La seconda settimana di giugno, in seguito alla decisione di Biden di ritirare tutte le truppe NATO dall’Afghanistan, anche i militari italiani hanno lasciato il paese. La cerimonio ufficiale dell’8 giugno ha posto fine ufficialmente ad una missione durata vent’anni. Anche se, ufficiosamente, occorreranno mesi perché le truppe si ritirino del tutto. Ma, nel frattempo, l’avvenimento ha dato il via ad una catena di riflessioni sull’effettiva utilità della presenza di militari italiani in zone di guerra.
Militari italiani in zone di guerra: serve davvero?
Su tale argomento si è discusso il 26 giugno a Roma, in occasione del vertice della coalizione anti-Daesh, presieduto da Di Maio e dal segretario di Stato americano Blinken. Quaranta ministri degli esteri hanno discusso sul contrasto al terrorismo, concentrandosi particolarmente sulla situazione dell’Africa. Quanto sono effettivamente utili le cosiddette missioni di pace? E qual’è il ruolo dell’Italia?
L’esempio del Mozambico
Emblematico, in questo senso, è il caso del Mozambico, dove la presenza dei militari italiani sul territorio è ancora oggi ricordata come fautrice della pace ottenuta a caro prezzo tra il governo e i guerriglieri. La guerra civile che dilaniò il paese e causò un milione di morti ebbe fine nel 1992, con una pace negoziata e firmata proprio a Roma. Ma non solo: i militari italiani accompagnarono il Mozambico nella sua rinascita, tra il 1992 e il 1994. Oggi, però, il paese è di nuovo nelle mani del terrorismo e combatte contro chi cerca di appropriarsi delle sue risorse.
L’Afghanistan nelle mani del terrorismo
Un po’ come l’Aghanistan che, dopo vent’anni di missione di pace, oggi è di nuovo nelle mani dei talebani. Prossimo, dunque, a perdere i pochi diritti civili faticosamente conquistati, specialmente per quanto riguarda la condizione femminile. Ai danni anche dei numerosi afgani che, in questi anni, hanno collaborato al fianco delle truppe NATO per migliorare le condizioni del proprio Paese.