La globalizzazione e le grandi migrazioni sono due fenomeni di attualità che stanno caratterizzando non solo la storia moderna dell’uomo ma anche quella del calcio: il numero di calciatori che lasciano il proprio paese di origine calcistica per andare a giocare in altri paesi supera i 12mila e presenta un’età media di 26.8 anni, di gran lunga superiore a quella degli omologhi nazionali che si aggira intorno ai 25 anni. Ciò è dovuto probabilmente alla crisi economica che ha colpito a macchia di leopardo la maggior parte dei paesi europei e che ha fatto ritardare in alcuni casi l’espatrio.

In termini numerici il maggior “esportatore” è il Brasile che ha lasciato partire 1202 calciatori, seguito da Francia (781) e Argentina (753); queste tre nazioni, così distanti tra loro come usanze o lingua ma così incredibilmente unite sotto un aspetto paradossale che però non giustifica questi numeri: il passato coloniale.

I brasiliani – Tra i 1202 Carioca che nel 2017 hanno lasciato la madre patria per andare a trasferirsi in altri paesi calcistici la maggior parte si è instaurata in Portogallo, la patria dei conquistatori che più di 500 anni fa ha compiuto la più grande campagna coloniale nel Sud America; curiosamente l’età media dei brasiliani instaurati in questo paese (26.2 anni) è inferiore rispetto a quella degli espatriati totali.

Sono inoltre presenti in 82 associazioni calcistiche in tutto il mondo e in 16 paesi si evidenzia una concentrazione abbastanza elevata con una media di 20 giocatori.

I francesi – Discorso inverso si può applicare all’espatrio francese: tralasciando le due mete favorite probabilmente per vicinanza geografica (Inghilterra  e Belgio), una posizione consistente nella distribuzione della migrazione viene presa dall’Algeria, un tempo colonia conquistata sanguinosamente ed ora sbocco calcistico del paese conquistatore, con 33 Bleus.

In media i calciatori provenienti dalla Francia presentano un età media meno elevata (26.5) rispetto alle altre e hanno “conquistato” 60 associazioni calcistiche mondiali.

Sul gradino più basso del podio troviamo gli Argentini che preferiscono andare a giocare soprattutto in Cile e Messico anche se quasi a fine carriera (l’età media di espatrio è maggiore di 28 anni), vale la pena approfondire il metodo migratorio attuato dagli Inglesi: occupano la quinta posizione nella classifica generale con 451 espatri e tra le mete predilette di destinazione calcistica preferiscono paradossalmente (oppure no) Galles e Scozia. Le due nazioni che compongono la Gran Bretagna insieme all’Inghilterra furono teatro di numerose battaglie per l’indipendenza e l’affermazione territoriale ma ora rappresentano più della metà delle destinazioni scelte dai calciatori di Sua Maestà.

Il fenomeno delle migrazioni calcistiche non è recente nel mondo sportivo ma soltanto da trent’anni ha visto un aumento vertiginoso a causa della globalizzazione del fenomeno calcistico e della crescita delle scuole di formazione nazionali, che ha dato maggiore visibilità e potere economico ai giocatori.

Questo processo è destinato ad aumentare ancora di più in futuro in relazione alla direzione comunitaria intrapresa dal mondo, sperando che si ampli anche alle zone più povere del pianeta che avrebbero così l’opportunità di migliorare realmente il loro tenore di vita.