che affascina Rembrandt è la loro bellezza interiore.


La cecità non è assolutamente un caso: sia il padre che il figlio sembrano essere un autoritratto del passato e del presente dell’autore. L’abbraccio è il punto di incontro fra la sua giovinezza vissuta con profonda inquietudine – “sperperando ogni bene” proprio come il protagonista della parabola di Luca – e il suo presente: un uomo vecchio, cieco perché ormai lontano da tutto quel successo e gli splendori della vita. In qualche modo questa vecchiaia, quindi la cecità del padre, lo porta finalmente a contatto con la vera bellezza della vita. Non più arroganza e superficialità, ma una nuova consapevolezza interiore.

“Ritornare”

Quest’opera è una riappacificazione con il passato e una serena ascesa verso la morte. Non si può osservare il quadro senza prima aver guardato alla vita dell’autore. Conoscere il modo in cui ha vissuto la sua vita e tutti gli eventi spiacevoli, aiutano ad avvicinarsi al messaggio che padre e figlio fanno emergere dalle loro pose, dai loro vestiti e dalla luce che li avvolge.
Niente è un caso in quest’opera. Anche il titolo dell’opera “Il ritorno del figliol prodigo” non è casuale: oltre al chiaro riferimento alla parabola del vangelo, il “ritorno” fa intendere una precedente “perdita” fisica e interiore, un allontanamento da casa, quindi da sé.

C’è un’identificazione profonda fra Rembrandt e il figlio minore che lascia la sua casa sperperando ogni bene del padre. È come se l’autore rivedesse nel figlio tutta la sua vita, i suoi sbagli, i suoi fallimenti, la sua vita vissuta in modo superficiale e arrogante.
Giunto alla vecchiaia e ritornato all’essenzialità della vita, Rembrandt sente la necessità di perdonarsi e comprende che, è proprio grazie all’aver perso tutto, che può ricominciare. È da quel perdono, dalle mani poggiate sulle spalle, da quell’incontro tra passato e presente, che si può ripartire cogliendo la vera bellezza della sua esistenza.
In altre parole, questo capolavoro racchiude due ritorni: il figlio al padre e Rembrandt alla vita.

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Chiara Paone
Chiara Paone
Scrivere è il mio contatto con la vita.

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