venerdì, Marzo 29, 2024

Massacro di Utoya: dieci anni dopo (Video)

Sono trascorsi 10 anni dal massacro di Utoya. La piccola isola norvegese situata a Sud-Est del Paese. Dopo Oslo, il cruento attacco ha segnato un’intera comunità. Ma se “il mostro” non prova (e non proverà mai) rimorso, i testimoni di quel tragico attentato non dimenticheranno gli attimi di puro terrore. Al contrario, quegli eventi resteranno impressi nella loro memoria come un marchio a fuoco. C’è giustizia?

Dieci anni dal massacro di Utoya?

Succedeva un decennio fa. Più precisamente, era il 22 luglio 2011. Il giorno in cui Sindre Lyso sopravvisse all’attacco all’sola di Utoya. Un minuscolo fazzoletto di terra che emerge dalle acque del Tyrifjorden. Il quinto lago del Paese per estensione che si trova nel comune di Hole, nella contea di Viken. Quel giorno accadde tutto molto in fretta. Sebbene ai testimoni della strage sembrasse svolgersi alla moviola. Allora, le prime notizie riferivano di un’autobomba esplosa nei pressi della sede governativa della capitale, Oslo. Quindi, si pensò subito a un attacco terroristico da parte di gruppi stranieri. Ma l’ipotesi si rivelò presto errata. A organizzare la strage fu un figlio di quella terra: Anders Behring Breivik. Un estremista di destra condannato il 24 agosto 2012 a 21 anni di reclusione. Il quale attende oggi la libertà condizionale che, si spera, non otterrà.

Chi è Breivik?

Secondo la perizia del tribunale Breivik era “sano di mente e quindi penalmente responsabile“. Dal canto suo, “il mostro” non ha abbandonato l’ideologia neonazista. La stessa che dieci anni fa lo spinse a trucidare nella sola Utoya 69 persone. Per lo più giovani che partecipavano a un raduno laburista. Altre 8 perirono a causa dell’esplosione nel centro della capitale. Mentre 209 rimasero ferite. Di cui 12 in maniera grave. Al contrario, a Breivik questi dieci anni sono valsi l’occasione per affinare la sua follia. La sua vita continua. I suoi progetti pure. Dalle tre celle che occupa nel carcere di massima sicurezza di Skien, ciascuna di dieci metri quadri, Breivik ha conseguito gli studi in Scienze Politiche, cui si è iscritto nel 2015. Non solo. Per il futuro, lo stragista 42enne si immagina paladino di una riforma del sistema carcerario norvegese. Dato che ha subìto gravi violazioni dei suoi diritti. A suo dire.

Aberrazioni

Eppure, il suo processo sarà sottoposto a revisione legale. D’altronde, ne ha diritto per legge. A maggior ragione lui, che ama definirsi il “salvatore del cristianesimo”. Al momento, Breivik è in isolamento. Con tanto di palestra, Tv e lettore dvd. Ma anche Playstation e pc. Purtroppo non ha accesso alla connessione internet. Inoltre Breivik si lamenta che il cibo, che è costretto a consumare con posate di plastiche, sia di scarsa qualità. E che il caffé gli venga servito freddo. Queste le condizioni che lui considera disumane e umilianti. A tal proposito, secondo alcune indiscrezioni Breivik avrebbe già proposto un film ad alcuni produttori. O, in alternativa, una sua biografia. Il tutto in cambio dei relativi diritti, stimati in un ammontare di circa otto milioni di dollari.


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Massacro di Utoya: una testimonianza

Dieci anni sono un tempo breve e lungo“. Così racconta Sindre Lyso. Uno dei sopravvissuti. In particolare, Lyso ricorda come fosse ieri il susseguirsi degli eventi. A ripensarci, prova ancora terrore. “Breve, perché sto ancora affrontando ciò che è successo“. “Sto cercando di superare il trauma“, precisa. Del resto, “Il 22 luglio non ci ha mai abbandonati del tutto“, spiega a DW News. Ma, allo stesso tempo, lungo. “Perché molte cose sono cambiate da allora“. Quel 22 luglio 2011, Lyso aveva appena quindici anni. Nonostante lo shock, è tornato sull’isola per assicurarsi che questa strage non cada nell’oblio. “È nostro dovere ricordare coloro che abbiamo perso“, spiega Lyso. Come “È nostro dovere combattere anche le derive sociali che nel corso del tempo hanno portato a questa tragedia“.

Le vittime del massacro di Utoya

Ecco perché stiamo sensibilizzando (l’opinione pubblica) su quanto accadde quel giorno“, continua Lyso. Difatti, questo “Resta il modo migliore per combattere il terrorismo“. A Utoya, uno dei palazzi colpiti dalla mania omicida di Breivik riporta ancora i buchi lasciati dalle munizioni: le pallottole dum dum, vietate dal codice di guerra. Come lui, molti altri sono sopravvissuti alla strage. A un decennio di distanza, la maggior parte di loro soffre ancora di fobie e disturbi da stress post traumatico, in varie forme. Oltre che la peggiore delle angosce: il senso di colpa di chi è rimasto. Vivo.


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Speranza

Le vittime sarebbero orgogliose di come abbiamo reagito dopo il terrore e di come lo stato di diritto fosse forte“. Queste le parole di Lisbeth Roeyneland, madre di Synne, una giovane uccisa nell’attentato di Breivik. Quel lutto ha spinto Roeyneland a fondare il gruppo di sostegno nazionale per le vittime e le famiglie, che ora gestisce. Altrettanto forte di è dimostrata Astrid Hoem, sopravvissuta di Utoya. Alla guida della Gioventù Laburista, Hoem ritiene che “non abbiamo fermato l’odio”. Pertanto, ha esortato le autorità a debellare il razzismo. Dello stesso avviso è il segretario Nato, il norvegese Jens Stoltenberg, che nel 2011 ricopriva l’incarico di Premier. In un post su Twitter ha scritto: “Oggi ricordiamo le 77 persone brutalmente uccise a Oslo e a Utoya il 22 luglio 2011. Insieme hanno rappresentato la volontà del popolo nel nostro sistema democratico aperto. Li ricordiamo difendendo la nostra democrazia e i valori per cui sono morti“.

Scongiurare un altro massacro di Utoya?

Un obiettivo ambizioso, purtroppo. In occasione dell’evento commemorativo, in cui sono stati richiamati i nomi delle 77 vittime, Stoltenberg ha ricordato i casi recenti di due giovani norvegesi. Entrambi uccisi per la loro origine, rispettivamente africana e cinese. “Dieci anni fa, abbiamo risposto all’odio con l’amore“, ha osservato il segretario. “Ma l’odio è ancora presente. Lo abbiamo visto quando il memoriale di Benjamin Hermansen venne brutalmente profanato. Lo abbiamo visto di nuovo quando Johanne Zhangjia Ihle-Hansen venne uccisa a causa del colore della sua pelle o quando venne attaccata la moschea Al-Noor a Bærum“. Tra le più frequentate in Norvegia. “I sopravvissuti sono ancora sotto minaccia“, ha fatto notare Stoltenberg.


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Massacro di Utoya: il video

La gente ha paura di esprimere la propria opinione“, ha detto Stoltenberg. “Questo ci ricorda che la democrazia non è una vittoria che si ottiene una volta per tutte. Ma per essa dobbiamo lottare, ogni singolo giorno“. A noi resta solo che un interrogativo. Il tempo guarisce davvero tutte le ferite?

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